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Il caso demografico del Kazakistan, dove la maternità è considerata “una vocazione”

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Mentre la demografia di gran parte dei Paesi asiatici registra un calo o uno stop, il Kazakistan (assieme agli altri Stati dell’Asia centrale Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) fa eccezione, anche spinto dalle scelte del suo presidente.

Nel discorso alla nazione, Kassym-Jomart Tokayev ha dichiarato che nel Paese nascono più di 400.000 bambini ogni anno e che entro la fine del 2023 la popolazione raggiungerà i 20 milioni di abitanti (nel 2022 la popolazione del Paese era di circa 19.398.000 abitanti).

Nel 2023 il Kazakistan prevede un aumento della popolazione dell’1,08% rispetto al +0,02% della Cina, il + 0,53% del Giappone, il – 0,13% della Corea del Sud, il – 0,06% di Taiwan e il -0,15% per della Thailandia.
Il Paese sta registrando un deciso aumento della popolazione dal 2006, quando il tasso di crescita è passato al +1,06% dal +0.89% dell’anno precedente. La popolazione kazaka ha una età media molto bassa, pari a circa 31 anni e la spinta demografica voluta dal presidente è facilitata dalla scarsa densità abitativa che equivale a 7 abitanti/km² (rispetto, per esempio, all’Italia che ha una densità di circa 195 abitanti/km²).

Le proteste scoppiate nel gennaio 2022 in seguito alla liberalizzazione del prezzo del carburante e la delicata situazione geopolitica in cui versa il Paese sin dalla nascita, avvenuta nel 1991 con la dissoluzione dell’Urss, non fermano la rapida crescita demografica del Kazakistan, che ha anche ragioni culturali.

La natalità come background culturale

L’aspetto più interessante del fenomeno demografico kazako è proprio quello culturale che da sempre divide i governi asiatici: mentre alcuni vedono in questo fenomeno un aspetto negativo, perché implica che gli Stati devono far fronte ai bisogni essenziali e primari di un numero sempre crescente di cittadini, il Kazakistan e gli altri paesi dell’Asia centrale osservano un trend opposto e accolgono con piacere l’aumento della natalità, come ha dichiarato lo stesso presidente Tokayev.

Infatti, uno dei fattori principali che contribuiscono all’incremento della fertilità nei Paesi centro asiatici è la predisposizione della popolazione a nuove nascite, che viene concepita come fondamentale per la prosperità delle comunità e delle tribù. Si tratta di un retaggio storico e socioculturale tipico di quest’area per cui la maternità è considerata una vocazione e un bene in sé, incoraggiata e protetta di generazione in generazione.

Tokayev ha sottolineato come le politiche socio-economiche del governo debbano essere coerenti con le tradizioni profondamente radicate e con l’etica della cultura della vita del Kazakistan. Ciò si traduce in politiche pro-famiglia, compresi incentivi alla natalità, soprattutto per i meno privilegiati e la classi lavoratrici.

Nella tradizione kazaka la famiglia rappresenta il pilastro su cui costruire un senso di unità e solidarietà nazionale. Un senso di appartenenza che è prettamente territoriale, come ha ribadito Tokayev nel suo discorso alla nazione: ogni cittadino nato nel territorio kazako è importante per il senso di appartenenza alla nazione, indipendentemente da lingua, religione o etnia. Questo approccio è anche frutto della composizione molto variegata del Paese. Secondo il censimento 2021, “solo” il 70,4% dei cittadini è kazako, il 15,5% è russo, il 3,2% è uzbeko, il 2% ucraino e poi vi sono cittadini di altre nazionalità asiatiche, ad eccezione dei tedeschi che nel 2021 costituivano l’1,2% della popolazione.

La proposta all’Assemblea delle Nazioni Unite

Consapevole della crisi demografica che imperversa in Occidente, il presidente kazako ha dichiarato di voler proporre durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York (18-22 settembre) un convegno sulla demografia nel 2024 nella capitale Astana per condividere la strategia di natalità kazaka con i Paesi travolti dall’inverno demografico.

Potrebbe nascerne un interessante dibattito culturale, a circa una settimana di distanza dalle parole di Giorgia Meloni al Demographic Summit di Budapest secondo cui “In Occidente si è sviluppato un sentimento nemico della famiglia”.