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“Sapete che ho sempre scelto la strada più difficile. Diventando vecchia, sicura di averne la forza e la capacità, ho preso quel sentiero difficile e ho cercato di renderlo un po’ più facile. Volevo renderlo più facile per voi. Voglio che abbiate l’opportunità di fare tutto quello che ho fatto io, senza che siate obbligati a scappare per ottenerlo.”

Di Raimonda Lobina fonte @enciclopediadelledonne

Joséphine Baker è stata una delle più grandi artiste del XX secolo. Molti i documenti a cui attingere, numerose anche le testimonianze fotografiche e cinematografiche, ma in particolare il libro, uscito postumo, a cura del marito Jo Bouillon, rappresenta una fonte ineludibile e ricchissima. Raccoglie  non solo dati e informazioni, ma rielabora i numerosissimi appunti che la stessa Joséphine prendeva in previsione di un’autobiografia, mai scritta. È un libro a più voci: di amici, parenti (la sorella Margareth), figli e lo stesso marito Jo.

Freda Joséphine nasce a Saint Louis, in Missouri, il 6 Giugno 1906, è una bambina meticcia afroamericana e amerinda degli Appalachi; viene adottata dal nuovo compagno della madre, il quale l’amerà come una figlia. La famiglia del padre naturale, ispanica (buckra), non accetta la relazione del figlio con una donna i cui nonni erano stati schiavi.

La bambina cresce al ritmo del blues in un quartiere poverissimo, segregato, ed è nella miseria ma anche avvolta dalla musica (la madre era una bravissima ballerina) che Joséphine comincia a sgranare i suoi occhi sul mondo. Sperimenta fin da subito la fatica del lavoro e la violenza, culminata in un vero e proprio  pogrom che costringe gli abitanti del quartiere in cui vive a fuggire per salvarsi da un incendio doloso. Forse è per esorcizzare queste paure e per rimuovere la miseria che Joséphine inizia a ballare e a esibirsi in piccoli numeri: fa smorfie, fa la pagliaccia, tira fuori la lingua, fa gli occhi storti o a palla. Sono giochi, ma preannunciano le sue future esibizioni a teatro e tradiscono senza alcun dubbio il suo autentico talento. Joséphine dimostra già a questa età un carattere molto deciso, da dura, ma nel contempo simpatico e solare. La sua carriera artistica ha inizio sotto un tendone improvvisato. Viene poi ingaggiata da un piccolo teatro ambulante. Lavora a New Orleans, e successivamente sbarca a quindici anni a New York. Qui  si farà conoscere e apprezzare nel suo primo spettacolo a Broadway, Shuffle Along: ha sedici anni.

A venticinque anni arriva a Parigi, con la Revue nègre, simbolo esotico dell’età del Jazz. Parigi non è l’America, la segregazione non esiste, ma gli spettacoli messi in scena sono l’espressione degli stereotipi vigenti nei confronti dei neri, retaggio di un colonialismo con il quale l’Europa si troverà a fare i conti. Parigi è la sua scuola, il Théâtre des Champs-Élysées è l’università dove imparerà tutto e dove darà il meglio di se stessa. Qui sarà amata, lusingata, idolatrata. I suoi sono balli innovativi e sensuali, realizzati in un’epoca in cui solo mostrare le gambe veniva censurato in nome del pudore. Parte in  questi anni in tournées per tutta l’Europa – sempre accompagnata da un leopardo, che terrorizzava l’orchestra e faceva fremere di paura il pubblico – per poi tornare a Parigi dove si lancia nella canzone e nel 1931 consegue uno strepitoso successo con J’ai deux amours di Vincent Scott. Indimenticabili sono anche La Petite Tonkinoise e Yes, we have no Bananas, che cantava nuda, o La canne à sucre, che mandavano in delirio il pubblico.

Joséphine si rende conto della differenza fra Europa e Stati Uniti, sotto tutti i punti di vista, ed è consapevole di poter essere più incisiva sui palcoscenici europei.  Il suo successo è straordinario, balla davanti ai reali d’Europa, conosce Le Corbusier, che crea un balletto per lei, Pirandello che le vorrebbe dedicare una commedia, debutta poi in Sud America e le viene proposto anche di fare del cinema (le interpretazioni più note sono Zouzou Principessa Tam Tam).

I suoi spettacoli sono molto moderni, arditi, mai volgari. In questi anni Joséphine consolida non solo il suo carattere volubile e volitivo, ma anche la grande umanità che la porta, per esempio, a trascorrere il Natale, a Parigi, con gli anziani dei quartieri poveri, sempre con ironia e freschezza, cifra costante della sua esistenza anche nei momenti più bui. E si innamora, ricambiata, di un nobile siciliano, il conte Abatino, chiamato Pepito, la prima relazione stabile alla quale si abbandona con tutta se stessa. Nel momento in cui decide di partire per una tournée a New York, la situazione con Pepito precipita, i due si lasciano. In seguito affermerà di aver vissuto due crolli: uno, appunto, a New York, nel 1936, e uno nel 1968, quando perderà il castello di Milandes.

Gli anni successivi la vedono ancora sulla cresta dell’onda soprattutto in occasione degli spettacoli in onore della Mostra Universale di Parigi del 1937. Sul fronte sentimentale c’è il matrimonio con J. Lyon, industriale ebreo, ricchissimo, dal quale però divorzierà quasi subito, in seguito alla perdita del loro figlio.

Nel frattempo è scoppiata la guerra. La drôle de guerre, come verrà inizialmente chiamata. Il clima nei Paesi dove Joséphine si esibiva con grande libertà e disinvoltura cambia improvvisamente. Mentre la guerra ormai imperversa, si ammala, in Marocco, dove resta ricoverata per 19 lunghi mesi. La salvano il suo ottimismo e il suo immancabile buon umore. Guarita, si mette subito a disposizione del suo Paese, quasi a volere in questo modo ricambiare tutto quanto la Francia le ha dato: entra nei servizi segreti e diventa una militante, con il grado di luogotenente, della Francia libera, partecipando a missioni rischiose in tutta Europa. Inoltre canta e si esibisce gratis per i soldati e finanza la Resistenza. I quattro anni trascorsi in Nord Africa  sono cruciali per la vita del luogotenente Baker dello stato maggiore del Generale de Gaulle, che la decora con la Légion d’honneur.

Dopo la guerra, la ripresa non è facile, ma ugualmente Joséphine riesce a tornare alla ribalta, sostenuta dal nuovo compagno, Jo Bouillon, direttore d’orchestra, che sposa nel giugno del 1946, l’amore più sincero della sua vita, con il quale condividerà tanti sogni, alcuni realizzati, altri naufragati miseramente.  Non avendo potuto avere figli (due aborti la prostrarono molto), l’idea della famiglia universale, di adottare tanti bambini di lingua, razza e religioni diverse occupa a tempo pieno questi anni: vuole seppellire il razzismo sotto l’ideale di una tribù “Arc-en-ciel”. Il 4 settembre 1949 viene inaugurato Milandes, il favoloso castello dove abiteranno lei e Jo con tutti i loro figli, un modello di convivenza civile e pacifica. Sono gli anni che preludono le grandi lotte contro la segregazione razziale e Joséphine è in prima linea, facendo leva sulla sua fama internazionale e sulla sua incredibile capacità di realizzare i sogni più irrealizzabili. Deve però lavorare molto, sempre in giro per il mondo, per finanziare le sue imprese.

Di nuovo negli USA negli anni Sessanta, profondamente partecipe del movimento per i diritti civili degli afroamericani, si rifiuta di danzare di fronte ad un pubblico segregato, boicottando teatri e music hall e diventando uno dei primi artisti di colore a esibirsi per un pubblico integrato. È  l’unica donna a pronunciare un discorso alla marcia su Washington, insieme a Martin Luther King, per il lavoro e la libertà, nel 1963, di fronte a una folla di 250.000 persone: “Sapete che ho sempre scelto la strada più difficile. Diventando vecchia, sicura di averne la forza e la capacità, ho preso quel sentiero difficile e ho cercato di renderlo un po’ più facile. Volevo renderlo più facile per voi. Voglio che abbiate l’opportunità di fare tutto quello che ho fatto io, senza che siate obbligati a scappare per ottenerlo”. Joséphine non milita solo a parole e tutti i suoi spettacoli rappresentano un sostegno alla lotta: “Io credo di avere una missione su questa terra, quella di aiutare i popoli a diventare amici e a fare in modo che capiscano prima che sia troppo tardi…”. Qualcuno ha affermato che se il cammino della liberazione è stato un po’ più facile lo si deve anche a lei, al suo coraggio, alla sua perseveranza.

Ma la sua vita ormai è in Europa, insieme alla sua famiglia, sempre più numerosa e impegnativa, sempre alla ricerca di finanziamenti per mantenere il sogno di Milandes. Sono anni difficili, difficilissimi talvolta, nei quali Joséphine conosce anche il fallimento, la povertà. Combatte con un’energia che le scaturisce dall’anima, contro la malattia, tornata ad aggredirla, contro i creditori, contro il dolore della fine della relazione con Jo dal quale però non si separerà mai ufficialmente, in nome della loro famiglia universale.

Negli ultimi anni assume un ruolo importante l’incontro, l’amicizia e il sodalizio con Grace Kelly, già principessa di Monaco, che apprezza il suo talento e l’aiuta concretamente. Ma c’è anche il riconoscimento istituzionale da parte della Francia, nella persona dell’allora presidente della repubblica, V. Giscard d’Estaing, che in un famoso telegramma scrive: “Nel rendere omaggio al suo talento universale e nell’esprimerle la riconoscenza della Francia il cui cuore ha così spesso battuto insieme al suo, le invio, cara Joséphine, i miei più amichevoli auguri in occasione delle nozze d’oro (1925-1975) che Parigi celebra con lei” Joséphine continuerà a cantare e a ballare fino all’ultimo (sessantotto anni), instancabile, allegra, piena di sogni e di forza.

Il 12 Aprile del 1975 muore in seguito ad un’emorragia cerebrale. I funerali, a cui partecipano ventimila persone, si svolgono nella chiesa della Madeleine de Parise e Joséphine viene poi sepolta nel cimitero del Principato di Monaco.

Il 30 Aprile 2021 viene simbolicamente accolta (prima performer e prima donna nera) nel Pantheon di Parigi1. Josephine Baker è anche la prima persona nata negli Stati Uniti a ricevere la più alta onorificenza francese, a riguardo Emmanuel Macron la definisce “una donna la cui intera vita è stata dedicata alla ricerca della libertà e della giustizia“.