Dopo anni di scontri armati, tra PKK e Stato turco, i Curdi hanno cominciato a praticare l’azione politica, fondando partiti, tra mille difficoltà. Tuttavia vi sono curdi che sostengono il governo di Erdogan, perché non interessati all’azione separatista. A chi conviene “spaccare” in due la Turchia?
di Anna La Mattina
La storia del popolo curdo affonda le sue radici nella storia più antica dell’area mesopotamica; sono un gruppo etnico iranico originario dell’Asia occidentale. Geograficamente, la zona prevalentemente montuosa nota come Kurdistan, comprende gran parte della Turchia sud-orientale, con un piccolo resto di comunità sparse anche in Anatolia centrale, l’Iran nord–occidentale, L’Iraq settentrionale e la Siria settentrionale.
Inoltre, nel corso degli ultimi decenni, un considerevole numero di curdi ha scelto di stabilirsi nelle principali città della Turchia occidentale, in particolare ad Istanbul; inoltre una parte di essi è emigrata in Europa occidentale, principalmente in Germania e in Scandinavia.
Numericamente, si stima che i curdi siano compresi tra 30 e i 45 milioni di individui e che quindi costituiscano uno dei più grandi gruppi etnici privi di unità nazionale poiché accomunati da una certa unità culturale e linguistica: parlano lingue kurde e zazaki, appartenenti al ramo delle lingue iraniane occidentali della famiglia indo-europea. Dal punto di vista religioso, la maggior parte di loro pratica il ramo Sciafeita una variante dell’Islam sunnita; le minoranze sparse in altri stati, praticano varianti minoritarie. Anche dal punto di vista culturale e religioso il popolo curdo si presenta piuttosto variegato e, spesso, assimilato alle culture dei vari paesi, nei quali si sono stabiliti da tempo. In realtà, sarebbe più corretto parlare di popoli curdi, che spinte separatiste (interne ed esterne), vorrebbero assimilare in un unico popolo.
In seguito alla Prima guerra mondiale e alla sconfitta dell’Impero ottomano, gli alleati occidentali, usciti vincitori dal conflitto, avevano previsto uno stato curdo nel Trattato di Sèvres del 1920.
Tuttavia questa promessa fu annullata tre anni dopo, con il Trattato di Losanna, che fissò i confini della moderna Turchia e non previde tale disposizione, lasciando ai curdi lo status di minoranza nei rispettivi paesi: fatto che diede origine a numerose rivendicazioni nazionaliste, sfociate in varie ribellioni e attività di guerriglia e in seguito anche a sistematici genocidi, specialmente in Iraq.
Ma guardiamo soprattutto cosa succede in Turchia, dove risiedono ben 20 milioni di persone, circa un quarto della popolazione complessiva turca: una tragedia che si consuma da decenni, fra il più numeroso popolo senza terra del Medioriente e uno Stato, la Turchia, con una identità nazionale “ben delineata”, che pertanto si è sempre opposta alle rivendicazioni secessioniste dei curdi, al suo interno.
Quella dei curdi, sotto certi aspetti, è una storia tragica, ma genera anche aspetti paradossali: sono fra gli abitanti più antichi di una terra chiamata Kurdistan, divisa fra Turchia, Iraq, Iran e Siria. Una terra che tutti conoscono e molti sentono nel loro cuore, ma che non esiste come stato, non esiste sulle carte geografiche, non esiste per la comunità internazionale.
Esiste però per il popolo curdo e qualche altro, che sicuramente intravede nel quadro geopolitico mediorientale, la ghiotta possibilità di “Spaccare” la Turchia (la porta d’oriente), seconda forza militare della NATO, scomodo alleato, che persegue politiche ambigue in occidente, con le spalle ben coperte ad Oriente… e con un presidente, Recep Tayyip Erdoğan, sempre più accentratore e con idee nazionaliste ben chiare!
Il popolo curdo, come abbiamo visto, così variegato e per niente omogeneo (come lo si vorrebbe, per convenienza geopolitica, far apparire), è stimato fra 30 e 40 milioni di individui, divisi non solo geograficamente, ma a volte anche nel dialetto che parlano e nell’atteggiamento verso i Paesi in cui vivono.
I curdi di Turchia per anni hanno aspettato un riconoscimento della propria identità, talvolta sperimentando una persecuzione che rischiava di portare a un’esplosione delle violenze e a un punto di non ritorno. Ciò proprio perché le strumentalizzazioni delle legittime necessità di una comunità etnica e culturale, hanno portato ad una esasperazione governativa turca (soprattutto negli anni degli attentati terroristici, per mano del PKK in Turchia) che non esitò a praticare la repressione del movimento del Partito dei lavoratori curdo (PKK), partito fondato da Abdullah Öcalan, personaggio carismatico, nonché guida spirituale e militare della rivoluzione curda, che nonostante si trovi prigioniero nel carcere di Imrali, in mezzo al Mar di Marmara, da oltre 20 anni, continua a essere un punto di riferimento per molti curdi di tutte le generazioni.
Oggi, nonostante la “propaganda occidentale” enfatizzi il bisogno del popolo curdo di unificarsi nel famigerato e agognato Kurdistan come Stato riconosciuto dalla comunità mondiale, in realtà noi non sappiamo fino a che punto certe esigenze non siano più degli apparati della politica internazionale piuttosto che della gente semplice che finisce per radicarsi nel mondo in cui vive da sempre e che non comprende neanche certe dinamiche complesse, chiare solo agli addetti ai lavori.
Chi ha avuto la possibilità di percorrere le moderne strade dell’Anatolia, ha potuto constatare ed incontrare gente curda intenta a vendere in tutta serenità i propri prodotti della terra, con i loro abiti colorati e la loro frutta altrettanto variegata, scambiandosi saluti e sorrisi, corredata anche da splendide fotografie!
In generale i curdi di Turchia, sono integrati nella società turca in cui vivono; sono stanziati anche nelle grandi città, come Istanbul, con una vita politica propria, con partiti politici espressi in parlamento (sia pure con alti e bassi) e condividono anche certe scelte governative: ci sono curdi che hanno sostenuto, con convinzione, le politiche del Presidente Erdoğan e lo favoriscono ancora con il voto, proprio perché non interessati alla causa separatista dell’organizzazione. Da parte sua, la Turchia oggi riconosce ai curdi l’uso della loro lingua d’origine, che viene insegnata ufficialmente nelle scuole, insieme alla lingua turca.
Perché non ipotizzare delle regioni curde a “statuto speciale”, per garantirne il diritto alle diversità culturali e a specifiche esigenze amministrative, invece di aizzare e fomentare guerre separatiste eterne, senza mai una fine?