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La nuova Giustizia secondo Nordio

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Un garantista a Via Arenula. “Pronto il progetto di riforma”, a partire dal reato di abuso d’ufficio. Stretta sulla segretezza degli atti giudiziari. Sì alla separazione delle carriere, ma serve una revisione costituzionale. Il ministro alla Festa del Fog

Di Simone Canettieri

Per accelerare la giustizia si deve anche “diminuire il contenzioso. Basti pensare che su mille procedimenti per il reato di abuso d’ufficio, 995 si concludono con un nulla di fatto e gli altri cinque si concludono perché sono connessi ad altri tipi di reati”. Al ministero c’è una “sintonia assoluta” “La separazione delle carriere è nel programma di Fratelli d’italia, quindi si deve fare. Qual è il punto? Che da sola non funziona se non la collochi unitamente ad altre forme di modifiche, compresa per esempio quella del Consiglio superiore della magistratura o della discrezionalità dell’azione penale”
Buongiorno, grazie al ministro della Giustizia Carlo Nordio per essere venuto a trovarci. E’ tornato un po’ a casa, perché questo è stato anche il suo ufficio. “Intanto grazie, grazie dell’invito e grazie della vostra partecipazione. Sì, una doppia casa, perché la mia carriera si è svolta completamente a Venezia, sempre per la procura della Repubblica (tranne i primi due anni come giudice istruttore), e quando la vecchia procura doveva ancora essere restaurata per una decina d’anni le mie stanze sono state proprio qui sotto”.
Se qui i muri potessero parlare… perché lei era famoso per non far uscire niente sui giornali. “Sono sempre stato riservato”.
“Qui dentro – continua il ministro Nordio – è stata elaborata una serie di importanti atti giudiziari. Forse il più delicato è stato l’informazione di garanzia per le cooperative rosse nei confronti di D’alema, Craxi e Occhetto. Non è uscita una parola sui giornali e anche per tutte le intercettazioni che abbiamo fatto, mai sono stati violati segreti istruttori”.
Visto che questa è la Festa dell’innovazione e che questa è stata casa sua, immagino che potrà rilassarsi e raccontarci un po’ cosa ha in mente per questoministero così delicato. Io inizierei con una piccola provocazione che è questa. Noi abbiamo conosciuto il magistrato, poi abbiamo conosciuto il Nordio editorialista, cardine anche del garantismo, e adesso c’è il ministro Nordio: sono le stesse persone oppure quando si fa politica, quando bisogna cercare una sintesi all’interno del governo, è poi difficile portare avanti le battaglie che l’hanno connotata e l’hanno anche portata al ministero di Via Arenula? “Diciamo che i cardini del mio pensiero, per quanto riguarda i fondamentali della giustizia penale e del garantismo sono rimasti invariati e resteranno invariati, altrimenti non avrei accettato l’incarico. Detto questo, la politica è l’arte del possibile, del compromesso e della mediazione, e quindi quando in una coalizione ci sono sensibilità differenti si raggiunge un punto di accordo, che magari non coincide al 100 per cento con quelle che sono le tue idee ma nella strategia globale dell’obiettivo che ti proponi (che è quello proprio di aumentare il garantismo nel nostro processo penale) coincide con il mio pensiero”.
Va molto di moda parlare dell’egemonia culturale che la destra vorrebbe innestare nel paese. Innestare un po’ di egemonia garantista è una sua sfida? “Questa è sicuramente una sfida perché, ripeto, le sensibilità culturali e politiche di chi forma una coalizione sono per definizione diverse, altrimenti ci sarebbe un partito unico. Però vorrei aggiungere che la sensibilità garantista è molto più trasversale di quanto potrebbe sembrare dalla ripartizione dei partiti. Per fare un esempio, io ho scritto un libro assieme a Giuliano Pisapia, “In attesa di giustizia”, perché entrambi abbiamo presieduto a suo tempo una commissione per la riforma del codice penale e ci siamo trovati d’accordo sul 90 per cento delle cose. Vorrei citare l’ex presidente della commissione Terrorismo e stragi, il senatore Pellegrino. Vorrei nominare il mio amico Macaluso. Ecco, tutte persone assolutamente di sinistra, ma con le quali c’era un’assoluta consonanza su tutta una serie di questioni”.
La prossima settimana dovrebbe tenersi un Consiglio dei ministri in cui sarà approvato il primo pacchetto di norme sulla giustizia, penso soprattutto a quella sull’abuso d’ufficio. Lei auspica che su alcune norme ci sia una maggioranza ampia, e forse potrebbe essere anche la prima volta che avvenga in questa legislatura? Il Terzo polo si è schierato apertamente a favore della riforma. Visto che ci sono tanti sindaci del Pd che sull’abuso d’ufficio hanno fatto delle battaglie, auspica che magari qualche sindaco dica a Elly Schlein “perché non ascoltiamo le parole e la riforma del ministro?”. “Il progetto di riforma è pronto. Che venga poi portato questa settimana al Consiglio dei ministri io lo auspico, ma questo dipende da una serie di fattori. Però se non fosse questo sarebbe il prossimo. L’accordo politico c’è. Sarebbe improprio se adesso io mi dilungassi sui dettagli, e sarebbe anche irriverente nei confronti dei colleghi. In linea generale corrisponde a quello che già avete anticipato sulla stampa e quello che ha anticipato lei adesso. Per quanto riguarda nello specifico l’abuso d’ufficio, posso affermare che vi è stata una processione di amministratori e soprattutto di sindaci, anche appartenenti al Pd e ad altre formazioni, che ci hanno supplicato di abolire questo reato che crea la paura della firma e li espone a una serie di rischi di indagine che poi compromette anche la loro carriera politica, ma soprattutto compromette l’accelerazione delle procedure amministrative e quindi, in definitiva, si riverbera negativamente sui cittadini. Come abbiamo spiegato anche al commissario europeo per la Giustizia, le riforme dei reati della Pubblica amministrazione non incidono minimamente su quella che è la lotta alla corruzione, al contrario la potenziano. Peraltro, noi abbiamo un arsenale normativo nei confronti degli amministratori infedeli che è il più alto d’europa: sono oltre trenta norme. Il nostro obiettivo è proprio quello di accelerare, non solo l’amministrazione, ma anche la giustizia”.
Scusi se la interrompo, lei ieri è andato in Lussemburgo a rassicurare l’unione europea o a informarla? “Noi siamo andati in Lussemburgo perché ieri c’era la riunione del Gai, e a margine c’è stato un incontro con il commissario europeo. Non c’è stato bisogno di rassicurare, però ne ho approfittato. Qualcuno in Italia ha avuto l’ardire di insinuare che l’abrogazione o una riforma radicale dell’abuso di ufficio sarebbe contro le direttive europee, che è una stupidaggine colossale. Si tratta invece di spiegare all’europa qual è il sistema integrato che noi abbiamo nel nostro paese per combattere la corruzione e gli amministratori infedeli, e anche per accelerare i processi. Loro per esempio insistono molto sulla velocità della nostra giustizia, per esempio aumentando gli organici, ma vi è un secondo modo – che forse non hanno ben capito – oltre a questo per accelerare la giustizia, ed è quello di diminuire il contenzioso. Basti pensare che su mille procedimenti per il reato di abuso d’ufficio, 995 si concludono con un nulla di fatto e gli altri cinque si concludono perché sono connessi ad altri tipi di reati. Ecco, eliminare o ridurre in modo radicale questo contenzioso significa lasciare spazio agli altri processi e accelerare la giustizia”.
Parlavamo di Pnrr. Nei giorni scorsi ci sono state polemiche abbastanza dure da parte della Corte dei conti, ma anche dell’anm. Lei nota che c’è di nuovo uno spirito corporativo che, in maniera forse più o meno pregiudiziale, non intende fargliene passare una, per un istinto di preservazione? “Premesso che quando una persona è investita di un potere non se ne spoglia volentieri, per una ragione direi quasi naturale, più che istinto di preservazione io parlerei di misoneismo, cioè la paura del nuovo. E’ una pigrizia mentale che riposa nel detto ‘si è sempre fatto così’. Ed è proprio perché si è sempre fatto così che la nostra giustizia, sia quella amministrativa, sia quella penale e civile, si è aggrovigliata su sé stessa e un processo in Italia dura tre-quattro volte quello che dura nel resto d’europa. Negli ultimi mesi ho consultato una serie di ministri miei colleghi e ambasciatori che sono venuti a trovarci a Roma e ci dicono tutti ‘i nostri non investono in Italia per la primaria ragione che da voi i processi sono lunghi e non c’è certezza del diritto’. Questo ha una rilevanza economica. La lentezza della giustizia italiana ci costa il 2 per cento di pil”.
Volevo partire da un caso di cronaca, quello della donna uccisa mentre aspettava un bimbo di sette mesi. C’è stato un eccesso a di cronaca nera, anche da parte della nostra categoria (dei giornalisti), che poi non ha aiutato. Lei che cosa pensa quando vede gli atti uscire sui giornali, nei video… insomma c’è stato forse un abuso? “Io farei una divisione tra ciò che non è lecito pubblicare e ciò che è lecito. Nel primo ambito, per esempio, ci sono gli atti coperti da segreto, gli atti istruttori, le intercettazioni. Quando qui il segreto viene violato è giusto intervenire in modo repressivo e se l’intervento repressivo non funziona cambiare la legge, che è poi uno dei nostri obiettivi principali, per tutelare la riservatezza delle persone che vengono esposte a una delegittimazione attraverso la stampa e non sono nemmeno soggetti processuali. Già non si dovrebbero pubblicare le intercettazioni tra due persone che parlano, ma se due persone parlano di un terzo, quel terzo è addirittura senza difesa. Aggiungo che più le persone sono vicine al crimine, tanto più sanno di essere intercettate. Questa è una delle ragioni per la quale le intercettazioni vanno calibrate e vanno tenute cum grano salis. Coinvolgere un terzo può anche essere un modo malizioso per farne uscire il nome e delegittimare qualcuno. Quindi bisogna intervenire”.
Noi l’abbiamo anticipato tempo fa, anche con un articolo del nostro direttore Claudio Cerasa. L’ipotesi che il governo intervenga e metta diciamo un muro sugli atti che si possono pubblicare solo a indagine chiusa è un obiettivo suo del governo? “Sì è un obiettivo, nei limiti in cui si prefigge di tutelare, non solo l’efficacia delle indagini, ma anche la dignità dei terzi. Oggi la segretezza degli atti processuali è considerata essenzialmente in funzione dello sviluppo delle indagini, cioè della tutela del buon andamento delle indagini. Per questo si dice che quando l’atto è venuto a conoscenza del destinatario perde o perderebbe la sua segretezza. E noi invece vorremmo estendere questa tutela proprio al destinatario degli atti, perché nel momento in cui una persona è destinataria anche solo di una informazione di garanzia e il suo nome esce sui giornali, la condanna è già anticipata. Però stiamo attenti. Venticinque anni fa, quando ho scritto il mio primo libro sulla giustizia, c’era un titoletto: non sparate sul cronista. Non ho mai dato e non mi sognerei mai di dare la colpa di questo ai suoi colleghi giornalisti. Quando arriva una notizia, a meno che non sia una notizia di fonte illecita, per esempio un atto secretato, si ha il diritto di pubblicarla. La colpa non è di chi la riceve, del giornalista, ma di chi gliela dà e non vigila abbastanza perché non venga divulgata”.
Senta, che aria c’è al ministero? Perché abbiamo letto e scritto ricostruzioni di un ambiente un po’ complicato, anche per la presenza di tanti magistrati al ministero. Su questo pensa di intervenire? “Ho letto delle cose quasi metafisiche, addirittura che il nostro ufficio legislativo remerebbe contro la volontà del ministro. Premetto che nel nostro ministero c’è una sintonia assoluta. Tra l’altro non è un mistero che quando sono arrivato ho cambiato praticamente tutti i vertici apicali della magistratura, perché chi entra al ministero, se è un magistrato, cessa di essere magistrato e diventa braccio esecutivo dell’organo politico che è il ministro. Non c’è quella libertà e quell’indipendenza che aveva prima, quando faceva il magistrato. Se tu accetti di entrare al ministero, tu sai che entri in un organismo politico al cui vertice c’è chi reca la responsabilità politica di fronte al governo, di fronte al Parlamento e quindi di fronte al popolo. Il nostro ufficio legislativo ha lavorato stupendamente e lo vedrete quando saranno presentati, tra poco, i progetti di riforma. Per quanto riguarda la presenza di magistrati al ministero, è vero che nel ministero ci sono molti magistrati e forse troppi. E’ vero che alcune cariche apicali possono essere per legge ricoperte solo da magistrati. Ma vi è anche una ragion pratica oltre a questa ragion pura, ed è che se un magistrato entra al ministero per incarichi secondari, si trascina lo stipendio di magistrato, che è uno stipendio più che decoroso. Se quel posto fosse occupato da un avvocato o da un professore universitario, questi avrebbe una retribuzione che nessun avvocato o professore universitario accetterebbe, perché nessuno viene per tremila euro al mese a lavorare a Roma se è un avvocato o un professore universitario esperto e bravo. O li paghi o prendi magistrati perché si portano dietro lo stipendio. Questa è una cosa di cui nessuno ha mai parlato, ma quando ti obiettano che il ministero sarebbe infarcito di magistrati, questa è una delle ragioni”.
Ha in mente di lanciare un segnale su questo? “E’ un problema estremamente complesso che riguarda soprattutto il Mef, perché se tocchi gli stipendi dei quadri e dei dirigenti ministeriali poi a cascata devi fare tutta una serie di operazioni parallele sulle quali non intendo in questo momento avventurarmi”.
Parliamo di separazione delle carriere. E’ vero che Giorgia Meloni è la prima a insistere a volere proprio questa riforma? “Certo. La separazione delle carriere è nel programma di Fratelli d’italia e nel programma concordato con gli altri, quindi si deve fare per ossequio agli elettori che ci hanno votato. Qual è il punto? Che la separazione delle carriere da sola non funziona se non la collochi unitamente ad altre forme di modifiche, compresa per esempio quella del Consiglio superiore della magistratura o della discrezionalità dell’azione penale. Noi abbiamo un codice penale che disciplina i delitti e le pene che gode di buona salute ed è firmato da Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III. Se voi entrate in un tribunale potete vedete il giudice che magari condanna una persona per apologia del fascismo e lo fa in base a un codice che è del 1930 e reca la firma di Benito Mussolini, capo del governo. Il codice di procedura penale, che disciplina le indagini e il processo, è del 1988/1989 ed è firmato da un pluridecorato della Resistenza, Giuliano Vassalli, grande giurista, socialista e partigiano. Il suo codice di procedura penale, che andava in senso liberale accusatorio anglosassone, quindi con la separazione delle carriere e la discrezionalità dell’azione penale, è stato demolito dalla stessa Corte costituzionale sulla base di una Costituzione che è nata dalla Resistenza. Quindi c’è proprio una serie di contraddizioni nel nostro sistema giuridico complessivo e se tu non intervieni su queste non funziona nulla. La risposta: per fare queste riforme, a cominciare dalla separazione delle carriere, occorre una revisione costituzionale, e per fare una revisione costituzionale i tempi sono più lunghi. Ecco perché non se ne parla ora. Però è nel nostro programma e ci stiamo già attivando.
Ministro io la ringrazio e la saluto, ma con un’ultima domanda: lei firmerebbe di nuovo il decreto anti-rave? “Lei sa cosa dice l’ecclesiaste? Omnia tempus habent: ogni cosa ha il suo tempo e c’è un tempo per ogni cosa”.

Fonte: Il Foglio