I dati Istat. Dicembre ancora in corsa (+0,3%), anche se con un mini rallentamento rispetto a novembre mentre la Francia frena (+5,9%) e anche la Germania mostra numeri più contenuti (+8,6%). Pesano importazioni e carico fiscale sull’energia
Di Gianni Trovati
Fonte @ilsole24ore
IMAGOECONOMICA Il carrello della spesa. Secondo l’Istat a dicembre 2022 i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano su base tendenziale da +12,7% a +12,6%
L’inflazione in Italia a dicembre rallenta. Ma molto meno che negli altri principali Paesi europei. E questo complica il sentiero di politica economica sempre più stretto fra le esigenze contrapposte di non far mancare il sostegno a imprese e famiglie e di non deviare dalla prospettiva di contenimento di un deficit oggi molto più caro rispetto agli ultimi anni. Ma partiamo dai dati.
Nei numeri delle stime preliminari diffuse ieri mattina dall’Istat l’indice nazionale dei prezzi al consumo al lordo dei tabacchi è cresciuto nell’ultimo mese del 2022 dello 0,3%, attestando la crescita all’11,6%. A novembre quest’ultimo dato era all’11,8%. La frenata è tutta qui, ed è molto più contenuta rispetto per esempio a quella registrata in Francia, dove la variazione mensile è stata addirittura negativa (-0,1%) e la dinamica annuale ha fatto quindi registrare un +5,9% contro il +6,2% di novembre; ma simile è la situazione in Germania, dove le cifre di dicembre hanno fermato il tendenziale 2022 all’8,6%, cioè drasticamente più in basso rispetto al +10% indicato a novembre. Tra i grandi della Ue, insomma, la corsa dei prezzi continua solo in Italia. Come mai?
La spiegazione è nella maggior incidenza della componente energetica, che da noi pesa di più rispetto alla Francia in termini di importazioni e rispetto alla Germania in termini di ricadute fiscali. Anche in questo caso i numeri italiani sono da record. Chi è a caccia di notizie positive può considerare che il +64,7% registrato dall’energia a dicembre è comunque inferiore al +67,6% del mese precedente: frena un po’ di più la parte non regolamentata, che passa dal +69,9% di novembre al +63,3% di dicembre, mentre quella regolamentata va in direzione contraria passando dal +57,9% al +70,3%. Ma in Germania, Paese che condivide con noi i tassi da primato nella dipendenza dalle importazioni, lo stesso dato si è fermato a dicembre al +37,9% (+42,3% il gas naturale).
Se l’energia è la madre dell’inflazione, i suoi figli crescono in tutti i settori, con tempi diversi a seconda della velocità di trasmissione dei prezzi. Per questa ragione il cosiddetto carrello della spesa, composto dai beni alimentari, per la cura della casa e della persona resta quasi invariato al +12,6% (era +12,7% il mese scorso). E per le stesse motivazioni ci sono acquisti che non partecipano del pur modesto rallentamento dell’indice generale: oltre agli energetici regolamentati (+7,9% rispetto a novembre), è il caso dei servizi influenzati dai fattori stagionali come quelli ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,4%) o i trasporti (+1,1%), ma spingono al rialzo anche i beni alimentari lavorati (+0,8%) e gli altri beni (+0,6%).
La pioggia delle cifre congiunturali parla chiaro. Ma non deve distrarre dai numeri più importanti, spesso trascurati dal dibattito italiano, che sono quelli strutturali.
Il primo è rappresentato dalla media annua dell’indice dei prezzi al consumo: che nella stima preliminare sul 2022 si attesta all’8,1%, tasso più alto dal 1985. E più alto, per esempio, rispetto al 7,3% che guida oggi l’indicizzazione delle pensioni. Con la conseguenza che la spesa pensionistica, già prevista in crescita di 22,3 miliardi (+7,5%) nel 2023, aumenterà ulteriormente per il conguaglio che a novembre dovrà adeguare gli assegni all’inflazione effettiva (indice Foi).
A volare è anche l’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato che dovrebbe misurare per esempio gli aumenti retributivi nei contratti del pubblico impiego: la sua variazione media annua nel 2022 è dell’8,7% (l’ultima stima ufficiale del governo era 5,8% nel Def di aprile), con una variazione complessiva su base annua del 12,3%: una dinamica del genere farebbe salire sopra i 24 miliardi il costo complessivo dei contratti 2022/24, anche mantenendo per il 2023 e 2024 le stime ormai irrealistiche (rispettivamente +2,1% e +1,8%) scritte nei documenti di finanza pubblica.
Già, perché l’altro problema strutturale confermato dai numeri Istat di ieri è l’effetto trascinamento su quest’anno. L’inflazione già acquisita, quella cioè che si registrerebbe a fine 2023 anche se per magia i prezzi si congelassero a partire da gennaio, è del 5,1%, cioè 2,8 volte il +1,8% che il 2022 ha ereditato dalle fiammate iniziate nella seconda metà dell’anno precedente. Ma in economia le magie non esistono e i prezzi non sono destinati a fermarsi in fretta: a gennaio, per esempio, si registrerà anche l’impatto del ritorno pieno delle accise sui carburanti. Altra benzina nel motore dell’inflazione.