Type to search

Pinguini Tattici Nucleari per fortuna che ci siete

Share

Massimo Mattei

Quando pensiamo ai cantautori se siamo nati quando ancora c’erano le cabine telefoniche pensiamo ai Guccini, ai De Gregori, a Dalla, ai Bertoli e Venditti. I più arditi si ricorderanno Rino Gaetano, i più sofisticati Battiato, gli intellettualismi di De Andrè, i più fluidi ricorderanno la Nannini che già trent’anni fa parlava di argomenti che oggi ci appaiono nornali. Difficilmente verranno in mente Galoni, The André (sì, scritto proprio così), Fulminacci, Bresh, Calcutta oppure Gazzelle.
E se pensiamo ai gruppi musicali, noi cresciuti con la PFM, oppure, quando avevamo bisogno di romanticismo, con gli Stadio difficilmente ci verrebbero alla mente i Pinguini tattici nucleari che sono in assoluto il gruppo migliore nato in Italia negli ultimi venti anni. Riflettevo con mia figlia in questa strana estate finalmente senza regole di separazione di quanto abbia influito il covid nelle nostre esistenze. Di quello che ci ricorderemo tra vent’anni di giornate intere passate in casa, delle autocertificazioni e delle conseguenze di mesi e mesi di distaccamento sociale. E riflettevamo sul fatto che ogni periodo di grande cambiamento o di tragedia ha avuto chi ha saputo descriverlo per farlo ricordare alle generazioni successive. I cantautori sopracitati sono stati quelli che hanno raccontato meglio il ‘68 ed i cambiamenti sociali degli anni settanta. Senza Modugno e la sua “l’anniversario” la battaglia referendaria sul divorzio forse sarebbe finita diversamente. Se De André non avesse portato al grande pubblico la “Canzone del Maggio” probabilmente nemmeno il PCI avrebbe compreso le istanze dei movimenti giovanili. Senza “la leva calcistica del ‘68” avremmo faticato tanto di più a capire il riflusso.
E adesso? Possono bastare due podcast, una bella inchiesta di Fanpage, e mille post sui social per raccontare quello che abbiamo passato dall’8 marzo del 2020 fino a qualche mese fa? No, non può bastare. Ci sono voluti dei ragazzi di Bergamo (i Pinguini Tattici Nucleari appunto) che hanno visto dalle loro finestre i militari portare via le bare dalla loro città in ginocchio per raccontare al meglio quanto abbiamo vissuto. Con “Hikkikomori” si racconta di un amore al tempo del covid “i camion militari in centro che passano sulla nostra strada, quella del primo appuntamento e della ultima litigata” che non può prescindere per chi è nato in quel pezzo di terra piena di benessere, e in questi anni di tanto dolore, dal ricordare sempre e per sempre le immagini che rimarranno fotogrammi nella memoria.
Perché qualcuno che si fermi a riflettere ci vuole, meglio se con un approccio popolare (l’orrore della guerra in Montale è descritto meravigliosamente bene ma in quanti si ricordano de “il sogno del prigioniero” oppure de “la primavera hitleriana”?). Guernica arriva invece a tutti, così come un film di Rossellini oppure De Sica, per tacere della “San Lorenzo” di De Gregori. Ed ecco allora “e ti arrabbiavi se salivo con le scarpe sul divano, chissà dove hai camminato, stai a vedere che mi ammalo” che è di facile comprensione e ci riporta ai giorni che ci spogliavamo sul pianerottolo di casa perché avevamo paura di contagiare chi ci stava vicino. Di facile comprensione che non vuol dire superficiale, anzi (ascoltate “cena di classe” che porta alla conoscenza del grande pubblico la storia della professoressa Bianco uccisa dal conformismo della provincia italiana per capire il livello lessicale, sociale e musicale dei Pinguini Tattici).
Questi ragazzi di Bergamo che quest’anno hanno riempito stadi in tutta Italia ce l’hanno fatta a farsi comprendere. E ai ragazzi, che erano lì quattro ore prima che cominciassero a cantare, è servito sicuramente riflettere su questi due anni maledetti ascoltando le loro canzoni il confrontarsi con il dolore che ancora non abbiamo rimosso. Galoni con “l’esercizio fisico di piangere” che è una canzone che descrive con tenerezza e precisione quello che abbiamo tutti passato ce l’ha fatta altrettanto. Aspettiamo i grandi, o forse i grandi sono già loro e siamo soltanto noi irrimediabilmente anziani.

Fonte: Il Riformista