Gian Domenico Caiazza
Una riforma legislativa deve certamente essere giudicata in base al suo contenuto tecnico ed alla sua concreta capacità di modificare norme e comportamenti, ma anche alla luce dei segnali -politici e culturaliche essa è in grado di lanciare a tutta la comunità sociale. Questo primo pacchetto di riforme, finalmente targate Nordio, merita apprezzamento più per i segnali che lancia, che per il concreto impatto che sembra in grado di avere sulla realtà normativa. La introduzione del divieto di impugnazione per il Pm delle sentenze di assoluzione richiama una delle più significative istanze garantiste da sempre propugnate dai penalisti italiani, e da tutti coloro che credono nel modello accusatorio del processo penale. Ma la sua limitazione alla platea dei reati meno gravi (c.d. a citazione diretta) riduce in concreto il divieto a poca cosa, visto che per quei reati le impugnazioni dei Pm costituiscono una percentuale davvero minima. Lo stesso vale per l’interrogatorio preventivo, in stato di libertà, dell’indagato nei confronti del quale vi è richiesta di misura cautelare in carcere. Un bel segnale di privilegiata attenzione, nello scontro tra il cittadino e la potestà punitiva dello Stato, al valore della libertà personale. In concreto, tuttavia, a questo interrogatorio non dovrà procedersi per il vasto catalogo dei reati c.d. “di maggiore allarme sociale”, e comunque mai, anche per quelli meno gravi, se la misura cautelare venga richiesta per pericolo di fuga o di inquinamento delle prove: dunque un ambito di applicazione davvero molto ristretto e residuale. Sul tema delle intercettazioni, dobbiamo invece dire: tanto rumore per nulla. E questo non solo perché la estensione del divieto di pubblicazione è minimale, colpendo solo le intercettazioni che non vengano utilizzate dal giudice nella ordinanza custodiale e poi nel dibattimento; ma soprattutto perché la riforma non mette mano alla ridicola ed ininfluente sanzione (poche centinaia di euro) da sempre prevista per chi viola quel divieto. Chi strepita di “bavaglio” sfida temerariamente il senso del ridicolo. Nemmeno sfiorate, invece, le questioni serie, che riguardano i criteri di ammissibilità delle intercettazioni e il catalogo dei reati per i quali esse debbano essere consentite. Per non dire dello scandalo delle intercettazioni delle conversazioni tra difensore ed assistito: prima ti ascolto, poi ne valuto la legittima utilizzabilità! Molto positiva, invece, e senza riserve, l’abrogazione del reato di abuso in atti di ufficio e la riscrittura del traffico di influenze, così eliminando reati che, statistiche alla mano, non producono condanne, ma consentono un indebito controllo preventivo delle Procure sulla politica e sulla pubblica amministrazione.
Dunque, segnali importanti, e primi timidi ma inequivocabili passi sulla strada di una riforma liberale della giustizia che, tuttavia, è ancora tutta da scrivere.
Fonte: Il Riformista