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«La crescita di Banco Bpm? Digitale e fabbriche prodotto»

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Il ceo: capitale in eccesso per remunerare i soci. Alle imprese 10 miliardi

Di Andrea Rinaldi e Nicola Saldutti

” Il Pnrr In vista di una fase recessiva accelerare sul Pnrr darebbe una spinta importante
«La “banca-fabbrica” e le imprese dei territori». I risultati di Banco Bpm corrono e il suo ceo, Giuseppe Castagna, è convinto che per gareggiare con altri competitor sia necessario spingere anche sulla remunerazione dei soci. Ma senza dimenticare la propria storia, la vicinanza alle aziende e spingendo sul digitale e sui prodotti innovativi. Il primo semestre per l’istituto si è chiuso con 624 milioni di utile netto (+78%) e sono stati rivisti gli obiettivi per il 2023 con un utile in crescita a 1,2 miliardi.
Dopo i vari consolidamenti, che cosa è diventata oggi Banco Bpm?
«Abbiamo avuto tre anni di grande ristrutturazione, siamo stati gli unici a fare un derisking di oltre 30 miliardi senza chiedere soldi al mercato. Dopo il Covid abbiamo ricostruito il modello di business della banca e nell’ultimo anno abbiamo fatto il salto di qualità. Le centinaia di milioni di ricavi e utili in più lo dimostrano: giochiamo una partita diversa».
La macchina ha cominciato a girare?
«Proprio così. Abbiamo sistemato la macchina organizzativa e messo a regime la forza vendita. Oggi sappiamo che la digitalizzazione è a buon punto e ora è arrivato il momento per un cambio infrastrutturale importante. Se guardiamo ai tassi, ci si aspetta che scenderanno; dunque stiamo puntando sulle fabbriche prodotto che aiuteranno a crescere quando il margine di interesse inizierà a risentire di uno scenario dei tassi in discesa».
Prima la bancassurance poi la monetica. Privilegiate un modello misto in partnership.
«Il modello di pura distribuzione non è vincente e se non hai voce in capitolo dal punto di vista industriale, il partner può scegliere di cambiare quando vuole. Noi vogliamo essere al volante anche delle società di cui siamo partner, così possiamo inserire la valorizzazione delle fabbriche prodotto nella nostra strategia e non solo guadagnare dalle commissioni. Se non sei veloce nell’offerta digitale, solo come distributore non riesci a fare innovazione».
Come intendete allora cavalcare il digitale?
«La parte di approccio al cliente è a buon punto: più dell’85% delle operazioni si fa su digitale; per quelle di vendita siamo al 40% e puntiamo al 50% nel 2024. Il problema è il costo dell’infrastruttura: siamo passati da 2.500 a circa 1.300 filiali, le abbiamo rese più performanti. A luglio abbiamo introdotto la figura del chief innovation officer cui spetterà il compito di trasformare la struttura interna, 3.000 persone nel mondo operations & it, con una forte aspettativa di innovazione e risparmio di costi».
Invece fuori come stanno le imprese?
«Intanto la possibile recessione che aleggiava da tre trimestri non si è verificata e per i primi sei mesi le cose sono andate bene, le aziende si sono avvantaggiate. Ora si vede una spinta minore, gli ordini della meccanica sono diminuiti e questo deriva dalla crisi di singoli Paesi importatori come la Germania. Può essere una situazione contingente, vedremo. L’industria si è abituata a gestire difficoltà e cambiamenti continui, abbiamo imprenditori flessibili e ne stiamo uscendo meglio di altri. Certo, i tassi alti frenano gli investimenti. Se a settembre ci fosse una pausa, potrebbe ripartire un po’ di ottimismo. Comunque un’azienda che ha un progetto di investimento importante deve portarlo avanti anche alle condizioni attuali».
E come potete aiutarle?
«Nei primi sei mesi del 2023 abbiamo erogato oltre 10 miliardi. Il nostro progetto è dare alle mid-cap le stesse capacità finanziarie delle grandi. Così stiamo facendo con Banca Akros. Non è solo il fabbisogno finanziario che vogliamo soddisfare, ma anche contribuire a fornire alle imprese strumenti per la crescita: stiamo avendo ottimi risultati. La fiducia che si crea è la base di questo mestiere e quello che costruisci in 150 anni non lo fai in pochi mesi».
Come vi muoverete sul risparmio, l’altra grande «industria» italiana?
«Abbiamo aumentato la quota in Anima: ora siamo al 21,7%, primo socio e partner industriale più grande. Anima ha un percorso di crescita da fare, ci sono azionisti importanti, c’è un ottimo management e noi siamo attenti e proattivi. Qualsiasi cambiamento strategico ci vedrebbe protagonisti. Sulle assicurazioni, quattro anni fa dopo l’accordo con Cattolica, mai avremmo pensato di cambiare. Nella monetica il fondo Fsi prima o poi uscirà, dopo averla valorizzata. Con Anima vediamo: si tratta di utilizzare al meglio il risparmio gestito quando i tassi fletteranno».ù
Gli stress test sono andati bene.
«Eravamo penultimi: oggi siamo 31esimi su 70 banche nella parte buona della classifica e abbiamo un capitale ancora più rafforzato».
La Bce ha deciso di azzerare la remunerazione della riserva obbligatoria delle banche. Cosa ne pensa di questa mossa a sorpresa?
«Il valore assoluto non è enorme, la riserva obbligatoria per noi è un miliardo su 21, sono 37,5 milioni ai tassi attuali, in meno di un anno. Il Tltro ha avuto un impatto più alto: 180-200 milioni l’anno in meno di ricavi».
Come procede il Pnrr?
«Per ora è in ritardo. Nel nostro piano 2021 pensavamo a una crescita del Pil dell’1,21% l’anno con il Pnrr. Gli unici progetti partiti sono quelli infrastrutturali. Quello che può essere il motore della crescita del manufatturiero, speriamo possa arrivare presto. In vista di una probabile fase recessiva sarebbe importante, perché darebbe una spinta notevole».
Per Banco Bpm si parla sempre di nozze.
«Abbiamo capitale in eccesso e possiamo usarlo per remunerare gli azionisti, che è quello che vuole anche il mercato, sempre con l’obiettivo di accrescere la capacità industriale sulle fabbriche prodotto. Se avessimo una remunerazione simile ad altri competitor, avremmo un titolo che prezzerebbe di più».