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BUON 2023, MAURIZIO LEO

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Di Roberto Costanzo Gatti

Perché faccio a Maurizio Leo i miei auguri per il 2023? Perché il fiscalista è incaricato a rimediare al fallimento di Draghi, provvedendo a disegnare quella riforma fiscale disattesa dal precedente presidente del consiglio. Infatti, il “migliore”, nella sua breve storia governativa, osannata da destra a manca, tanto da creare una fantomatica agenda, o da motivare i meriti della manovra Meloni come continuità con quella del suo predecessore, è incappato in due fallimenti clamorosi: la tassazione degli extraprofitti delle società energetiche e la mancata elaborazione della riforma fiscale.

E che ci sia bisogno di una seria riforma fiscale pare evidente guardando alle elaborazioni teoriche sia di fonte liberista che di fonte socialista e confrontandole con la realtà fiscale in cui ci troviamo affogati. In primis il dettato costituzionale dell’art.53 che dichiara che il nostro sistema impositivo sia ispirato a criteri di progressività. Questo principio trova incredibilmente d’accordo liberisti e socialisti: partendo dalla scoperta liberista dell’utilità marginale decrescente, si giunge alla logica conclusione che l’incidenza fiscale, per tendere al pareggiamento del sacrificio richiesto al contribuente, sia crescente (e non proporzionale) al crescere del reddito. Tale teoria è stata seguita dal nostro paese che nei primi anni del dopoguerra conosceva 32 aliquote fiscali che arrivavano con il massimo scaglione ad una imposizione del 72%. Negli USA di Franklin Delano Roosvelt l’aliquota massima raggiungeva addirittura il 94%. Oggi la progressività è scomparsa; non si applica agli interessi del debito pubblico, non si applica ai redditi di capitale (interessi e capital gain), non si applica alla rendita da fabbricati, non si applica ai redditi delle partite iva con fatturato fino a 85.000€, non si applica agli incrementi di fatturato delle partite iva ordinarie. Insomma, la progressività si applica solo ai redditi da lavoro ed ai pensionati (le partite iva ordinarie incidono pochissimo anche per l’altra presenza di evasione). Parrebbe quindi che il principio costituzionale e teorico della progressività sia destinato a scomparire così come previsto dal programma del governo Meloni, estendendo la cosiddetta flat tax a tutti, lavoratori e pensionati compresi.

Ma c’è bisogno di una riforma fiscale per combattere quella che è la piaga del nostro paese: l’evasione fiscale. Nel nostro paese si evadono ogni anno 100 miliardi di euro. Grosso modo 35 miliardi di iva, 35 miliardi di Irpef dovuta dalle partite iva individuali, qualche miliardo di Irpef a causa del lavoro nero, 15 miliardi tra Ires ed Irap dovute dalle società commerciali, 5 miliardi di IMU ed il resto su imposte e contributi vari. La riforma Visco, attuata da Renzi, rendendo obbligatoria la fatturazione elettronica è riuscita a recuperare parecchi miliardi di evasione, in tal senso potrebbero essere attuate altre proposte fatte da Visco, ma è nelle cose che nessun partito politico vuole percorrere una strada che sarebbe fruttuosa per la finanza pubblica ma che, al contrario, è dannosa da un punto di vista elettorale.

Non parliamo poi delle rendite catastali, di cui si richiede una revisione sia per rendere ragionevolmente comparabili le rendite nelle diverse località (regioni, città e campagna, centro e periferia) ma anche per scoprire le grandi evasioni che l’attività burocratica è incapace di scovare.

E lasciamo da parte il capitolo imposta di successione, il vero strumento individuato da Luigi Einaudi nei lavori di Eugenio Rignano atto a realizzare quel principio liberale dell’eguaglianza dei punti di partenza, che ci costa, se ci paragoniamo alla Francia, una ventina di miliardi di mancato introito ogni anno.

Ma è inutile sperare in qualcosa di diverso da ciò che Leo si propone, ovvero continuare con la dual tax ad oltranza (progressiva per il lavoro, proporzionale per le rendite), e incentivare il capitale con semplificazioni ed eliminazione dell’Irap.

Personalmente ritengo che la più grossa rivoluzione fiscale consista nella riforma del sistema di riscossione delle imposte, e ciò sulla base della constatazione che il sistema attuale è assolutamente fallimentare se è vero, come è vero, che dall’inizio del secolo ad oggi, il sistema ha accumulato mille miliardi ripeto MILLE MILIARDI di imposte dichiarate o accertate e non riscosse e per le quali le previsioni più rosee anticipano un incasso del solo 5%. Ma i mille miliardi se fossero stati incassati avrebbero dimezzato il debito pubblico e ci avrebbero permesso di avere una diversa credibilità in campo europeo e mondiale. Ci avrebbero permesso di dimezzare gli interessi che paghiamo sul debito pubblico e ci avrebbero permesso una politica pubblica più efficace ed efficiente.

Ma la risposta a questo problema è stato invece quello di fare un ulteriore condono. Sarò pessimista, ma siamo destinati all’estinzione (forse anche per colpa nostra)

 

 


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