Continuare con Draghi vuol dire scegliere il male minore. Siamo di fronte ad una tempesta perfetta, le cui conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Il voto è l’essenza e il sale della democrazia, ma non è questo il momento di imbarcarci in un mare forza nove, senza comandante, con il timone in avaria e con una nave che va alla deriva; potrebbe essere messa rischio la legge di bilancio di fine anno con la seria prospettiva dell’esercizio provvisorio
di redazione
Si susseguono gli appelli affinché Mario Draghi continui il suo difficile (e a volte incompreso) compito di governatore fino alle prossime elezioni della primavera del 2023.
Dall’America all’Europa, dagli imprenditori ai sindaci, tutti ad implorare l’uomo della salvezza.
La guerra in Ucraina sta destabilizzando gli equilibri internazionali, il blocco del gas russo, l’inflazione, la recessione, il debito pubblico, la siccità e la crisi idrica, i raccolti in malora, da più parti quindi si invoca il senso di responsabilità a carico dell’ex presidente della Banca d’Italia perché continui il suo gravoso impegno di traghettare questa Italietta, messa molto male, per mancanza di una rappresentanza politica adeguata.
Con questo scenario all’orizzonte si prevedono un autunno e un inverno caldi, più dell’estate. Una mannaia si profila all’orizzonte perché i rifornimenti energetici potrebbero risultare drammaticamente insufficienti. Nel frattempo, si corre ai ripari per quanto è possibile e l’Algeria diventa il partner numero uno in tema di approvvigionamento del gas: una boccata d’ossigeno che potrebbe non bastare.
Forse è il momento di passare la parola agli elettori, ma quest’ultimi sono confusi, disorientati, irritati, disinnamorati della politica. Andare al voto oggi significherebbe una vittoria schiacciante del voto di astensione.
Per assurdo, al netto della posizione assunta dal M5S, Draghi gode della fiducia di una maggioranza abbastanza solida. Tante le critiche che si possono fare, ma di contro ha portato a casa anche qualche successo: ha saputo rilanciare il Paese con i fondi del PNRR, ha riconquistato un ruolo importante in Europa, ha saputo incunearsi in politica estera tra Francia e Germania (e non era scontato).
La parola allora agli elettori? È altamente probabile che anche il nuovo parlamento potrebbe caratterizzarsi con un carattere altamente instabile con larghe maggioranze o variabili. Siamo in una situazione difficile da reggere.
Una campagna elettorale in queste condizioni sarebbe destabilizzante; serve responsabilità. Responsabilità che ci deve traghettare fino alla fine della legislatura, con tutte le discrasie e le contraddittorietà al seguito.
La Confedercontribuenti, che non ama fare appelli o petizioni, per questo caso specifico, fa un’eccezione, forzando un po’ la sua mission sindacale e non perché stimiamo Draghi e ancor di meno il suo ministro dell’economia e delle finanze, Daniele Franco, altro burocrate, ma perché siamo scettici sulle alternative politiche che oggi offre il Paese: come dire che la toppa sarebbe peggio del buco. Continuare con Draghi vuol dire scegliere il male minore.
Siamo di fronte ad una tempesta tropicale (perfetta), le cui conseguenze potrebbero essere catastrofiche.
Il voto è l’essenza e il sale della democrazia, ma non è questo il momento di imbarcarci in un mare forza nove, senza comandante, con il timone in avaria e con una nave che va alla deriva; potrebbe essere messa rischio la legge di bilancio di fine anno con la seria prospettiva dell’esercizio provvisorio.
Si vada avanti con Draghi, il burocrate, l’antipatico per eccellenza, che piaccia o meno, perché non possiamo permetterci di lasciare il Paese allo sbando.