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La solitudine di una madre, in un Paese senza natalità

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ANSA

 

La solitudine di una madre si manifesta in un’infinità di situazioni, difficili da registrare tutte. Può nascere già in gravidanza o con il parto, in ospedale. Un altro tema di cui recentemente si è discusso riguarda il rooming in (il neonato in stanza d’ospedale dopo il parto 24 ore su 24): secondo la ginecologa Canitano “è una pratica da favorire ma senza imposizioni, con elasticità, calibrandolo anche in base alle esigenze della coppia madre-bambino”.

Quasi per tutte le neomamme la solitudine si ritrova una volta a casa dopo il parto, dove la gioia si unisce alla fatica e alla vulnerabilità del momento, mentre il partner torna a lavoro subito. In alcuni casi la solitudine può durare per i primi anni di vita dei figli e, in ogni caso, si intreccia con i mali della nostra epoca, uno di questi è il divario economico tra uomini e donne. “Lavoro da casa e seguo i bambini in tutto – racconta Roberta Pisa, mamma di due figli – perché il papà lavora anche 12 ore fuori casa e la differenza salariale tra noi fa sì che lui non possa fare altrimenti. Questo comporta che hai sulle spalle sia il ménage familiare sia l’impegno a mantenere la professionalità sul lavoro”.

Tutte le neomamme, dopo una gravidanza ipermonitorata, tornano a casa e sono stanche e sole, non sanno nulla del nuovo ruolo, mentre le attenzioni di tutti sono concentrate sul neonato. Silvia Lo Conte, mamma di una bimba di 5 anni, afferma di aver sentito “la mancanza di una figura professionale per l’allattamento, che per me è stato difficilissimo. Ero in balìa di una situazione più grande di me”. Perché allattare non è solo gioia ma anche delusione se il latte non c’è, prosciugamento di energie, dolore per ragadi e mastiti, frustrazione.

In una società fortemente giudicante, dove viene giudicata anche la scelta di non essere madre, c’è chi si trova a dover fare i conti proprio con il senso di colpa, figlio di un retaggio culturale per cui una madre deve essere sempre all’altezza del ruolo “come se fosse solo un fatto congenito; questo genera inadeguatezza e di solitudine. Vorrei trovare un equilibrio – racconta Valentina Moriconi, mamma di una bambina di 6 anni – tra la mia realizzazione e la cura di mia figlia, cercando di comprendere che se sono una madre realizzata sono una madre migliore, perché l’aiuto degli altri è un’opportunità e non un fallimento”.

La solitudine può cominciare anche in ospedale al momento del parto, come racconta Francesca Graziani, mamma di un bimbo di 5 anni. “Su mio figlio è stato applicato un protocollo per una mia sospetta epatite poi rivelatosi inutile in quanto fu poi accertato che non avevo nulla. Ho avuto una crisi, non sono stata supportata psicologicamente, per lo stress non ho avuto latte e il trauma mi ha condizionato sulla scelta di non volere altri figli”.

A rappresentare le poche famiglie numerose di oggi c’è Claudia Novelli, mamma di quattro figli, moglie di un militare dell’Esercito per mesi in missione all’estero. Ha avuto quattro esperienze diverse: se alla prima è andato tutto bene, alla seconda si è trovata, in casa da sola, con una grave depressione post-parto, un neonato e un bimbo di due anni da accudire. “Devo ringraziare mia madre che mi è stata vicina. Le donne vengono abbandonate dopo il parto e se non si ha una guida potrebbe succedere il peggio”, racconta.

In copertina foto ANSA


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