TORINO – Molti scatti di Dorothea Lange, protagonista della fotografia documentaria del Novecento, sono passati alla storia.
La toccante Migrant Mother del 1936 – ritratto di una giovane madre disperata e stremata dalla povertà, che vive insieme ai sette figli in un accampamento di tende e auto dismesse – è una delle icone più celebri del secolo.
Immagini che rivelano drammi individuali e collettivi, ma forniscono anche spunti di riflessione su temi come la crisi climatica, le migrazioni, le discriminazioni. Camera – Centro italiano per la Fotografia l’ha scelta coraggiosamente per l’estate torinese. Nelle stesse date, dal 19 luglio all’8 ottobre, propone nella Project Room una mostra diversa, ma complementare, a cura di Giangavino Pezzola: la collettiva Futures 2023: nuove narrative, dedicata a sei talenti emergenti. “Ci chiediamo sempre quale sia l’offerta più consona per il mese di agosto a Torino. Abbiamo voluto fare una scommessa puntando sulla qualità. Un segnale forte in una città dove il prossimo anno arriverà il Festival dedicato alla fotografia”, spiega il presidente di Camera, Emanuele Chieli. ‘Dorothea Lange. Racconti di vita e lavoro’, curata dal direttore artistico di Camera Walter Guadagnini e da Monica Poggi, racconta, attraverso 200 immagini, i dieci anni fondamentali della attività della grande fotografa americana, fra gli anni Trenta e i Quaranta del ‘900. Lange con altri grandi fotografi viene ingaggiata dal governo per partecipare al Farm Security Administration, programma di studio e documentazione fotografica su un’area degli Stati Uniti, colpita dalla crisi economica successiva al crollo di Wall Street, dalla siccità, dalle tempeste di sabbia e poi dalle esondazioni del Mississippi. Un lavoro che dura tre anni e produce un’enorme massa di fotografie, circa 280mila. Tra le immagini esposte anche la bellissima ‘Toward Los Angeles, California’ del 1937, dove un cartellone pubblicitario che recita ‘La prossima volta prendi il treno. Relax!’ fa da cinico contraltare al cammino di due migranti. Un altro nucleo di lavori esposti rivela, invece, una vicenda poco nota della storia americana del Novecento: i campi di detenzione della popolazione di origine giapponese – circa 110.000 persone – negli Stati Uniti dopo il bombardamento di Pearl Harbor. Camera propone un programma di incontri aperti al pubblico sui temi affrontati negli scatti della fotografa americana. Il primo, il 20 luglio, con l’artista e designer olandese Erik Kessels: racconterà il progetto della Fiat 500 Topolino che il padre dell’autore stava restaurando prima di avere un ictus e che diventa il simbolo di una vita rimasta in sospeso.