Si fa presto a dire parità. Tra i grandi nodi che ancora attraversano l’Italia, e il mondo intero, c’è sicuramente l’uguaglianza tra uomini e donne, innanzitutto sul fronte del lavoro, ma non solo. A scattare una fotografia di questo traguardo ancora tutto da raggiungere è il libro ‘She leads. La parità di genere nel futuro del lavoro’, di Andrea Catizone e Stefano Cuzzilla e a cura della giornalista Silvia Pagliuca, edito dal Sole 24 Ore con 4.Manager. Dati demografici ed economici e quadro normativo italiano, europeo e internazionale in materia di parità di genere formano la cornice del volume, che però non si limita a questo: l’intento è quello di indicare la strada dell’inclusione, attraverso il racconto di alcune best practice, di esperienze positive sul fronte del coinvolgimento femminile nel mondo del lavoro e delle aziende, e attraverso le interviste a due donne che sono riuscite sicuramente a sfondare il fatidico “tetto di cristallo”: Mirja Cartia d’Asero, ad del Sole 24 Ore, e Giuseppina Di Foggia, amministratore delegato di Terna.
I numeri parlano chiaro. Prima un dato positivo: “L’Italia si colloca tra i Paesi per i quali l’impatto stimato sull’aumento del Pil” di una maggiore inclusione delle donne e una piena valorizzazione del talento femminile “potrebbe essere più elevato, fino a +12% entro il 2050”. Lo racconta Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager e tra gli autori del libro. Non è poco, tant’è vero che, come si ricorda anche nelle pagine del volume, il superamento dei gap di genere nel mondo del lavoro sono tra gli obiettivi messi nero su bianco dal Pnrr. Ma la strada da fare è ancora tanta. In base al rapporto sul gender gap del World Economic Forum, l’Italia si posiziona al 63 posto a livello globale, dopo Uganda e Zambia e appena prima della Tanzania. Le donne lavoratrici guadagnano tuttora il 13% in meno l’ora rispetto agli uomini, e la loro situazione non migliora certo dopo essere diventate madri: il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni passa dal 72% di quelle senza figli al 53% delle donne con almeno un figlio di età inferiore ai sei anni. La situazione, per quanto sicuramente migliore, non è troppo diversa quanto alla composizione di genere nelle posizioni di vertice, nel settore pubblico come in quello privato. Basti pensare che gli incarichi manageriali femminili sono solo il 28% del totale e la quota si riduce al 18% se si considerano le posizioni regolate da un contratto da dirigente.
Ecco perché le parole d’ordine devono essere “inclusione, diversità e formazione”, scrive Cuzzilla. Uno degli strumenti che ad avviso degli autori del libro è tra i più promettenti è la nuova misura della Certificazione della parità di genere. Con essa le imprese potranno misurare il proprio impegno sul fronte del capitale umano ottenendo dei benefici, come un esonero dal versamento dei contributi previdenziali in misura non superiore all’1% e con un limite massimo di 50mila euro annuali per ogni azienda. Si stima che entro il 2026 potranno essere certificate almeno 800 Pmi e circa 1000 aziende potranno ricevere le agevolazioni fiscali. Sarà un ottimo stimolo per le imprese a cambiare la cultura aziendale sul fronte della diversità e dell’inclusione, modificando anche l’approccio rispetto all’orario e all’organizzazione del lavoro, alle progressioni di carriera e via dicendo. Questo, evidenziano gli autori, sarà un beneficio non solo per i lavoratori e le lavoratrici ma anche per il mondo imprenditoriale, visto che “le aziende con una governance mista sono più competitive e reagiscono meglio alle crisi”.