A’isha ‘Abd al-Rahman (Bint al-Shati’ è uno pseudonimo) è stata la prima donna araba a scrivere un commentario coranico in età contemporanea. Nata a Damietta, nel Delta del Nilo, in Egitto, nel 1913 da una famiglia borghese musulmana praticante, che dal ramo materno discendeva addirittura da un rettore (shaykh) della celebre università religiosa dell’Azhar, ricevette la prima educazione, anche in materia di fede, sotto la direzione del padre. Tipico rappresentante delle contraddizioni di un’epoca e di una cultura, il padre voleva che la figlia fosse colta, ma non era disposto a permetterle di perfezionare la sua educazione fuori casa, in istituzioni pubbliche. A’isha invece dimostrò precocemente vivo desiderio di studiare e forza di carattere per perseguire questo obiettivo. Ciò le costò, a parte la benevolenza della madre, la fiera opposizione della famiglia, con cui ebbe dolorosamente a scontrarsi per molti anni. Nonostante gli ostacoli, A’isha prima ottenne nel 1928 un diploma che le consentì di insegnare nelle scuole elementari; poi nel 1935 si iscrisse all’università per laurearsi in lingua araba e infine, nel 1950, conquistò il dottorato con una tesi sul poeta dei filosofi e filosofo dei poeti medievale Al-Maʻarri.
Durante gli studi superiori, A’isha conobbe il suo mentore e maestro, Amin Al-Khuli (1895-1966), professore di lingua e letteratura araba all’ateneo del Cairo, di cui divenne discepola fervente, e poi moglie assidua, nonostante la differenza d’età. Amin Al-Khuli è stato un personaggio cruciale: benché non fosse un dotto in scienze religiose, anzi forse proprio per quello, avanzò una proposta per quei tempi – gli anni Quaranta e Cinquanta – rivoluzionaria. Propose infatti di leggere il Corano come un’opera d’arte, applicando i criteri della critica letteraria, anche di importazione occidentale. Il tafsir adabi, come si chiamava, cioè appunto “commento letterario”, era rivoluzionario perché poteva mettere a rischio il dogma della perfezione della lingua araba coranica, prima ancora che il contenuto. Un altro discepolo di Al-Khuli, Muhammad Ahmad Khalafallah, mettendo in pratica i suggerimenti del maestro, giunse ad affermare che i racconti profetici del Corano non necessariamente dovevano essere storici. Il tafsir adabi, dunque, suscitò un putiferio.
Quanto ad A’isha, scrisse il Commentario retorico-esplicativo del nobile Corano (Tafsir al-bayani li’l-Qur’an al-karim) individuando alcuni presupposti metodologici essenziali:
Il mio tentativo mira a studiare alcune brevi sure di notevole unità argomentativa e che, inoltre, datano al primo periodo meccano, allorché il Corano gettava i fondamenti della “chiamata” islamica alla fede. Tento di mettere in luce la differenza fra il metodo usuale di interpretazione del Corano e il nostro, nuovo, che si occupa del testo coranico […] secondo la famosa antica regola per cui il Libro sacro spiega se stesso. […] Gli specialisti in tutti i campi di studi coranici si accorgeranno che abbiamo bisogno, prima di tutto, di comprendere il testo del Libro […] in tal modo, libereremo la nostra interpretazione da ogni elemento estraneo e da ogni difetto che si è insinuato nella nobiltà della sua eloquenza.
Questo passo mette in luce i due pilastri del lavoro di A’isha alla luce del metodo di Al-Khuli. La novità principale consiste nell’affermazione che il Corano è un “testo linguistico dotato di eccezionale eloquenza” (nass lughawi bayani), che dev’essere sottoposto a un commento “letterario” (tafsir adabi). Richiamandosi al grande riformatore ed esegeta Muhammad ‘Abduh (1849-1905), A’isha denunciava i commentari tradizionali come “privi di metodo”. È invece necessaria una “comprensione” del testo che parta, certo, da una approfondita e completa conoscenza della lingua araba, ma che faccia propri tutti gli strumenti “letterari” della retorica e dell’eloquenza. Un secondo presupposto fondamentale del discorso di A’isha è che il Corano spiega se stesso, cioè che addirittura ogni parola occupa il luogo che le è proprio e destinato e che non si può spostarne una senza che il senso venga travisato o incompreso.
Il commentario di A’isha è stato variamente giudicato: alcuni critici l’hanno accusato di essere, appunto, troppo letterario e formale, senza approfondimenti teologici e senza implicare interpretazioni atte a sollecitare l’azione politica. Ciò è vero, ma esso rimane comunque un’impresa fondamentale, non solo per la novità del metodo, ma soprattutto perché scritto da una donna.
A’isha fu anche un’attivista per i diritti femminili. Il movimento femminista arabo era nato nel 1923 per iniziativa dell’egiziana Hoda Shaʻrawi. A’isha ne impersonò gli ideali naturalmente, soprattutto dal punto di vista accademico: scrisse tra l’altro un Trattato sull’essere umano, in cui respingeva l’idea della precedenza maschile nella creazione, affermando giustamente che il Corano rivela l’origine comune e parallela del maschio e della femmina. Un riferimento probante è Q. 4:1 in cui si legge: “O gente, credete nel vostro Signore che vi ha creato da un’unica matrice [letteralmente “anima”, nafs] e da questa creò il doppio [lett. “compagna”, zawj] e da essi due fece derivare molti uomini e donne” [trad. mia]. Naturalmente, il femminismo si accompagnava al nazionalismo e A’isha fu nasseriana durante il periodo di insegnamento all’università ‘Ain Shams del Cairo, dove tenne la cattedra di arabo dal 1962 al 1970.
Famosa in tutto il mondo arabo, A’isha insegnò anche alla Qarawiyyin di Fez in Marocco, una delle tre grandi università religiose del Nord Africa, insieme alla Zaytuna di Tunisi e all’Azhar del Cairo. Tra i suoi lavori si segnalano un libro sulle donne del Profeta (1954) e un secondo su Al-Khansà, celebre poeta dell’Arabia preislamica (1957).
Di Massimo Campanini fonte@enciclopediadelledonne