di Carlo Fusaro
Giorgio Napolitano è stato uno dei maggiori statisti italiani del secondo Dopoguerra, un grande presidente della Repubblica, un coerente riformista (in tutti i sensi del termine).
Non ne voglio fare il necrologio, né analizzarne l’esperienza politica lunghissima e le due presidenze (2006-2015). Non mi pare il momento, e del resto ne ho già scritto in più occasioni anche criticamente (nessuno è immune da errori e da fare scelte che – per quanto ben intenzionate – si rivelano, magari a posteriori, sbagliate: ed anche di Napolitano si può dirlo).
Ma ciò nulla toglie all’ammirazione, al rispetto e anche all’affetto che da lontano sentivo di nutrire per lui: in un pantheon dei grandi italiani repubblicani la sua figura rientra di sicuro, e, senza fare classifiche, certamente fra le prime.
Ebbi modo di incontrarlo, come si può immaginare, in molte occasioni (per lo più nel corso di convegni e dibattiti politici).
Oggi voglio ricordarne due, relativamente recenti e a me assai care, entrambe successive ai nove anni di presidenza: furono gli unici incontri personali e diretti.
La prima volta si era alla fine di aprile del 2015. Ero in viaggio con Elisabeth verso Otranto, e mentre guidavo nel pomeriggio sulla circonvallazione est di Lecce, arriva una telefonata sul cellulare: era la c.d. «batteria». La batteria è una sorta di supercentralino telefonico nato ai tempi in cui i cellulari non esistevano e che permette a chi ha un carica istituzionale di rilievo di mettersi in contatto con chiunque (senza scomodarsi): quando la batteria trova il destinatario libero e disponibile al colloquio, lo mette in collegamento col chiamante. «Prof. Fusaro? Le passo il presidente Napolitano». Naturalmente mi fermai ed ebbi con l’ex presidente una lunga conversazione: oggetto le riforme istituzionali (che stavano a cuore a lui quanto a me: ed è una delle ragioni principali per cui l’ho tanto apprezzato). Era successo che Sabino Cassese (un altro dei grandi vecchi della Repubblica, anche se di dieci anni più giovane di Napolitano che lo teneva nella più alta considerazione) gli aveva fatto leggere un mio saggio per la «Rivista trimestrale di diritto pubblico» (da lui diretta) dal titolo «Appunti per una storia delle riforme istituzionali», pubblicato appunto proprio in quei giorni. Gli era piaciuto al punto di volersi personalmente complimentare con me. Mi sentii gratificato ed onorato. Lo considero uno dei miei contributi migliori: anche se riletto anni dopo, nelle conclusioni, non nasconde un ottimismo sul varo della riforma costituzionale che si sarebbe rivelato del tutto ingiustificato.
La seconda volta incontrai Napolitano nel suo piccolo ma elegante ufficio da senatore a vita, in Palazzo Giustiniani. Eravamo in tre: l’editore Carmine Donzelli con Guido Crainz ed io. Avevamo appena pubblicato con lui il nostro libretto a quattro mani “Aggiornare la Costituzione”, a sostegno della riforma Renzi-Boschi, e gli avevamo chiesto appuntamento per fargliene omaggio. Del resto nessuno come Giorgio Napolitano si era speso per quelle riforme nelle quali anche noi credevamo (e nelle quali credo tuttora, sia pure senza le illusioni di un tempo). Fu questo un incontro lungo e politicamente significativo, che molto mi impressionò.
Si era nel luglio 2016, e trovammo Napolitano, pur interessato al lavoro che gli stavamo consegnando, intenzionato prima di tutto a manifestare le sue preoccupazioni per la legge elettorale che un anno prima il Parlamento aveva approvato (il c.d. Italicum). Ne temeva la formula caratterizzata, come si ricorderà, dall’attribuzione del premio di maggioranza a turno unico (o a doppio turno in caso di mancato raggiungimento del 40% dei voti al primo) a vantaggio di un solo partito senza prevedere coalizioni, neanche fra un turno e l’altro. Egli diceva che a suo avviso andava modificata prima del referendum sulla riforma costituzionale per allargare i consensi alla riforma. La sua preoccupazione, che in effetti si rivelò condivisa da una parte significativa del mondo politico, specie a sinistra, era che avrebbe favorito un possibile successo del M5S in forte crescita (sul che, a dire il vero, qualcosa ci sarebbe da dire proprio in ordine alle scelte di Napolitano, e di quasi tutti i partiti, nel 2011: formazione del governo Monti).
L’allarme dell’ex presidente mi colpì, in un momento in cui – ancora – i sondaggi davano la riforma per sicura. Ma lo capii a fondo solo molto tempo dopo. Ricordo che si era a poche settimane dal referendum sulla Brexit; a novembre ci sarebbe stato, del tutto inatteso, il trionfo di Trump; e, infine, il 4 dicembre il no degli italiani alle riforme (tutt’e tre consultazioni popolari in cui ebbero il loro ruolo, per la prima volta, i social e le interferenze russe e non solo quelle, come si sarebbe scoperto dopo).
Scompare con Giorgio Napolitano un grande italiano: eletto a maggioranza ristretta la prima volta, rieletto a furor di Parlamento la seconda (come sarebbe capitato al successore).
Anche nella libera critica non manchi oggi il rispetto e la gratitudine di tutto il suo Paese.
Alla famiglia, specie all’amico Giulio, il mio pensiero.
FONTE: LIBERTA’ EGUALE