L’Italia è fanalino di coda in Europa per competitività di costo delle imprese: ogni 100 euro di costo del lavoro – si legge nel Rapporto Istat Noi Italia – il valore aggiunto si attestava nel 2010, ultimo anno di confronto con l’Ue a 126,1%, dato peggiore in Ue, contro il 211,7% in Romania. Nel 2011 in Italia la competitività è migliorata (128,5%). L’indicatore sintetico del successo dell’impresa nel sistema competitivo è calcolato come rapporto tra valore aggiunto per addetto e costo del lavoro unitario. Rappresenta una sintesi della misura di efficienza dei processi produttivi e fornisce, pertanto, indicazioni sulla competitività in termini di costo. In Italia l’indice di competitività ha perso quasi 10 punti dal 2001 al 2010 (da 135,8 a 126,1) mentre in Romania (prima nella graduatoria) si è passati da 163,4 a 211,7. In Europa l’indice medio nel 2010 era a 144,8 in calo di un punto dal 2001. In calo anche la competitività delle imprese francesi a un passo dalle italiane con 128,8 punti nel 2010. L’Italia è agli ultimi posti anche per dimensione di impresa con meno di 4 addetti in media per azienda (12,2 in Germania, 10,5 nel Regno Unito, 9,3 in Romania). Dimensioni più piccole si registrano solo in Portogallo, Slovacchia, Repubblica Ceca e Grecia. Nel nostro Paese il 30,3% dei lavoratori sono «indipendenti», il dato più alto in Europa (10,5% la media Ue) e pari a quasi quattro volte la Germania (8,4%). Al di là della definizione ufficiale di deprivazione materiale, per la quale è necessario avere almeno 3 dei 9 indici di disagio economico, la realtà è che ormai il 50% degli italiani è in difficoltà e fatica ad arrivare alla fine del mese». Lo afferma il Codacons commentando i dati diffusi dall’Istat. Per l’associazione dei consumatori particolarmente significativo è «il dato secondo il quale il 50,5% degli italiani non può nemmeno permettersi una settimana di vacanza lontano da casa. Persino nel dopoguerra – osserva il Codacons – gli immigrati italiani si prendevano il mese di agosto di ferie per tornare nel paese natio». OCCUPAZIONE INFERIORE AL TARGET EUROPEO In Italia lavorano solo 61 persone su 100 tra i 20 e i 64 anni un livello che è ancora di 14 punti inferiore al target europeo 2020 (75%). L’Istat sottolinea come nel 2012 per le donne occupate il dato sia ancora peggiore (solo il 50,5%). Peggio dell’Italia fanno solo Spagna (59,3%) e Grecia (55,3%). Nel 2012 il valore dell’indicatore in Italia (61%) è diminuito di due decimi di punto rispetto al 2011 e presenta uno squilibrio di genere molto forte (71,6% per gli uomini e appena il 50,5% per le donne). La riduzione dell’indicatore osservata nel 2012 è dovuta esclusivamente alla componente maschile (un punto percentuale in meno a fronte di un incremento di 0,6 punti tra le donne). La media europea nel 2012 per l’occupazione è al 68,5%. L’Italia è uno dei Paesi con la percentuale più alta di disoccupazione di lunga durata, ovvero quella che dura da almeno 12 mesi (52,5% sul totale dei senza lavoro contro il 44,4% della media Ue). Ma nel nostro Paese la media è il risultato di situazioni molto differenti a livello territoriale con il 59,8% di disoccupazione di lunga durata nel Sud e il 37,6% nel Nord Est. E anche per l’occupazione il 61% tiene conto del 70,5% di occupazione del Nord Est e del 47,6% nel Sud. La situazione è ancora più difficile per le donne con appena il 34,3% delle donne del Sud tra i 20 e i 64 anni che ha un lavoro. CRESCE LA PRESSIONE FISCALE Anche la pressione fiscale in Italia nel 2012 (44,1) è cresciuta di quasi tre punti rispetto al 2000 (era al 41,3%) ed è superiore di 3,6 punti percentuali rispetto a quella media dei paesi dell’Ue27 (40,5% in calo dal 41% registrato nel 2000). Il dato italiano – scrive l’Istat – «è risultato complessivamente in linea con la media degli altri paesi europei fino al 2005, mentre successivamente se ne è progressivamente distanziato, segnando valori più elevati». Con riferimento alle maggiori economie europee, nel 2012 la pressione fiscale in Germania e nel Regno Unito risulta inferiore alla media Ue27 (rispettivamente al 40,2% in calo dal 42,1% del 2000 e al 36,8% in calo dal 37,6% del 2000) mentre in Francia risulta significativamente sopra la media Ue27, attestandosi al 46,9% in rapporto al Pil. Al livello più alto di tassazione si trova la Danimarca con il 48,9% del pil ma in calo rispetto al 50,1% del 2000. Segue il Belgio con il 47,3% in aumento dal 46,4% del 2000. ISTRUZIONE: OLTRE IL 40 PER CENTO SI FERMA ALLE SCUOLE MEDIE Nel 2012 il 43,1 per cento della popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni ha conseguito la licenza di scuola media come titolo di studio più’ elevato: è’ un valore molto distante dalla media Ue27 (25,8 per cento) e inferiore solo a quelli di Portogallo, Malta e Spagna. In Italia il 17,6 per cento dei 18-24enni ha abbandonato gli studi prima di conseguire il titolo di scuola media superiore (12,8 per cento in media Ue), quota che sale al 21,1 per cento nel Mezzogiorno. I dati più’ recenti sul livello delle competenze dei 15enni prossimi alla fine dell’istruzione obbligatoria (indagine Pisa dell’Ocse) evidenziano per i nostri studenti performance inferiori alla media Ocse e a quella dei paesi Ue che partecipano all’indagine, ma confermano i segnali di miglioramento già evidenziati tra il 2006 e il 2009. La permanenza dei giovani all’interno del sistema di formazione, anche dopo il termine dell’istruzione obbligatoria, è pari all’81,3 per cento tra i 15-19enni e al 21,1 tra i 20-29enni. La media Ue21 nelle due classi considerate è’ piu’ alta (rispettivamente 87,7 e 28,4 per cento), ponendo l’Italia agli ultimi posti nella graduatoria dei paesi europei. E per ciò che concerne l’università? Ebbene il 21,7 per cento dei 30-34enni italiani ha conseguito un titolo di studio universitario (o equivalente). Ma nonostante l’incremento che si osserva nel periodo 2004-2012 (+6 punti percentuali), la quota è’ ancora molto contenuta rispetto all’obiettivo del 40 per cento fissato da Europa 2020. In Italia l’incidenza della spesa in istruzione e formazione sul Pil è pari al 4,2 per cento, valore ampiamente inferiore a quello dell’Ue27 (5,3 per cento) (2011). Per quanto riguarda l’ acculturamento individuale al di fuori della scuola i dati del 2013 parlano di un 43% degli italiani che ha letto almeno un libro nel tempo libero. I lettori sono di più al Centro-Nord (49,5% contro il 30,7% del Mezzogiorno), mentre in un’ottica di genere le donne leggono più degli uomini (rispettivamente 49,3% e 36,4%). Poco meno di un italiano su due (49,4%) legge un quotidiano almeno una volta a settimana e, tra questi, il 36,2% almeno cinque giorni su sette. Sono sempre più numerose le persone che utilizzano Internet per la lettura di giornali, news o riviste: dall’11,0% del 2005 si passa al 33,2% del 2013. Al primo posto tra le attività culturali svolte fuori casa dagli italiani nel corso del 2013 c’è il cinema (47% della popolazione di 6 anni e più). Seguono le visite a musei e mostre (25,9%). Nel 2011 le famiglie italiane hanno destinato alle spese per ricreazione e cultura in media il 7,3% della spesa complessiva per consumi finali. Sono 410 mila le unità di lavoro che partecipano al processo di produzione di beni e servizi a carattere culturale, ricreativo e sportivo, 54 mila in più rispetto al 2000 (+15,1%). Tale incremento è molto superiore a quello registrato per il totale delle attività economiche, che hanno registrato rispetto al 2000 un incremento del 2,5%. Infine lo sport. Sono 17 milioni e 715 mila le persone di 3 anni e più che praticano sport (circa una su tre): il 21,3% vi si dedica in modo continuativo, l’8,7% saltuariamente. Pur non praticando s
port, il 27,7% svolge un’attività fisica, mentre i sedentari sono il 42%. Il Trentino-Alto Adige è la regione con la quota più elevata di praticanti sportivi (47,8%), la Campania quella con la quota più bassa (17,6%). LA SANITA’: ITALIA SOTTO LA MEDIA UE PER POSTI LETTO OSPEDALIERI Stretta tra tagli e riorganizzazione, la sanità italiana ricorrentemente vede ridursi posti letto ospedalieri e ospedali. Un obiettivo raggiunto che ci vede in Europa ai livelli più bassi, insieme a Portogallo, Spagna, Regno Unito, Irlanda, Svezia. Per il 2014 è stata pianificata una riduzione del finanziamento del Ssn di 1 miliardo di euro, e del numero dei posti letto ospedalieri a 3,7 posti letto ogni mille abitanti. Per quanto riguarda l’offerta di posti letto ospedalieri a livello europeo, nel 2010 l’Italia (3,5 posti ogni mille abitanti) si è posta sotto la media europea di 5,5 posti letto per mille abitanti, al pari della Danimarca e subito dopo Cipro. A livello regionale, tra il 2002 e il 2010, l’offerta di posti letto ospedalieri utilizzati si è allineata alla media nazionale, passando da 4,3 a 3,5 posti letto per mille abitanti, con vistose differenze che vanno dai 2,9 posti letto della Campania ai 4,3 del Molise. Anche il numero di strutture ospedaliere ha continuato a diminuire nella maggior parte delle regioni, passando da 1.286 nel 2002 a 1.165 strutture nel 2010. La mobilità ospedaliera interregionale continua a rimanere consistente. Le regioni sono interessate da circa 588mila ricoveri ospedalieri di pazienti non residenti (8,4% dei ricoveri ordinari per acuti nel 2011) e da 523mila ricoveri effettuati dai pazienti in una regione diversa da quella di residenza. Ci si ricovera lontano da casa perché le strutture di altre regioni sono geograficamente vicine, per motivi di studio, lavoro, per usufruire di prestazioni di alta specializzazione non erogate dalla propria regione o maggiore fiducia nei servizi di altre regioni. I principali poli di attrazione sono al Centro-Nord. Le regioni con un flusso di emigrazione consistente rispetto ai ricoveri dei propri residenti sono Calabria (17,2), Abruzzo (16,5) e provincia autonoma di Trento (15,5). Nel 2011 le famiglie italiane hanno contribuito con proprie risorse alla spesa sanitaria complessiva per una quota pari al 20,6% (oltre -2% rispetto al 2001). La spesa sanitaria delle famiglie rappresenta l’1,8% del Pil nazionale, e ammonta mediamente a 949 euro per le famiglie del Mezzogiorno e a 1.222 euro per quelle del Centro-Nord. I tumori e le malattie del sistema circolatorio sono le patologie per cui è più frequente il ricorso all’ospedale e anche quelle per cui è più elevata la mortalità. I ricoveri in regime ordinario per queste diagnosi sono però diminuiti nel tempo, in particolari quelli per le malattie del sistema circolatorio (-21,5% tra 1999 e 2011) che per i tumori (-16,3%). Le malattie del sistema circolatorio sono la principale causa di morte in quasi tutti i paesi dell’Ue. In Italia, il tasso di mortalità per questa causa è pari a 30,4 decessi ogni diecimila abitanti, quello per i tumori a 25,9, con valori maggiori negli uomini (35,5) rispetto alle donne (19,3). I tumori sono la seconda causa di morte sia in Italia sia nell’Ue a 27. Nel 2012 i fumatori sono risultati essere il 21,9% della popolazione over 14, i consumatori di alcol a rischio il 14,1%. Risulta invece obesa una persona di 18 anni e più su 10 (10,4%). La percentuale di persone obese, calcolata sul totale della popolazione di 15 anni e oltre, scrive l’Istat, vede l’Italia tra i paesi con i valori più bassi (10,4) considerando la popolazione adulta (18 anni ed oltre) insieme a Svezia (11,0), Paesi Bassi (11,4), Austria (12,4), e Francia (12,9). Le percentuali più alte si riscontrano invece in Ungheria (20,0), Repubblica Ceca (17,4) e Grecia (17,3). L’ITALIA TRA I PAESI PIU’ «VECCHI» D’EUROPA, MA CON MENO DIVORZI L’Italia non è il Paese più «vecchio» d’Europa: a superarci è la Germania, che con 155,8 anziani ogni 100 giovani sbaraglia il nostro pur rispettabile indice di vecchiaia (148,6). Il dato fotografa la situazione al 1 gennaio 2012 e conferma che la regione italiana più anziana è la Liguria (236,2 ogni cento), mentre la Campania, con un indice per la prima volta superiore a 100, è quella più giovane. La vita media degli italiani si conferma tra le più lunghe dell’Unione, con 84 anni e mezzo per le donne e poco più di 79 anni per gli uomini. Specularmente, nel contesto europeo l’Italia si colloca tra i Paesi a bassa fecondità con 1,42 figli per donna, e l’età media al parto continua a crescere, attestandosi a 31,4 anni. Dopo Irlanda e Malta, il nostro è il Paese europeo con la più bassa incidenza di divorzi (0,9 ogni mille abitanti), anche se lo scioglimento per via legale delle unioni è un fenomeno in tendenziale crescita: tra il 2000 e il 2011 le separazioni sono aumentate del 23,4% e i divorzi del 43,2%. MORTALITA’: DIMINUISCE QUELLA INFANTILE, DIMEZZATI I DECESSI PER INCIDENTI STRADALI Sicilia, Campania e Lazio sono le regioni italiane con il più alto tasso di mortalità infantile. Rispetto alla media nazionale di 3,3 decessi per mille nati vivi, registrata nel 2010, in Sicilia è di 4,8, in Campania di 4,1 e nel Lazio di 3,9. Tuttavia il nostro Paese vanta uno dei valori più bassi in Europa, in calo continuo dal 2000, anche se negli anni più recenti c’è stato un rallentamento di questo trend. In tutta Europa si osserva comunque una tendenza alla diminuzione della mortalità infantile, seppur con battute di arresto e oscillazioni. Il livello medio di mortalità infantile nei paesi dell’Ue a 27 si è attestato nel 2011 su 3,9 decessi per mille nati vivi, con forti divergenze tra est e ovest. Tra i paesi con i tassi di mortalità più elevati spiccano Romania (9,4), Bulgaria (8,5), Lettonia (6,6) e Malta (6,3). L’Italia è simile a Belgio (3,3), Cipro, Spagna e Portogallo (3,1). I tassi più bassi si hanno in Estonia, Finlandia e Svezia (uguale o inferiori a 2,5 per mille). Analizzando invece il contesto nazionale, rimangono differenze territoriali che vedono il Mezzogiorno penalizzato con un tasso pari a 3,9. Negli ultimi anni si è visto inoltre un lieve aumento del tasso nel Centro, con valori nel 2010 superiori alla media nazionale in Toscana (3,5) e Lazio (3,9). Nel Nord, fatta eccezione per la Liguria (3,8), la provincia autonoma di Bolzano (3,7) e il Friuli-Venezia Giulia (3,4), in tutte le altre regioni i livelli di mortalità sono stati inferiori o pari a 3,0 per 1.000 nati vivi. La mortalità nel primo mese di vita è responsabile di oltre il 70% della mortalità infantile totale. Tra il 2002 e il 2012 si sono quasi dimezzati i morti per incidenti stradali in Italia passando da 6.980 a 3.653. Nel 2012 sono morte sulle strade 60,1 persone ogni milione di abitanti (erano 122 nel 2002), un dato ancora superiore alla media europea (54,9). I dati migliori si registrano a Malta (21,6) e nel Regno Unito (28,1). Nel 2012, le persone morte per incidente stradale nei paesi dell’Ue27 erano 27.724 (-9%). In Italia il numero è calato del 5,4%. QUALITA’ ALIMENTARE: SIAMO I PRIMI IN EUROPA, MA NON TUTTI MANGIANO BENE L’Italia è il primo Paese in Europa per prodotti agroalimentari con marchi di qualità. Il «riscatto» italiano, secondo i dati diffusi nel Rapporto Istat « passa per i prodotti con certificazione Dop, Igp e Stg che, escluso il settore vinicolo, sono 248, distanziando i 192 della Francia e i 161 della Spagna. «I consumatori dei paesi europei – si legge nel Rapporto – mostrano un crescente interesse per la qualità dei prodotti agroalimentari. Per consentire agli operatori di utilizzare al meglio il valore aggiunto dei loro prodotti, sono state introdotte a livello comunitario le specifiche certificazioni Dop, Igp e Stg. Le specialità agroalimentari italiane con questi marchi (escluso il settore vinicolo) riconosciute e tutelate dalla Ue sono 248 al 31 dicembre 2012, il numero di certificazioni più elevato a livello comunitario, a conferma del peso crescente delle produzioni agroalimentari di qualità del nostro
Paese». A fronte di questa bella notizia occorre però registrare il dato secondo il quale , con la crisi, hanno superato la cifra-record di 10 milioni gli italiani che non riescono a permettersi un pasto proteico adeguato almeno ogni due giorni, con un aumento del 35 per cento rispetto all’anno precedente. La Coldiretti afferma che una famiglia su quattro (24,9 per cento) è in una situazione di «deprivazione». «La punta dell’iceberg sono i 4.068.250 i poveri che nel 2013 in Italia sono stati addirittura costretti a chiedere aiuto per il cibo da mangiare. Tra questi – evidenzia la Coldiretti – si contano ben 428.587 bambini con meno di 5 anni di età e 578.583 over 65 anni dieta che sono dovuti ricorrere ad aiuti alimentari. In particolare, 303.485 persone hanno beneficiato dei servizi mensa, mentre sono ben 3.764.765 i poveri che nel 2013 hanno avuto assistenza con pacchi alimentari; quest’ultima forma di assistenza «risponde maggiormente alle aspettative dei nuovi poveri (pensionati, disoccupati, famiglie con bambini) i quali per vergogna – spiega l’organizzazione agricola – prediligono questa forma di aiuto piuttosto che il consumo di pasti gratuiti in mensa». ITALIA SVANTAGGIATA SU WEB E BANDA LARGA Il 54,8% della popolazione italiana a partire dai sei anni utilizza Internet, tra questi solo il 33,5% lo fa quotidianamente. La posizione nazionale è decisamente inferiore alla media dell’Ue a 27 pari al 70% di `navigatori´. Il nostro paese è in svantaggio anche sulla banda larga: la quota di famiglie che ha una connessione super veloce è del 55% contro il 73% della media europea. Sono i dati relativi al 2012 diffusi dal rapporto Istat `Noi Italia.100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo´. La posizione nazionale nell’utilizzo di Internet nel contesto europeo – dice l’Istat – è simile a quella di Bulgaria, Grecia (50%) e Portogallo (56%) mentre Svezia, Paesi Bassi e Lussemburgo registrano valori uguali o superiori al 90%. Stessa situazione per la banda larga: dopo l’Italia troviamo solo Bulgaria, Grecia e Romania (intorno al 50%) mentre Svezia, Regno Unito, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Germania registrano un tasso di penetrazione che supera l’81%. A livello territoriale il Mezzogiorno è più svantaggiato. Le regioni più indietro nella diffusione di Internet e banda larga, con un valore più contenuto rispetto alla media nazionale, sono Campania e Calabria; al Centro-Nord brillano la provincia autonoma di Bolzano e il Veneto, oltre dieci punti sopra la media nazionale. Oltre al divario territoriale c’è quello generazionale. Per quanto riguarda l’uso di Internet, quasi la totalità dei giovani tra i 15 e i 24 anni (9 su 10) si connette al web, più della metà lo fa tutti i giorni. Tra le famiglie costituite da sole persone di 65 anni e oltre appena il 12,2% dispone di una connessione a banda larga, mentre tra le famiglie con almeno un minorenne la quota sale all’84,8%.