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La storia del ponte di Brooklyn (e degli elefanti)

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Per dimostrare ai newyorkesi che era sicuro, il ponte di Brooklyn fu collaudato da una sfilata di pesanti animali esotici: elefanti, dromedari e cammelli. Ecco come fu realizzato il primo ponte sospeso in acciaio, inaugurato nel 1883.

Ventun elefanti, dieci dromedari e sette cammelli a spasso sul Ponte di Brooklyn. Il capofila, che si chiamava Jumbo, pesava più di sei tonnellate: l’idea di impiegarli per dimostrare ai newyorkesi che il primo ponte sospeso costruito in acciaio (e che per molto tempo sarebbe stato il ponte sospeso più lungo del mondo) era sicuro e in grado di sopportare tanto peso – venne a Phineas Taylor Barnum, il famoso imprenditore circense. Che quel giorno, il 17 maggio 1884, con i suoi pesanti animali esotici “collaudatori” fece, per il suo circo, un colpo di marketing da maestro.

PANICO E VITTIME. Il ponte simbolo di New York, infatti, aveva bisogno di essere “rilanciato” perché i newyorkesi erano rimasti scioccati da un episodio di cronaca accaduto appena una settimana dopo l’inaugurazione trionfale del 24 maggio 1883. Secondo quanto riporta un articolo del New York Times, una donna cadde dalle scale di legno laterali sul lato di Manhattan e un’altra si mise a urlare, con il risultato che la gente pensò che il ponte stesse crollando: la folla si mise in fuga, nella calca morirono 12 persone e ci furono anche più di 35 feriti.

LA GELATA SULL’EAST RIVER. Già in passato, peraltro, erano stati in pochi a credere possibile la realizzazione di tanta meraviglia ingegneristica. In mezzo a quei pochi, c’era l’immigrato tedesco John Augustus Roebling, di professione ingegnere e con il pallino dei ponti sospesi. È a lui che si deve la nascita del simbolo per eccellenza della Grande Mela, immaginato in un gelido giorno del 1852.

Nel corso dell’Ottocento capitò spesso, durante gli inverni più rigidi, che l’East River, il fiume che divide l’isola di Manhattan dall’area di Brooklyn (all’epoca due cittadine distinte), si ghiacciasse, rendendo impossibile l’attraversamento. E in quell’inverno del 1852, a rimanere bloccato per ore su un traghetto in mezzo al ghiaccio fu, tra gli altri, proprio John Roebling, assieme al figlio quindicenne. Fu in quell’occasione, rivelerà poi il ragazzo, che il padre si mise in testa di erigere un maestoso ponte che liberasse i newyorkesi dalle limitazioni del maltempo.

All’epoca, erano tra l’altro già molti gli abitanti di Brooklyn che lavoravano a Manhattan, costretti ogni giorno ad attraversare l’East River su imbarcazioni lente e disagevoli. Le cose proseguirono così ancora per alcuni anni, finché nel gennaio 1867 una nuova gelata tornò a fermare i traghetti, inducendo le istituzioni locali a emanare finalmente un disegno di legge per la costruzione di un ponte.

A gestire l’impresa sarebbe stata la neonata New York Bridge Company, assieme a un’omologa compagnia di Brooklyn. Per la direzione dei lavori e la stesura del progetto si pensò naturalmente a Roebling, che aveva a curriculum varie strutture sospese in tutto il Nord America (tra cui la prima dotata di ferrovia, presso le cascate del Niagara) e che da quel 1852 non aveva smesso di pensare a un grande ponte sull’East River.

  

L’OPERA PIÙ AMBIZIOSA. Il Brooklyn Bridge, primo ponte sospeso con cavi d’acciaio, materiale simbolo della “seconda rivoluzione industriale”, si prospettò da subito come l’opera ingegneristica più imponente dell’epoca. Il progetto prevedeva l’edificazione di due grandi torri in stile neogotico, di circa 85 metri di altezza (quando i palazzi più alti di Manhattan superavano di poco i 10 metri), da realizzare con calcare e granito.

Tali strutture, erette presso i lati del fiume e collegate alle rispettive sponde, avrebbero sostenuto una campata di circa mezzo chilometro. A tenere il tutto “in tiro”, una serie di enormi cavi d’acciaio. Quanto alle misure finali, la larghezza del ponte avrebbe superato i 20 metri e la lunghezza complessiva i 1.800 metri. Un progetto davvero ambizioso, tanto più che bisognava fare i conti con la particolare conformazione del fondale dell’East River, talmente fangoso e sabbioso che era impossibile prevedere a quale profondità si trovasse il fondo roccioso utile a sorreggere l’enorme struttura del ponte.

John Roebling mantenne tuttavia sempre il proprio ottimismo, e nel 1869, dopo l’attenta revisione di ogni dettaglio, i lavori poterono iniziare. Solo che, all’improvviso, il caparbio ingegnere morì. A Roebling fu fatale un incidente capitatogli a giugno, mentre era su una banchina sulla sponda di Brooklyn, urtata da un traghetto in fase di attracco. Nella collisione, l’ingegnere si ferì a un piede e i medici dovettero amputargli le dita, ma Roebling si ammalò poi di tetano e il 22 luglio 1869, all’età di 63 anni, morì. Non però il suo sogno: la responsabilità del progetto venne infatti assunta dal figlio Washington, ormai trentaduenne, anch’egli ingegnere. Al suo fianco, la moglie Emily Warren.

LA MALATTIA DEI CASSONI. La prima fase del progetto prevedeva dunque lo scavo del fondale dell’East River ed era forse la parte più ardua. Di certo, quella che fece più vittime: molti operai furono infatti colti dalla cosidetta “malattia dei cassoni“, che nei casi peggiori poteva portare a paralisi se non addirittura al decesso.

Alla base di tutto vi erano le condizioni infernali in cui si lavorava.

Il lavoro nei cassoni (posizionati alla fine a una profondità di una dozzina di metri su lato di Brooklyn e di oltre venti su quello di Manhattan) terminò nel 1872, non prima che si ammalasse anche Washington Roebling, risalito un giorno troppo in fretta dopo un giro di controllo. Il figlio del compianto John perse in poco tempo l’uso delle gambe, ma anche in questo caso l’ambizioso progetto del ponte proseguì nella sua attuazione, stavolta grazie a Emily Warren Roebling, la caparbia sposa di Washington.

Quest’ultimo, armato di cannocchiale, supervisionava i lavori dalle finestre della sua casa a Brooklyn, mentre lei, ricevendone quotidianamente i dispacci con le indicazioni per gli operai, coordinava sul campo l’esecuzione del progetto, studiando nel frattempo testi di ingegneria civile. Divenne così la prima donna “capo cantiere” che la Storia ricordi.

Nonostante il presentarsi di nuove difficoltà tecniche e il ripetersi di incidenti d’ogni genere (alla fine si conteranno oltre 20 decessi), nel 1876 furono ultimate le torri, con i relativi ancoraggi alle sponde, e nell’aprile 1883 fu completata la grande campata centrale, la cui lunghezza finale si assestò sui 486 metri. Emily ufficializzò a quel punto la fine dei lavori, che avevano impegnato un totale di circa 600 operai, e annunciò la imminente inaugurazione del ponte, fissata per il 24 maggio 1883. All’evento partecipò una folla sterminata, e la prima a camminare sul Brooklyn Bridge fu proprio Emily, seguita da 150mila curiosi. Si svolse una regata, e la festa fu chiusa da uno spettacolo di fuochi d’artificio che illuminò a giorno il nuovo skyline newyorkese.

MONUMENTO NAZIONALE. La storica “unione” delle sponde dell’East River fu l’antipasto di quanto avvenne nel 1898, quando un provvedimento detto “accorpamento”, o consolidation, unì sul piano istituzionale Manhattan a Brooklyn e ad altre realtà cittadine limitrofe (Bronx, Queens e Staten Island), dando vita all’odierna metropoli di New York. Peraltro, il ponte-simbolo della città aveva un nome diverso: all’inizio fu infatti chiamato New York and Brooklyn Bridge, divenendo poi East River Bridge e solo nel 1915 Brooklyn Bridge. Nel 1964 è stato dichiarato monumento storico nazionale, mentre nel 1951 vi era stata posta una targa, tuttora visibile, in omaggio all’impegno di John Augustus Roebling e dei suoi cari. La dedica principale è per Emily. “Dietro ogni grande opera possiamo trovare l’altruismo di una donna”.

 

Fonte: Focus.it