Nel 1956 l’attenzione delle potenze mondiali tornò sul Mediterraneo e si rischiò una Terza guerra mondiale per il controllo del redditizio Canale di Suez.
Da quando fu inaugurato, nel 1869, il Canale di Suez è la strategica scorciatoia marittima utilizzata per trasportare merci dall’Asia all’Europa: circa il 12% del commercio mondiale passa dallo stretto, soprattutto petrolio ma anche forniture alimentari. Secondo i dati di Intesa Sanpaolo, per il nostro Paese riguarda il 40,1% dell’import-export marittimo, per un valore di 82,8 miliardi di euro.
Per il controllo dello stretto, nel 1956, scoppiò una crisi internazionale che portò a Suez una guerra per il controllo della “via del petrolio”: l’Egitto affondò una quarantina di proprie navi per bloccare il canale che infatti rimase chiuso fino ai primi mesi del 1957.
LO STRETTO CONTESO
“In tutti i negozi scorte abbondanti di ogni genere di merce e previsioni di buoni affari”. Nel dicembre del 1956 i giornali italiani rassicuravano così i lettori: niente paura, i regali natalizi anche quell’anno sarebbero arrivati senza problemi sotto l’albero. La crisi che aveva chiuso il Canale di Suez sbarrando la strada a mercantili e petroliere non avrebbe compromesso le feste degli italiani, nonostante da quel lontano ma fondamentale passaggio non riuscissero più a passare greggio e materie prime.
Ma in gioco in quel frangente c’era qualcosa di più di qualche cavallo a dondolo. Suez era, assieme a Gibilterra, uno dei due polmoni con i quali il Mediterraneo respirava (e respira). Una via navigabile che faceva tra l’altro risparmiare migliaia di chilometri alle navi che andavano e venivano dal Mar Rosso ai porti dell’Europa e costituiva la naturale “via del petrolio” tra i grandi esportatori di greggio del Golfo Persico e una delle maggiori aree consumatrici di prodotti petroliferi, l’Europa Occidentale appunto. Interessi economici dunque, ma anche politici.
IL MONDO DI ALLORA. Facciamo un passo indietro. «L’Ottocento era stato il secolo coloniale del Mediterraneo: l’apertura del Canale di Suez nel 1869 in particolare aveva fatto esplodere le ambizioni europee in Africa», spiega lo storico Salvatore Bono, presidente della Société internationale des historiens de la Méditerranée. Prima della realizzazione del canale le potenze europee avevano conquistato coste, porti e punti strategici lungo le “solite” grandi rotte marittime. Il nuovo passaggio consentì alle navi del Vecchio continente di accorciare la strada per raggiungere i Paesi dell’Asia, senza più circumnavigare l’Africa.
Il Mediterraneo, che dopo la scoperta dell’America (1492) aveva perso il suo predominio commerciale, si ripopolò di imbarcazioni e attirò di nuovo su di sé i riflettori del mondo intero.
«La crisi di Suez mise in discussione gli equilibri dell’epoca», spiega Bono. «Rappresentò uno spartiacque nella storia del Medio Oriente e nella storia delle relazioni internazionali: decretò il tramonto quasi definitivo della Francia e dell’Inghilterra come potenze coloniali e della centralità europea nei conflitti e nelle dispute internazionali a favore di un bipolarismo nuovo di zecca che si muoveva sull’asse Mosca/Washington». Il Mediterraneo non era più solo europeo, dunque. Ma qual era stato il detonatore della crisi?
RISCHIO DI UNA TERZA GUERRA MONDIALE. Era il 26 luglio 1956 quando il presidente della Repubblica egiziano, Gamal Abd El-Nasser pronunciò un discorso che fece tremare il mondo, portandolo vicino al baratro di una Terza guerra mondiale: “Stiamo costruendo il nostro Paese su basi solide. Se torniamo al passato è per cancellare le tracce di una colonizzazione dannosa, e ritrovare la nostra dignità. Per questo motivo firmo, d’intesa con il governo, questa legge”. La legge era quella che nazionalizzava il Canale di Suez. Tradotto: la gestione della Compagnia internazionale del Canale di Suez, in mano a inglesi e francesi (che si erano occupati di costruirlo tra il 1859 e il 1869), andava restituita al popolo egiziano.
Gli inglesi erano entrati nell’affare nel 1875 quando, per sanare il bilancio di un Egitto sull’orlo del collasso finanziario, avevano acquistato tutto il pacchetto di azioni egiziane della compagnia e, con quella scusa, si erano intrufolati amministrativamente e militarmente nel Paese africano. Con la mossa del presidente Nasser, l’Egitto contava di incassare 100 milioni di dollari all’anno (qualcosa come 8,5 miliardi di euro di oggi): tale era in quegli anni l’ammontare dei profitti della compagnia, di cui Inghilterra e Francia versavano all’Egitto solo il 7 per cento.
EGITTO IN PRIMA LINEA. Il più importante degli Stati arabi mediorientali era entrato nella scena mondiale già nel luglio del 1952. Un gruppo di giovani ufficiali dell’esercito egiziano si era liberato prima di una monarchia corrotta e abulica e poi della tutela britannica, proclamando la repubblica. Gamal Abd El-Nasser era proprio l’ispiratore della rivoluzione del ’52 e quattro anni dopo si era messo alla guida del Paese con l’obiettivo di fargli raggiungere solidità finanziaria e peso internazionale. Proprio per questo aveva deciso di cambiare le carte in tavola (iniziativa impensabile allora per un Paese del Terzo mondo appena smarcatosi dalla colonizzazione).
E non era solo una questione di soldi.
L’idea di un corso artificiale che unisse Mediterraneo e Mar Rosso è millenaria. Lo storico greco Erodoto (484-425 a.C.) racconta che già all’inizio del VI secolo a.C. gli Egizi li avevano collegati sfruttando alcuni rami del Nilo. Il “canale dei Faraoni” venne poi utilizzato da Romani e Arabi, per cadere in disuso nel IX secolo ed essere inghiottito dalle sabbie.
Nel marzo del 1869, quando fu demolito l’ultimo diaframma di terreno dell’istmo di Suez, le acque del Mar Rosso si erano mischiate con quelle del Mediterraneo. Il percorso del canale andava da Suez, sul mare orientale, a Port Said, sul Mediterraneo; al termine dei lavori l’opera misurava una cinquantina di metri in larghezza ed era profonda una decina, con una lunghezza totale di 160 chilometri.
IL TAGLIO DEL MAR ROSSO. Il canale era già stato “anticipato” dai faraoni e ancora, secoli dopo, in una relazione destinata al re di Francia, Luigi XIV, che affermava come l’impero del mondo sarebbe appartenuto a chi si fosse assicurato il controllo di un passaggio marittimo tagliato attraverso l’istmo di Suez. Detto, fatto: il Mar Rosso, dopo quel taglio, divenne una delle vie d’acqua più strategiche del globo. L’opera riscosse subito un enorme successo: dalle 500 imbarcazioni in transito nel primo anno si passò a 3.500 in appena due decenni: oggi le navi che attraversano il canale sono circa ventimila.
La Convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre 1888 sancì tra l’altro la neutralità dell’opera e dichiarò il canale “sempre libero, in tempo di guerra come in tempo di pace, a qualsiasi nave […] senza distinzione di bandiera”. Ma il tempo di guerra arrivò dopo nemmeno 70 anni, subito dopo la dichiarazione-bomba di Nasser: per Francia e Inghilterra equivaleva all’iniziativa unilaterale di un dittatore militarista (furono molti a vedere nel leader egiziano un novello Adolf Hitler).
FLIRT E VENDETTE. Come il leader egiziano fosse giunto al colpo di mano, è presto detto. Appena salito al potere, Nasser aveva cominciato a “flirtare” con l’Urss (con cui nel 1955 si accordò per forniture di armi e blindati) e, contemporaneamente, a cercare aiuti finanziari dagli Usa. Quando però nel 1956 aveva chiesto una mano agli americani per la costruzione della diga di Assuan (che regolando le piene del Nilo avrebbe moltiplicato le zone fertili), questi (nelle vesti del presidente Eisenhover e del segretario di Stato Foster Dulles) avevano risposto no, allarmati dai rapporti ravvicinati degli egiziani con i comunisti. Fu allora che Nasser tentò la carta della nazionalizzazione del canale, per raggiungere un doppio scopo economico e politico: trovare rapidamente moneta sonante e dimostrare che l’Egitto non aveva padroni.
Nel 1846 fu costituita la Société d’études du canal de Suez, in cui operavano francesi e inglesi insieme a una cordata austro-italo-tedesca di cui faceva parte l’ingegnere italiano Luigi Negrelli: fu scelto proprio il suo progetto, che prevedeva il taglio dell’istmo nel punto più stretto e nel rispetto della conformazione del terreno. Nel 1867 la prima nave testò il canale, che fu inaugurato due anni dopo con una sfarzosa cerimonia. Era di proprietà di Egitto e Francia. Nell’illustrazione, Ferdinand De Lesseps, sviluppatore francese del Canale di Suez, sbarca ad Alessandria d’Egitto nel 1858.
Francia e Inghilterra cercarono da subito un complice e un pretesto per neutralizzare le ambizioni di Nasser, colpevole anche di appoggiare le spinte indipendentiste dell’Algeria, allora colonia francese.
Il primo lo trovarono in Israele, che dal giorno della proclamazione del suo Stato (il 14 maggio 1948) aveva trovato nel Paese arabo uno dei suoi più acerrimi nemici. Francia, Inghilterra e Israele si riunirono in gran segreto a Sèvres, vicino a Parigi, tra il 22 e il 24 di ottobre per definire quella che chiamarono “Operazione moschettiere”. Questo il piano: Israele avrebbe attaccato la Penisola del Sinai; Francia e Gran Bretagna avrebbero ingiunto ai combattenti di interrompere le ostilità, con un ultimatum.
IL CANALE BLOCCATO DALLE NAVI. Se l’Egitto (come probabile) avesse rifiutato, gli europei avrebbero bombardato gli aeroporti egiziani e occupato la zona del canale. Tutto andò come da copione: l’attacco israeliano (29 ottobre), l’ultimatum (30 ottobre, seguito dall’affondamento da parte egiziana di una quarantina di proprie navi per bloccare il canale rimasto di fatto chiuso fino ai primi mesi del 1957) e l’intervento militare anglo-francese (31 ottobre).
Nasser sembrava neutralizzato: quella che fu chiamata allora “aggressione tripartita” fu devastante. Le vittime egiziane, mai dichiarate ufficialmente, furono oltre 1.650, contro le nemmeno 200 dei tre alleati. Fu allora che gli Stati Uniti fecero sentire la propria voce schierandosi contro la guerra intrapresa da due dei suoi fedeli alleati. Minacciarono di mettere in ginocchio la potenza britannica “passando” per Wall Street.
VENTI DI GUERRA FREDDA. Il presidente americano si disse anche disposto a vendere sterline alla Borsa di New York riducendo Londra sull’orlo del fallimento. La Russia, d’altra parte, non poteva permettere che continuasse l’attacco a un suo alleato: fece capire di essere pronta ad affiancare l’Egitto (aprendo scenari bellici mondiali). Formalmente l’invito al cessate il fuoco arrivò il 2 novembre da Stati Uniti, Unione Sovietica e Onu. Nasser si tenne il canale (lasciando libero accesso alle navi di tutte le nazioni tranne Israele) e gli invasori annunciarono il ritiro delle truppe. Bisognò aspettare fino al 7 novembre perché le armi tacessero.
La crisi era chiusa ma il mondo era cambiato: Francia e Inghilterra avevano fallito come potenze coloniali (negli anni successivi avrebbero perso tutti i propri possedimenti). L’Inghilterra, in particolare, indietreggiava ridimensionando le mire imperialiste per fare da gregario agli Stati Uniti. I Paesi arabi non erano più semplici colonie. E sul Mediterraneo soffiavano nuovi e altrettanto burrascosi venti: quelli della Guerra fredda.
Di Anita Rubini fonte@focus.it