Un altro vile attentato nella cittadina a sud dell’Iraq ha spezzato cinque giovani vite: tre carabinieri, un ufficiale dell’Esercito e un militare rumeno sono rimasti uccisi in un’esplosione
fonte: @carabinieri.it
E l’incubo ritorna nelle case degli italiani. Sono le 8,40 del mattino del 27 aprile: la notizia che un altro grave attentato è stato perpetrato ai danni dei nostri militari in missione a Nassiriya è sulle labbra dell’intero Paese. I fatti, come sempre accade in questi casi, sono all’inizio nebulosi. Poi, con il passare delle ore, ogni cosa si chiarisce e il bilancio, anche se non altissimo come in quel maledetto 12 novembre del 2003, è comunque drammatico: a perdere la vita due marescialli dei Carabinieri, un capitano dell’Esercito e un graduato rumeno che si trovava nel blindato. Rimane invece ferito un altro maresciallo dell’Arma. Tutto accade lungo il viale che porta al Comando della Polizia irachena, un palazzo protetto da pareti anti-autobomba e trincee di sabbia che ospita anche la prigione e la sala operativa integrata di Polizia, Esercito e Vigili del Fuoco. Ed è su questo tratto di strada pieno di insidie che, durante il quotidiano monitoraggio del contingente Msu (la Multinational Specialized Unit) sull’unità di manovra VM 90, perderanno la vita, a seguito dell’esplosione di un ordigno il maresciallo capo Carlo De Trizio, il maresciallo capo Franco Lattanzio, il capitano dell’Esercito Nicola Ciardelli e il caporale della Polizia militare rumena, Bogdan Hancu. Gravemente ferito, invece, il maresciallo aiutante Enrico Frassanito, il quale – lo apprendiamo mentre andiamo in stampa – morirà per le gravissime ustioni riportate dieci giorni più tardi, il 7 maggio.
Secondo le prime ricostruzioni il mezzo, un veicolo tattico multiruolo protetto, chiamato in codice Viper 6, ha subito esternamente danni limitati, mentre l’interno è stato completamente distrutto dall’esplosione (secondo gli artificieri di una granata perforante), le cui fiamme hanno avvolto i militari.
Il compito che svolgevano questi uomini era particolarmente delicato perché presupponeva un’ottima conoscenza degli interlocutori iracheni: in ciò erano avvantaggiati il maresciallo De Trizio e il maresciallo Frassanito, giacché parlavano bene l’arabo. Nel convoglio dei carabinieri viaggiava solitamente un ufficiale della Brigata, mentre al militare rumeno era affidato il controllo delle armi di cui è dotata la forza irachena.
Ma vediamo chi erano questi uomini che hanno immolato la loro vita in nome dell’impegno dell’Italia di ripristinare la pace in quegli angoli del mondo martoriati dalle guerre.
Franco Lattanzio, maresciallo capo dei Carabinieri aveva 38 anni. Nato a Pacentro, in provincia dell’Aquila, da otto anni prestava servizio nel reparto operativo del Comando provinciale di Chieti. Celibe e senza genitori, Lattanzio lascia un fratello e tre sorelle.
Carlo De Trizio, 37 anni, originario di Bisceglie, in provincia di Bari, si era trasferito a Roma da tempo. Maresciallo capo del nucleo radiomobile dei Carabinieri di Roma, era alla sua seconda missione estera. Capo equipaggio, era stato anche lui in Iraq tra la fine del 2004 e i primi mesi del 2005. I suoi colleghi lo ricordano come un carabiniere «sempre motivato e pronto ad esporsi in prima linea».
Enrico Frassanito, 41 anni, di Padova ma residente a Sona, in provincia di Verona, era partito per l’Iraq il 13 aprile scorso: avrebbe dovuto rimanervi fino ad agosto. Profondo conoscitore della cultura araba ne parlava perfettamente la lingua. Questa in Iraq era la sua terza missione all’estero. Il papà del maresciallo aveva comandato la stazione di Verona.
Nicola Ciardelli era nato trentaquattro anni fa a Pisa. Capitano del 185mo Battaglione dei paracadutisti di Livorno, era alla sua seconda missione in Iraq. Sarebbe dovuto rientrare a giugno. Alle spalle una lunga esperienza: aveva già partecipato ad analoghe missioni in Afghanistan e in Bosnia. Lascia la moglie Giovanna e un figlioletto, Nicolò, di soli due mesi. «Sono orgogliosa di mio figlio», ha detto la mamma del militare caduto.
Tutto il Paese, come già accadde due anni e mezzo fa, ha espresso solidarietà ai familiari delle vittime, all’Arma dei Carabinieri, all’Esercito Italiano. Così il presidente Ciampi: «Il mio pensiero va alle famiglie delle nuove vittime di Nassiriya. Sento con loro un immenso dolore per la perdita di questi giovani che operavano con onore al servizio della Patria. La mia solidarietà va all’Esercito Italiano e all’Arma dei Carabinieri, ancora una volta duramente colpiti. Tutta l’Italia, unita, si stringe attorno alle Forze Armate per piangere i nostri caduti. Ho fiducia che i responsabili di questo vile attentato saranno individuati e perseguiti».
Anche papa Benedetto XVI, in una lettera al ministro degli Esteri, ha espresso il suo grande dolore per il nuovo grave attentato «che colpisce giovani militari italiani, come anche un giovane rumeno, presenti in Iraq per dare un contributo generoso e disinteressato in favore della pace e della libertà in quel Paese».
«In questa circostanza», ha osservato il ministro della Difesa Antonio Martino, «come in altre precedenti, tragiche occasioni, il Paese unito si stringe con sentita partecipazione al cordoglio delle Forze Armate». I militari italiani morti a Nassiriya, ha aggiunto il ministro degli Interni Giuseppe Pisanu, «sono caduti per costruire la pace». E nelle strade di Nassiriya si sono raccolte molte persone che hanno protestato contro l’accaduto. «Anche se appartengono alle forze straniere, i militari italiani stavano semplicemente facendo il loro lavoro», hanno sostenuto a gran voce.