Di Filippo Barbaro
«Il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso». Lo affermava con convinzione Antonio Scopelliti, sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione. Scopelliti iniziò la sua carriera come Pubblico ministero presso la procura della Repubblica di Roma, poi presso la procura di Milano. Si occupò di alcuni dei processi più delicati della nostra storia recente, che riguardavano attentati di mafia e di terrorismo: il primo processo Moro, il sequestro dell’Achille Lauro, l’omicidio di Rocco Chinnici, la Strage di Piazza Fontana, la Strage del Rapido 904, e anche quelli riguardanti la Nuova Camorra Organizzata di Raffaelele Cutolo.
Nel 1991 alcuni membri di Cosa Nostra intervennero personalmente per fare terminare la seconda guerra della ‘Ndrangheta, scoppiata a Reggio Calabria nel 1985 e costata da 700 a 1000 morti.
Alla mediazione, che portò alla costituzione di una Commissione interprovinciale sul modello di Cosa Nostra, parteciparono Leoluca Bagarella e Totò Riina.
Come contropartita per il ruolo di mediazione, la ‘Ndrangheta su richiesta di Cosa Nostra per la prima volta uccise un magistrato.
Si trattava proprio di Antonio Scopelliti, che avrebbe dovuto rappresentare in cassazione la pubblica accusa nel maxiprocesso.
Numerosi pentiti hanno riferito che al magistrato era stato già proposto, inutilmente, di “aggiustare” il processo per cinque miliardi di lire.
Così il 9 agosto 1991, nella frazione di Piale del Comune di Villa San Giovanni, almeno due killer su una moto spararono con fucili calibro 12 caricati a pallettoni verso l’auto alla cui guida era Antonio Scopelliti, colpendolo alla testa. Il magistrato morì all’istante.
Fonte: ilgazzettinodisicilia.it/