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ELVIRA MANCUSO E MARIA MESSINA: DUE SCRITTRICI SICILIANE IN DIFESA DELLE DONNE

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di Ignazio Burgio

 

Nel panorama letterario siciliano di fine ‘800 inizio ‘900, accanto ai nomi maschili più famosi – Verga, Capuana, De Roberto, Pirandello, Martoglio, ecc. – furono attive anche due scrittrici femminili, cadute nell’oblìo già sin dagli anni trenta e riscoperte solo alla fine del secolo scorso: Elvira Mancuso e Maria Messina. Utilizzando lo stile verista di Capuana e Verga esse descrissero nelle loro opere la condizione femminile del proprio tempo.

La prima – Elvira Fortunata Maria Giuseppa Mancuso Lima – nasce a Caltanissetta nel 1867 in una famiglia agiata (il padre Giuseppe è avvocato). Superando le resistenze dei suoi genitori riesce a frequentare l’Università di Palermo e a laurearsi in Lettere. Per tutta la vita lavora come maestra elementare, e lotta per garantire anche alle bambine il diritto all’istruzione, premessa indispensabile per l’affrancamento delle donne dai tradizionali ruoli di subordinazione familiare.

A fine secolo XIX intraprende una corrispondenza con Luigi Capuana di cui ammira lo stile, ma questi non le dedica in realtà troppa attenzione. Nonostante ciò a partire dal 1889 riesce a pubblicare i suoi primi racconti sulla rivista letteraria “Cornelia”, ma con pseudonimi, anche maschili. Del 1906 è il suo unico romanzo, Annuzza la maestrina, che ovviamente ha parecchio di autobiografico. È la storia di Anna, una ragazza di famiglia povera e disagiata, che rifiutando il proprio destino praticamente segnato dalle condizioni socioeconomiche, ovvero quello di diventare sposa subordinata ad un marito altrettanto umile e ignorante, riesce a realizzare un fidanzamento di comodo con Pasquale. Questi è un giovane benestante che innamorato di lei acconsente a pagarle gli studi affinché diventi insegnante elementare, in cambio della sua promessa di sposarlo. Ma una volta comprese le reali intenzioni di Anna (ed aver affrontato anche il carcere per aver ferito il proprio cugino che lo derideva), il giovane tuttavia preferisce sposarsi con un’altra donna. La storia tuttavia non finisce bene per la neo-maestrina Anna, in quanto dopo aver accumulato i primi stipendi prende l’infelice decisione di rimborsare il suo ex-fidanzato delle spese che ha sostenuto per lei, e questi sentendosi ulteriormente ferito nel suo orgoglio la uccide.

Il romanzo nonostante venga recensito (con sufficienza) dallo stesso Capuana si rivela un flop editoriale, ma dopo la riscoperta della scrittrice da parte di Calvino e Sciascia negli anni Ottanta del secolo scorso, viene ristampato da Sellerio con il titolo Vecchia storia…inverosimile (1990): inverosimile non tanto nella personalità di Annuzza (che riflette quella combattiva della medesima autrice) quanto piuttosto nella trama – che tuttavia ricorda una novella di Pirandello poi convertita in opera teatrale, ovvero Lumìe di Sicilia – ed anche negli atteggiamenti finali dei due protagonisti che decidono di chiudere i loro reciproci conti, in maniera tragica da parte dell’ex fidanzato che non accetta la personalità forte e indipendente di Annuzza.

Come sempre, il contesto socio-culturale del tempo può gettare luce sulla genesi dei prodotti artistici e letterari coevi. Nel corso del XIX secolo un po’ in tutta Europa si allarga l’alfabetizzazione anche nella popolazione femminile, specialmente nei centri urbani e fra i ceti meno poveri. Circolano di conseguenza molti più romanzi tradotti in varie lingue, raccolte di novelle, ed anche romanzi d’appendice a puntate sui quotidiani, che le lettrici ritagliano dai giornali per rilegarli con cura e scambiarli poi con le proprie amiche. Nelle regioni con le tradizioni familiari più conservatrici come nella Sicilia tra Otto e Novecento (quest’ultima ancora scossa dalla severa repressione dei Fasci Siciliani), sono soprattutto queste le fonti che consentono alle donne di uscire con l’immaginazione oltre le proprie mura domestiche, di conoscere nuove realtà esistenziali, e di aspirare ad una vita più dignitosa. In un’epoca in cui nel Nord-Europa le “suffragette” rivendicano pari diritti in politica e nel lavoro, anche in Italia e in Sicilia si levano (poche e isolate) voci femminili come quella dell’insegnante di Caltanissetta.

La battaglia culturale di Elvira Mancuso è espressa in un saggio che pubblica l’anno successivo nel 1907, Sulla condizione della donna borghese in Sicilia: appunti e riflessioni, dove osserva come anche le donne siciliane di condizioni più agiate soffrano della condizione di subordinazione nei confronti di padri e mariti autoritari: «[…] Ebbene, da tutte le conquiste della borghesia, la donna siciliana non ha ricavato che il magro conforto di servire un padrone più libero, più potente, più lieto di vivere. Ella è rimasta, intellettualmente, assai inferiore all’uomo, e la coscienza di questa sua inferiorità la rende sì umile, che la sua perenne sottomissione, il sacrificio continuo dei suoi diritti, della sua personalità, le sembrano cose fatali e necessarie, ordinate dalla natura e da Dio […]». Anche per questo rifiuterà sempre di sposarsi.

Dopo la pubblicazione di Bagattelle (raccolta di opere varie) nel 1909, la Mancuso si dedicherà esclusivamente al suo lavoro nella scuola, da cui si ritirerà nel 1935, senza più intervenire nella vita culturale e letteraria, per poi spegnersi sempre a Caltanissetta nel 1958.

Se Elvira Mancuso è una donna combattente – perlomeno con la penna – la sua contemporanea Maria Messina è al contrario di carattere remissivo, e riflette tale atteggiamento anche nelle sue opere: ma la sua psicologia e la sua visione della vita – rassegnata e fatalista – vengono certamente condizionate anche dalle sue precarie condizioni di salute. Nasce a Palermo (o secondo altre fonti ad Alimena – Pa) nel 1887, e nonostante suo padre Gaetano sia un ispettore scolastico, non frequenta scuole regolari ma riceve l’istruzione dalla madre, Gaetana Valenza Trajna, una nobile decaduta scontenta del proprio matrimonio combinato, e dal fratello maggiore Salvatore da cui riceverà anche l’incoraggiamento a scrivere e pubblicare.

A causa della professione del padre è costretta frequentemente a spostarsi insieme alla sua famiglia per tutta la Sicilia e anche nel resto d’Italia. All’età di vent’anni le viene diagnosticata la sclerosi multipla e da quel periodo si dedica alla composizione di racconti, romanzi ed anche fiabe per bambini. Per l’editore Sandron di Palermo pubblica le prime raccolte di novelle, Pettini-fini, nel 1909 e Piccoli gorghi nel 1911, composte durante il suo soggiorno a Mistretta (Me). Il fratello Salvatore si fa suo promotore e spedisce i suoi racconti anche a Giovanni Verga che intuisce le potenzialità della giovane scrittrice, e la esorta a scrivere ancora. Alcune sue opere successive in effetti le fanno guadagnare una significativa fama, come la novella La Mèrica, pubblicata nel 1912 sulla rivista «La Donna» che viene insignita del premio Medaglia d’Oro.

Non solo il suo stile iniziale è infatti verista, ma anche la medesima visione rassegnata e fatalista con cui ritrae i personaggi femminili è molto vicina a quella dello scrittore catanese: le umili protagoniste dei suoi racconti sono anch’esse vittime della povertà e dei ruoli sociali fissi e stereotipati, ma al contrario della maestrina Mancuso, li accettano, e talvolta anche di buon grado considerandoli una fortuna e un privilegio. Nel romanzo La casa nel vicolo (1921) ad esempio, Antonietta, un’umile figlia di un contadino indebitato fino al collo si sente grata all’usuraio che ha prestato soldi al padre e che la vuole in sposa. Si trasferisce così nella sua casa in città portando con sé la sorella Niccolina, nelle sue intenzioni solo per i primi tempi, per non sentirsi troppo sola e spaesata. In realtà anche quest’ultima finirà per non andarsene più, adattandosi ad una condizione anche psicologicamente subordinata al cognato e rassegnandosi a far da bambinaia ai suoi tre nipoti con la proibizione di sposarsi e farsi una propria famiglia. Eppure nonostante ciò la medesima Niccolina definisce a volte la sua sorte “una fortuna”, scatenando l’indignazione di qualche critica letteraria, cosa che potrebbe in parte spiegare il ciclico oblìo della scrittrice e la sua ciclica riscoperta – negli anni ‘80 ed in questi ultimi anni – da parte solo di letterati di sesso maschile, come Leonardo Sciascia e Salvatore Asaro.

Se Sciascia l’accomuna alla scrittrice neozelandese Katherine Mansfield, Asaro in un’intervista del 2020 sottolinea come le sue protagoniste femminili siano costruite in una maniera tale da avere pochi eguali nella storia della letteratura internazionale e accosta lo stile di Maria Messina a quello dei grandi scrittori russi, da Tolstoj, a Dostoevskij e a Čechov (che la scrittrice non doveva ignorare, dal momento che nel romanzo La casa nel vicolo ricorda esplicitamente Thurgenev), criticando la classificazione di scrittrice esclusivamente verista, in quanto troppo riduttiva.

In effetti spostandosi nel corso della sua vita dalla Sicilia in varie città della penisola – Ascoli Piceno, Firenze, Napoli, e infine Pistoia, dove rimane fino alla morte all’inizio del 1944 – Maria Messina sembra approdare al Decadentismo e dipinge anche personaggi femminili piccolo-borghesi, come Paola Mazzei, impiegata alla posta, protagonista del romanzo Le pause della vita (1926) ambientato in un paesino toscano. Anche quest’ultima tuttavia è una figura di donna sola e infelice che non riesce né a sposarsi né ad integrarsi con le altre colleghe d’ufficio rifugiandosi nella lettura e in una parallela attività di traduttrice.

Nel 1928 esce la sua ultima pubblicazione, il romanzo L’amore negato, e con un breve intervento critico sulla rivista “L’Italia che scrive” alla fine del 1929, è costretta a concludere la sua attività di scrittrice. L’aggravarsi della sua malattia le paralizza infatti sempre più i muscoli impedendole anche di scrivere, e dopo altri quindici anni di sofferenze la condurrà alla morte, come si è detto, nel gennaio del 1944 a Masiano, un paesino nei pressi di Pistoia, dove si trova sfollata a causa dei bombardamenti. Così la ricorda la nipote Annie (figlia di suo fratello Salvatore): “Una giovane donna minuta con un visino pallido dai grandi occhi luminosi, incorniciato da una massa di fini capelli castani. La sua fragilità celava una forza d’animo non comune, la forza che le ci era voluta per denunciare, lei signorina di buona famiglia che avrebbe dovuto ignorare certe vergogne, quello che si celava dietro la facciata di case rispettabili, in cui la donna era tenuta in uno stato di soggezione prossimo alla schiavitù”.

Già dagli anni ‘30 del secolo scorso lettori e critica si dimenticano di lei: probabilmente anche a causa della censura fascista che scoraggia qualsiasi immagine negativa del Sud e della Sicilia (ne faranno le spese anche i grandi scrittori veristi), ma certamente soprattutto a motivo del mutato gusto dei lettori sempre più imbevuti di ottimismo e delle storie “a lieto fine”, poiché altrimenti non si capirebbe come mai l’oblio di Maria Messina sia proseguito anche nel dopoguerra e fino a tutto il periodo del “boom” economico. Solo negli anni ‘80 – come già detto – viene riscoperta da Leonardo Sciascia, ed anche la Rai nel 1986 manda in onda uno sceneggiato televisivo tratto dal suo racconto Casa paterna diretto da Maurizio Diliberto, con la compianta attrice catanese Mariella Lo Giudice nel ruolo della frustrata protagonista Vanna.

Dopo gli anni ‘80 ancora un’altra fase di oblio, finché una quindicina di anni fa viene riscoperta per la seconda volta da critici e studiosi, con un’attenzione superiore rispetto ai tempi di Sciascia, tanto che le stesse sue spoglie vengono traslate nel 2009 da Pistoia a Mistretta (Me), il paese dove – sempre al seguito della sua famiglia – trascorse la sua adolescenza. Come fa notare Salvatore Asaro, le opere di Maria Messina vengono tradotte e studiate anche all’estero persino nella lontana Australia. Anche la potenza del web sta aiutando la sua riscoperta: oltre alle frequenti discussioni sui social e sui gruppi a lei dedicati, sul sito www.liberliber.it è possibile trovare in forma digitale alcune sue opere (romanzi e racconti), oltre che le lettere da lei spedite a Giovanni Verga.

 

Note bibliografiche (per quanto riguarda la scrittrice Maria Messina, fonti ugualmente attendibili presentano alcune discordanze circa la sua biografia, pertanto si è scelto di preferire quelle più dettagliate e circostanziate):

 

Nunziatina Spatafora, Elvira Mancuso: Annuzza l’amazzone e guerriera, in:

www.Letteratitudine.it, 15 maggio 2022.

Serena Todesco, Elvira Mancuso, in: www.enciclopediadelledonne.it .

Nadia Verdile, Elvira Mancuso Lima, in: Enciclopedia Treccani on line.

Maria Messina, una scrittrice italiana troppo a lungo dimenticata, intervista a Salvatore Asaro su pinkmagitalia.com .

Lucio Bartolotta, Maria Messina, in: www.literary.it .

Umberto Cantone, Maria Messina, la scrittrice cult dei collezionisti, Repubblica, 13 marzo 2016 .

Nadia Verdile, Maria Messina, in: Enciclopedia Treccani on line .

Maria Luisa Villa, Il sapore acido della libertà non scelta in “La casa nel vicolo” – Corriere della sera, 9 ottobre 2013.

 

Fonte: www.siciliasconosciuta.com