di Benedetto Cialeo
Tito Flavio Clemente nacque con tutta probabilità ad Atene (cfr. Epifanio, Adv. haer. 32, n. 6) tra il 145-150 da genitori pagani. Non si conoscono le circostanze della sua conversione al cristianesimo. Intraprese nella giovinezza numerosi viaggi per ascoltare i più famosi maestri del tempo, e, secondo la sua stessa testimonianza (Strom., I, 1) dalla Grecia si recò in Italia, quindi in Siria, in Palestina, e finalmente verso il 180 ad Alessandria. Ad Alessandria egli trovò ciò che cercava, in Panteno, “l’ape siciliana” direttore del Διδασκαλεῖον o scuola cristiana. C. gli divenne discepolo e, già dal 190 elevato alla dignità di presbitero della chiesa Alessandrina (Paed., I, 6), gli fu collaboratore nell’insegnamento. Alla morte di Panteno (verso il 200) C. gli successe nella direzione della scuola (Euseb., Hist. eccl., I, 6, 6); ma scoppiata la persecuzione di Settimio Severo, nel 202 o 203 fu costretto a lasciare Alessandria. Pare che si sia ritirato in Cesarea di Cappadocia presso il suo discepolo Alessandro, vescovo di quella città. Costui infatti, in una lettera scritta verso il 211, ne loda lo zelo spiegato a favore della chiesa di Cesarea mentre egli, vescovo, si trovava in carcere. In un’altra lettera dello stesso Alessandro indirizzata a Origene tra il 215-217, si parla di C. come di una persona morta.
Scritti. – Lo stile di C., al dire di Fozio (Bibl., cod. 110) è fiorito, enfatico e molto piacevole”, ma è anche poco curato e non classico, secondo l’ambiente e il tempo in cui scrisse. Nei suoi lavori il C. non sa analizzare il soggetto che tratta, sì da presentarne successivamente le diverse parti, ma lo vuole esporre tutto insieme: di qui ritorni, ripetizioni, digressioni che ne rendono pesante la lettura.
L’opera principale è una grande introduzione al cristianesimo, di cui C. stesso ci dà il disegno nell’introduzione al Pedagogo. Essa comprende tre parti: il Protreptico, il Pedagogo e gli Stromata. L’autore si prefigge di condurre gradatamente il discepolo dal paganesimo a una vita cristiana: nel Protreptico si rivolge al pagano per convertirlo; nel Pedagogo gl’insegna i precetti d’una vita cristianamente onesta; negli Stromata l’istruisce nei dogmi della fede. Nell’intenzione dell’autore dunque è un completo corso di teologia: apologetica, morale e dommatica.
Il Protreptico (Προτρεπτικός πρὸς “Ελληναις, Esortazione ai Greci), ci presenta in 12 capitoli una bell’apologia del cristianesimo. In essa l’autore, dopo aver mostrato la vanità del paganesimo e l’impotenza dei filosofi e dei poeti a darci della divinità un’idea sufficiente (c.1-7), conclude che solo dai profeti e da Gesù Cristo potremo conoscere la verità (c. 8-12).
Il Pedagogo (Παιδαγωγός) è diviso in tre libri: nel 1° parla del vero educatore che è Cristo, dei fanciulli da istruirsi, e del metodo dell’educazione che deve unire bontà a giustizia; nel 2° e 3° discende alla pratica, e dà numerosi precetti per le diverse circostanze della vita. Seguono infine un inno a Cristo salvatore, attribuito allo stesso Clemente, e un altro al Pedagogo, d’autore ignoto.
L’opera che compie la trilogia, comunemente nota col titolo di Stromata, avrebbe dovuto intitolarsi Διδάσκαλος (Maestro), e contenere una esposizione completa delle dottrine cristiane. Invece qui pure ci troviamo nel campo apologetico, senza unità di composizione; è quasi una raccolta di miscellanee, tanto che si è supposto trattarsi solo di un abbozzo dell’opera escogitata da C. (cfr. De Faye, Clément d’Alexandrie, Parigi 1898, pp. 87-111). Il titolo completo di quest’opera è Τῶν κατά τὴν ἀληϑῆ ϕιλοσοϕίαν γνωστικῶν ὑπομνημάτων: (Orditure dí commentarî scientifici secondo la vera filosofia; Strom., I, 29; III, 18). In essa l’autore mostra l’importanza della filosofia e la sua utilità rispetto alla scienza cristiana (I); fa vedere le relazioni che passano tra fede e ragione (II, V); dà i contrassegni della vera chiesa tra le sette eretiche, e cioè la tendenza alla perfezione morale, che si manifesta massimamente nella castità matrimoniale e verginale e nel martirio (III, IV), e finalmente ci presenta il vero gnostico, l’ideale della vita del cristiano (VI, VII). Ci rimangono frammenti di un ottavo libro, e soggetti accennati al principio del libro quarto non sono mai trattati: è logico quindi conchiudere che l’opera sia incompleta.
Altra operetta di C. è il Quis dives salvetur? (Τίς ὁ σωζόμενο; πλούσιος). Essa ci è pervenuta integra. È un commentario omiletico al brano evangelico Marco, X, 17-31. L’autore dimostra come i ricchi condannati da Cristo sono coloro che hanno attaccamento alle ricchezze; parla quindi del buon uso che di queste bisogna fare, e mostra come esse possano diventare mezzo di salute, dando occasione di esercitare la carità.
Di altri scritti di C. abbiamo solo il titolo. Eusebio (Hist. Eccl., IV, 26) ricorda un’opera sulla Pasqua scritta contro i quartodecimani dell’Asia; un’altra (Hist. Eccl., VI, 13) contro i giudaizzanti, una raccolta di omelie e un’esortazione ai neofiti; Palladio (Hist. Laus., 139) ricorda pure un’opera su Amos, e altri autori del sec. VII un’altra sulla Provvidenza. Infine C. stesso annunzia in varî passi altre opere che non sappiamo se siano mai state scritte; ad es.: sulla resurrezione (Paed., I, 6; II, 10); sulla profezia (Strom., I, 24); sull’anima (Strom., II, 20), e altre.
Dottrina. – Nel fissare i rapporti tra scienza e fede, C. si manteme in un giusto mezzo tra gli gnostici che disprezzavano la fede per la scienza, e i rudiores i quali condannavano qualunque sviluppo scientifico della fede. Egli riconosce la superiorità della fede sulla scienza (Strom., II, 5), professa però l’utilità di questa come propedeutica e ausiliatrice di quella. La scienza fa conoscere le verità religiose che si richiedono per credere, e poi aiuta a dare una più profonda spiegazione della fede stessa (Paed., III, 1; Strom., I, 97; VI, 109; VII, 57). È sua opinione che, come agli Ebrei Dio aveva dato la Legge e i profeti per istruirli e prepararli alla venuta di Cristo, così ai Greci aveva dato la filosofia; fra i profeti anzi e la filosofia v’è intima connessione, e questa nella sua parte migliore dipende, sia pure indirettamente, dalla rivelazione (Strom., I, 5, 15, 21, 28; Protr., 6; Paed., II, 15).
Riguardo alla S. Scrittura, ammette esplicitamente l’ispirazione soprannaturale (Strom., VI, 18; Protr., 9; Paed., I, 6) e ne riconosce la certezza assoluta, superiore a qualunque altra certezza umana (Strom., II, 4; VII, 16). Il canone dei libri sacri presso di lui è quasi completo, poiché li cita quasi tutti come S. Scrittura: si eccettuano II Pietro, III Giovanni, Filem. e forse Giacomo. Unisce però qualche volta anche alcuni apocrifi, come il Kerygma e l’Apocalisse di Pietro (Strom., VI, 5, 6, 15), il Pastore di Erma, la Didachè e la I Clemente (Strom., I, 7, 20; IV, 17, 18).
Nell’interpretazione della S. Scrittura, specialmente dell’Antico Testamento, C. fa largo uso dell’allegorismo inaugurato da Filone e seguito generalmente dalla scuola alessandrina.
La teologia clementina è generalmente ortodossa: i misteri della Trinità e dell’Incarnazione sono ricordati e illustrati (Strom., V, 14; VI, 15; VII, 2; Paed., I, 6; Prot.,1), e in quanto all’accusa di docetismo mossagli da Fozio (Bibl., cod. 109) tale errore è così attenuato che appena si può scoprire (Strom., VI, 9; III, 7; Adumbrationes in I Iohan., I 1). Abbiamo testimonianze pure su tutti i sacramenti: cfr. per il battesimo: Paed., I, 6; Strom., III, 12, ecc.; per la cresima, Quis dives, 39, 42; per la penitenza, Strom., II, 13, 20; per l’eucaristia, Paed., I, 5, 6; Quis dives, 23, 29; Strom., I, 1, 10, 19; IV, 25, V, 11; per il matrimonio, Strom., II, 33; III, 1. circa l’escatologia è dubbio se egli abbia insegnato l’errore di Origene sulla finale apocatastasi di tutte le creature (Strom., VII, 2, 12,16). Tuttavia Fozio (Bibl., cod. 109) l’accusa di gravi errori.
Per quanto non perfetta, l’opera di C. è pur sempre molto lodevole. Se non riuscì a dare una vera esposizione scientifica della fede cristiana, fornì ad essa un buon inizio, e fu suo gran merito l’essersi sforzato d’illustrare le verità soprannaturali con la filosofia. I.’opera cominciata da C. fu condotta a termine da Origene, suo discepolo, la cui celebrità oscurò la fama del maestro. Ma C. dimenticato non fu mai; e anche nell’antichità egli godette buona fama di dottrina. di ortodossia e di virtù.
Edizioni: L’edizione più antica delle opere di C. è quella del Victorius, Frenze 1550. Le migliori sono quelle del Potter, Oxford 1715, riprodotta in Migne, Patr. gr., VIII-IX, e dello Stählin, Lipsia 1905-1909.
Bibl.: N. Le Nourry, Dissertationes de omnibus Clementis Alexandrini operibus, in Migne, Patr. gr., IX, coll. 795-1485; H. J. Reinkens, De Clemente presbytero Alexandrino homine, scriptore, philosopho, theologo, Breslavia 1851; E. Freppel, Clément d’Alexandrie, Parigi 1865; C. Bigg, The christian Platonists of Alexandria, Oxford 1886; A. v. Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte, Friburgo in B. 1894; V. Pascal, La foi et la raison dans Clément d’Alexandrie, Montdidier 1901; F. J. A. Hort e J. B. Mayor, Clement of Alexandria, Miscellanies, Londra 1902; O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchlichen Literatur, I, Friburgo in B. 1903; L.-J. Tixeront, Histoire des dogmes, Parigi 1905; É. De Faye, Clément d’Alexandrie, 2ª ed., Parigi 1905; F. Buonaiuti, Clemente Alessandrino e la cultura classica, in Rivista storico-critica delle scienze teologiche, Roma 1905, I, pp. 391-412; R. Seeberg, Lehrbuch d. Dogmengeschichte, II, 3ª ed., Lipsia 1908-20; H. U. Meyboom, Clemens Alexandrinus, Leida 1912: J. Patrick, Clement of Alexandria; Londra 1914; R. B. Tollington, Clement of Alexandria, voll. 2, Londra 1914. O. Stählin, in Gesch. der griech. Litt. di W. Schmid, II, ii, 6ª ed., Monaco 1924, p. 1310 segg.
Fonte: treccani.it