Le università telematiche potrebbero diventare un supporto nello sforzo di alzare la bassa percentuale di laureati in Italia. Oltre a monitorare la qualità della didattica, vanno sperimentate le nuove opportunità offerte dalla digitalizzazione.
La relazione tra università tradizionali e università telematiche
Il Rapporto Anvur sul Sistema della formazione superiore e della ricerca, chiamato anche rapporto biennale poiché abitualmente licenziato ogni due anni fino al 2019, è da sempre l’occasione per una disamina e, soprattutto, una riflessione sull’andamento del sistema universitario nel suo complesso.
Quello presentato il 21 giugno scorso a Montecitorio, proprio perché appare a quattro anni di distanza dal precedente, a causa della forzata interruzione dovuta all’epidemia Covid, dovrebbe attirare ancora più del solito l’attenzione del mondo politico e delle realtà produttive del paese, oltre che ovviamente del mondo della formazione superiore.
Dei due aspetti messi in luce da Flaviana Palmisano nel suo articolo su lavoce.info, quello del confronto, ma forse occorrerebbe dire del rapporto, fra università telematiche e università tradizionali, merita un approfondimento ulteriore.
Non casualmente usiamo il termine di rapporto perché quest’ultimo avrebbe bisogno di essere declinato secondo alcune linee programmatiche, in parte dettate anche dalla politica, che possano trasformarlo, benché ultimamente sempre più problematico, in una corretta relazione concorrenziale, vista anche nel panorama europeo e alla luce delle esperienze maturate nel corso della recente pandemia, quando è innegabile che il ricorso al digitale nei sistemi dell’apprendimento ha dato prova di una capacità di efficienza e di produttività.
Il rapporto docenti-studenti
Fermo restando che il rapporto Anvur stesso sarà completato da alcuni focus specifici, primo dei quali proprio quello sugli atenei telematici, uno dei dati cui fa cenno anche Palmisano, vale a dire il rapporto studenti-docenti, rischia di restituire una immagine non del tutto fedele alla realtà, tanto meno quella odierna. Tale rapporto, che è in effetti decisamente più alto per le università telematiche, talora anche in misura macroscopica; fotografa però una situazione che nell’ultimo anno è mutata significativamente, in forza dell’azione esercitata prima dal Dm 6 del 2019 e successivamente dal Dm 1154. È interessante però sottolineare la natura stessa che l’indicatore riveste per le università telematiche rispetto alle tradizionali, in quanto assimila due modalità di erogazione della didattica profondamente diverse, messe in luce anche da Palmisano laddove dice “tuttavia, per la natura stessa delle università telematiche (il rapporto docenti-studenti) potrebbe avere minore rilevanza”. Pur tralasciando che i dati Anvur prendono in considerazione soltanto il personale docente strutturato (professori e ricercatori a tempo indeterminato) e non i docenti a contratto e in convenzione, sarebbe utile approfondire il notevole investimento in termini di reclutamento che le telematiche hanno effettuato e stanno effettuando in questo momento, incremento che solo nei primi mesi di quest’anno è di oltre il 12 per cento del proprio corpo docente a tempo indeterminato.
L’utenza
Quello che però merita un approfondimento rispetto al ruolo delle università telematiche è la tipologia stessa dell’insegnamento a distanza, in particolare proprio quello asincrono, vale a dire erogato dalle piattaforme che queste istituzioni mettono a disposizione dell’utenza. È infatti la natura stessa dell’utenza, cui peraltro fa riferimento molto opportunamente Palmisano, che va individuata correttamente se si vuole comprendere il fenomeno dell’incremento vorticoso degli iscritti di questi atenei. Un incremento fra l’altro prevedibile se si osserva che già nella Council Recommendation on a European approach to micro-credentials for lifelong learning and employability, l’Unione europea individuava con estrema chiarezza i fruitori maggiori di questa modalità di educazione: “(…) support the provision of flexible, accessible learning opportunities for a variety of students, including young people and lifelong learners” (sostenere l’offerta di opportunità di apprendimento flessibili e accessibili per una varietà di studenti, compresi i giovani e la formazione continua).Nessuno vuole poi negare che l’insegnamento in presenza contenga al suo interno capacità di interazione umana che hanno un grande valore, ma l’asserzione per cui l’e-learning potrebbe indurre “peggiori risultati accademici nel breve periodo e peggiori risultati economici nel lungo periodo” non trova affatto un consenso unanime. Le dinamiche internazionali suggeriscono semmai di riflettere su forme più efficaci nella trasmissione della conoscenza. La modalità tradizionale del docente oratore è oggetto di ripensamento. L’attenzione viene oggi rivolta al docente designer che è chiamato a progettare una esperienza di insegnamento-apprendimento, con un costante monitoraggio dei contenuti trasmessi, in relazione agli obiettivi di apprendimento attesi che mutano nella società attuale con estrema rapidità.
Monitorare la qualità della didattica a distanza e contemporaneamente esplorare e sperimentare tutte le nuove opportunità che scaturiscono dalla digitalizzazione potrebbe quindi fare delle università telematiche un non trascurabile supporto in quell’incremento della percentuale di laureati che nel nostro paese è tuttora drammaticamente carente.
* Paolo Miccoli è presidente di UNITED (Associazione università telematiche e digitali).