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William Shockley e il transistor a giunzione

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di Giorgio De Vita

Lo scienziato fisico americano William Shockley, nato a Londra nel 1910 ma vissuto sin da bambino in California, era coordinatore di un gruppo di ricercatori dei laboratori Bell: nel gennaio del 1948 inventò e realizzò il primo transistor a giunzione.

In pratica questo nuovo componente elettronico nacque da un’evoluzione del transistor “a punte metalliche” (contatti puntiformi) realizzato il mese precedente da Walter Brattain e John Bardeen, collaboratori di Shockley. A tutti e tre fu attribuito il premio Nobel per la fisica, nel 1956.

Storicamente, dunque, il primo transistor fu quello a punte, ma risultò fin da subito che i suoi non trascurabili difetti, in termini di “rumore” e stabilità, ne avrebbero limitato fortemente le possibilità di utilizzo commerciale. Tali limiti furono superati, appunto, dal transistor “a giunzione” ideato da Shockley.

Evitando di addentrarsi negli aspetti più tecnici, riservati agli specialisti, si può descrivere questo componente, in maniera volutamente elementare, come un insieme di tre strati adiacenti di cristalli di elementi semiconduttori, trattati alternativamente con elementi del 3° e 5° gruppo della tabella degli elementi. In origine, come semiconduttori, si usavano germanio e silicio : adesso, solo il silicio.

I due strati esterni del “sandwich” così ottenuto vengono trattati alla stessa maniera, a differenza dello strato centrale. Per esempio, si possono trattare (in gergo : “drogare”) i due strati esterni con atomi di elementi del 3° gruppo (alluminio, tallio, boro, gallio) e lo strato interno con elementi del 5° gruppo (fosforo, arsenico), oppure viceversa.

Il silicio appartiene al 4° gruppo. Il drogaggio appena descritto genera nei cristalli di silicio delle impurità, per la presenza (rispetto ai 4 elettroni dell’orbita più esterna, del silicio) di atomi con elettroni in eccesso (elementi del 5° gruppo, quindi con 5 elettroni) oppure in difetto (elementi del 3° gruppo, con 3 elettroni: si parla, in questo caso, di “lacune” o “buchi”). Questa situazione altera però l’equilibrio (elettrochimico, in questo caso) a cui tutto tende in natura, come noto.
Il cristallo di silicio sarebbe in equilibrio se tutti gli atomi avessero 4 elettroni nello strato più esterno, ma il drogaggio significa che, invece, vengono aggiunti anche atomi con 3 oppure 5 elettroni.
Si ottiene così che attraverso le due giunzioni del “sandwich”, opportunamente polarizzate, scorrono elettroni che, senza riuscirci, cercano, per così dire, di ristabilire l’equilibrio perduto, e si genera quindi una corrente.
Questo componente elettronico può funzionare, principalmente, da amplificatore e da interruttore. Tali funzioni venivano svolte, fino ad allora, dai tubi a vuoto (dispositivi volgarmente detti : “valvole”), che sono ingombranti (circa 10 volte più grandi dei transistor), pesanti (costituite da vetro e metallo), fragili, e richiedono alimentatori elettrici tradizionali, con notevole sviluppo di calore e spreco di energia.
E’ quindi facile intuire la portata epocale dell’invenzione del transistor a giunzione, il cui nome deriva dai vocaboli “TRANSconductance” e “varISTOR”.

Per far funzionare le valvole è necessario alimentarle collegandole alla rete elettrica tradizionale, in tensione alternata. Se ricordo bene, a Pistoia, a cavallo fra gli anni ’50 e ’60, l’illuminazione domestica funzionava a 160 volt (si parlava, comunemente, di “corrente (!!!) normale”); le prese, invece, a 260 volt (cosiddetta “corrente industriale”).

Un alimentatore pesava anche qualche chilo: era costruito con lamelle di ferro e si utilizzavano cavi elettrici anche di 2 o 3 millimetri di diametro.
Al confronto delle valvole i transistor apparivano minuscoli, con le loro dimensioni di pochi millimetri. Erano alimentati da comuni batterie a 1,5 volt e si usavano fili elettrici piccoli quasi come capelli.
Si passò così dai mobili-radio casalinghi in radica di noce, oggi diventati pezzi da collezionismo (Ducati, Marelli, Geloso, Telefunken, Grundig ecc. le marche più diffuse), alle “radioline” tascabili. Il peso scese di colpo a circa 150 – 200 grammi in media, e di questi la quasi totalità era costituita dalle batterie e dall’altoparlante.
Insomma : una rivoluzione tecnologica. Il mondo moderno ha vissuto altre di queste rivoluzioni. Per esempio, l’utilizzo della corrente elettrica ci permette di illuminare premendo semplicemente un interruttore invece di accendere candele e lanterne; ci consente di usare motori elettrici per salire ai piani con comodi ascensori e montacarichi, vincendo così dislivelli impossibili solo un secolo fa.
Il telefono, la radio e la televisione hanno rivoluzionato il modo di comunicare: siamo passati da quantità irrisorie di dati, che circolavano in tempi biblici, a data-base enormi a cui si può accedere in tempo reale. Quante guerre si sarebbero potute evitare…?
La famosa auto FORD modello T, costruita in catena di montaggio e venduta a prezzi popolari, ha generato per prima gli spostamenti di massa delle famiglie.

E del transistor cosa possiamo dire, al riguardo?
Con questo dispositivo si è potuta diffondere l’informazione e la musica ovunque e con facilità. Non è stato più necessario riunire la famiglia attorno al mobile-radio o al televisore (ancora poco diffuso) per ascoltare le canzoni preferite, o il gran varietà, o il giornale radio.
Allo stadio ci siamo trovati di fronte a nuovi scenari: i tifosi con le radioline all’orecchio; il boato del pubblico, lì per lì inspiegabile nel bel mezzo di un’azione magari insignificante, quando Ameri o Ciotti comunicavano la notizia di un gol importante in serie A.

Ma questo è niente di fronte all’importanza della miniaturizzazione e della diffusione dei cosiddetti “circuiti integrati”, figli naturali del transistor. Chi non ricorda il mitico 555, integrato tuttofare con cui, saldatore e stagno alla mano, per anni interi ci siamo divertiti a progettare, montare e costruire i primi apparecchi digitali? Amplificatori, contatori, display a led a 7 segmenti, contagiri, frequenzimetri e via dicendo.
I primi computer a prezzi popolari e dimensioni “umane” sono nati così, negli anni ’80: Sinclair ZX Spectrum, Commodore 64, fino ad arrivare al KYBER, addirittura made in Pistoia!

E poi televisori sempre più performanti, elettrodomestici sempre più funzionali, giochi sempre più complessi e appassionanti, servomeccanismi sempre più utili, potenti ed evoluti.
In auto e in moto adesso abbiamo ABS, ESP, controllo di trazione, anti-impennamento, centraline di controllo (veri e propri microcomputer), accensioni ed iniezioni elettroniche, computer di bordo; per la sicurezza, l’efficienza, l’affidabilità, per il risparmio energetico, per limitare l’inquinamento.

Nell’ambito delle comunicazioni mi limito a citare i telefoni cellulari, gli smartphone, i tablet…
Mi fermo qui, sottolineando che tutto questo ha avuto origine dal transistor di Shockley.

Il nostro inventore morì nel 1989. Di questo fatto ho un ricordo preciso: lessi il giornale, ne parlai con amici e ci meravigliammo della mancanza di attenzione riservata dai media televisivi alla notizia. Io feci una riflessione triste e amara. Le nostre tivù, private o di stato, ci sommergono continuamente anche di notizie insignificanti, frivole, che servono solo, al massimo, a stimolare la curiosità di pochi: nei vari TG abbiamo assistito, per esempio, a servizi su corsi per produrre il gelato artigianale, oppure su gruppi di giapponesi che vengono in Italia (dal tono del servizio, sembrerebbe, appositamente !) per imparare come si fa la piadina romagnola, oppure sull’ultimo CD del cantautore di successo, e via dicendo. Quando muore il truccatore delle dive, il costumista famoso, il parrucchiere degli attori di grido, oppure lo sceneggiatore, il coreografo, lo stilista, possiamo star certi che ci verrà trasmesso il relativo servizio.
Tanto di cappello a tutti questi personaggi, per carità, ma allora, dico io, in occasione della scomparsa di William Shockley, che ci ha cambiato, davvero, la vita?
Niente di niente, non ho visto né sentito spendere nemmeno una sillaba: il nulla eterno.
Che vergogna…

 

Fonte:.ordineingegneri.pistoia.it/