dalla Redazione di #QdC
È di oggi la notizia che Facebook, il più grande colosso fra i social network nel mondo, ha scoperto una falla nel sistema di sicurezza informatico.
Dunque, ci chiediamo: “Tutte queste regole sulla privacy, questi check che spuntiamo quando visitiamo un sito internet che sia social o vetrina, servono realmente a tutelarci?”
La vita immessa in un mondo virtuale rimane realmente nostra? L’eterno dubbio di chi utilizza questi sistemi e degli addetti ai lavori. Dopo lo scandalo Cambridge Analytica alla quale Mark Zuckerberg, AD di Facebook, aveva chiesto di cancellare i primi dati violati nel 2015 ma senza informare i navigatori, la privacy del social si è rafforzata. Le app che interfacciavano siti internet e facebook devono, ad oggi, essere approvate dal social che richiede espressamente un tutorial sull’utilizzo.
Una cosa è sicura: ciò che “pubblichiamo sui social diventa dei social”: foto, video, parole. Condividere le proprie idee, esporre i propri pareri, comunicare ciò che facciamo e siamo, in modo più o meno veritiero, sono diventati parte integrante della nostra giornata e di molte aziende. Non è il mezzo in questione da demonizzare, ma probabilmente l’utilizzo sempre più dissennato che se ne fa.
50 milioni di profili violati sono un’enormità se si pensa che il numero di persone ed imprese che utilizza i social oggi è via via in progressione. Certamente non sapremo mai quali sono questi profili violati, in quale parte del mondo si trovano, se appartengono a “categorie umane” predefinite (passateci questo termine dato che sembriamo tutti target ed obiettivi da raggiungere e colpire) e se mai saremo immuni nel futuro dalla violazione della nostra privacy.
Staremo a vedere. Ai posteri l’ardua sentenza, diceva un poeta.