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Economica La newsletter su economia e lavoro a cura di Alessandro Lubello

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Allarme per i paesi poveri
Lo Sri Lanka ha bisogno di almeno cinque miliardi di dollari nei prossimi sei mesi per comprare beni essenziali come i prodotti alimentari, il carburante e i fertilizzanti. Lo ha detto il premier e ministro delle finanze Ranil Wickremesinghe intervenendo in parlamento sulla peggiore crisi economica vissuta dal paese negli ultimi settant’anni. A maggio, per la prima volta nella sua storia, lo Sri Lanka ha dichiarato insolvenza sui debiti contratti con alcuni creditori internazionali e ha avviato dei negoziati per un salvataggio da parte del Fondo monetario internazionale. Il governo, inoltre, sta cercando di rinegoziare un prestito da 1,5 miliardi di dollari concesso dalla Cina. L’economia nazionale è stata colpita duramente dalla pandemia (che ha bloccato il turismo, una delle principali fonti di entrate del paese), dall’aumento dei prezzi dell’energia e da una politica di bilancio irresponsabile, attraverso la quale il governo ha introdotto tagli alle tasse insostenibili per le finanze pubbliche pur di guadagnare consensi. A maggio il tasso d’inflazione ufficiale ha raggiunto il 39,1 per cento, mentre nella capitale Colombo i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati del 57,4 per cento.

La situazione dello Sri Lanka non è un’eccezione tra i paesi in via di sviluppo, in particolare per le conseguenze del rincaro dei prodotti alimentari e degli effetti della crisi climatica sui raccolti agricoli. Secondo uno studio dell’Institute of international finance condotto su un campione di 32 paesi emergenti (che non include lo Sri Lanka), il debito totale — pubblico e privato — è aumentato di venti punti percentuali, al 248 per cento del pil. Ma in questo momento il pianeta rischia una grave crisi alimentare soprattutto a causa dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, visto che questi due paesi sono tra i maggiori esportatori di grano e fertilizzanti. Già a marzo il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, aveva avvertito che il mondo rischiava “un’ondata di carestie”. Da quando è cominciato il conflitto, il 24 febbraio, dal porto ucraino di Odessa, uno scalo fondamentale nel commercio di grano, non partono più navi a causa del blocco imposto dai russi. Milioni di tonnellate di grano raccolto la scorsa stagione rischiano di marcire, mentre le truppe russe continuano a bombardare depositi e campi di cereali in Ucraina. Sono in corso trattative per sbloccare un carico di venti milioni di tonnellate di grano. Si stima che già adesso più di 250 milioni di persone abbiano enormi difficoltà a procurarsi da mangiare. L’inflazione, inoltre, avrebbe messo a rischio la sicurezza alimentare di 1,6 miliardi di persone.

Le prospettive non sono buone per l’intera economia globale. Nell’ultima versione del suo Global economic prospects, la Banca mondiale parla di un maggiore rischio di stagflazione (la contemporanea presenza di recessione e inflazione elevata), con “conseguenze potenzialmente dannose per le piccole e medie economie”. Secondo l’istituto, quest’anno la crescita del pil globale dovrebbe crollare dal 5,7 per cento del 2021 al 2,9 per cento, molto meno rispetto al 4,1 per cento previsto per il 2022 lo scorso gennaio. E nel biennio 2023-2024 la tendenza non dovrebbe essere molto diversa, dal momento che “la guerra in Ucraina blocca attività, investimenti e scambi commerciali nel breve periodo”. Due anni di covid-19 e la guerra faranno diminuire il reddito pro capite nei paesi in via di sviluppo di quasi il 5 per cento rispetto al periodo precedente la pandemia.

Stati Uniti

Minacce e licenziamenti
“Elon Musk ha minacciato di abbandonare l’accordo con cui ad aprile si è impegnato a comprare Twitter per 44 miliardi di dollari”, scrive il Financial Times. L’imprenditore accusa il social network di non aver fornito cifre attendibili sugli account falsi della piattaforma. Twitter ha dichiarato che corrispondono all’incirca al 5 per cento degli utenti, ma secondo Musk la cifra reale è molto più alta. Per questo motivo l’8 giugno il social network ha annunciato che metterà a disposizione un’ampia gamma di dati. Persone vicine all’affare, inoltre, sostengono che il social network intende sottoporre l’accordo con Musk al voto degli azionisti all’inizio di agosto.

Alcuni analisti in realtà sono convinti che la questione degli account falsi sia una scusa utile a Musk per uscire dall’accordo con Twitter, che potrebbe essere diventato particolarmente oneroso per l’imprenditore. L’intesa, infatti, si basa su complessi e rischiosi contratti legati al patrimonio di Musk, che in gran parte è costituito dalle azioni delle sue aziende, in particolare la casa automobilistica Tesla e l’azienda aerospaziale SpaceX. Da quando è stato annunciato l’accordo con Twitter, le azioni della Tesla si sono svalutate fortemente, come del resto tutti i titoli del settore tecnologico statunitense. Non a caso Musk ha dichiarato che licenzierà il 10 per cento dei dipendenti della Tesla, perché ritiene che le prospettive economiche siano tutt’altro che rosee. Musk ha ricevuto una replica piuttosto seccata dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden, con cui è in aperto contrasto da più di un anno, in particolare da quando la Casa Bianca ha proposto delle agevolazioni solo per i produttori di auto elettriche con personale sindacalizzato (quindi non la Tesla). Il 3 giugno Biden ha dichiarato: “La Ford sta aumentando massicciamente i suoi investimenti, con seimila nuovi posti di lavoro nel Midwest. La Stellantis sta facendo investimenti simili anche nei veicoli elettrici. La Intel aggiunge ventimila nuovi posti di lavoro nella produzione di processori per computer. Quindi, che dire, buona fortuna per il suo viaggio sulla Luna”.

Aziende

L’addio di Sheryl Sandberg alla Meta
Il 1 giugno Sheryl Sandberg ha annunciato che entro la fine del 2022 lascerà la carica di direttrice esecutiva della Meta, l’azienda che controlla tra l’altro Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger. La dirigente ha dichiarato che intende concentrarsi sulle sue attività filantropiche e sulla sua fondazione Lean in. Quest’estate, inoltre, sposerà il produttore televisivo Tom Bernthal. Arrivata da Google nel 2008, Sandberg ha avuto un ruolo chiave nella costruzione del modello basato sulle inserzioni che ha reso la Meta una delle aziende più ricche del mondo: oggi la quasi totalità delle entrate del gruppo proviene dalla pubblicità. Le sue dimissioni, osserva il Wall Street Journal, “hanno sorpreso anche le persone più vicine al colosso tecnologico. Ma in realtà sono il culmine di un lungo processo in cui una delle manager più potenti della Silicon valley era sempre più stanca e lontana dall’azienda”. Negli ultimi tempi, inoltre, Sandberg ha più volte dichiarato di “essere diventata un capro espiatorio per i numerosi problemi della Meta”, soprattutto quelli legati agli scandali sull’abuso dei dati personali degli utenti. Una persona che ha lavorato a lungo con lei ha detto che “è stata presa di mira in modi che non sarebbero mai stati usati con un uomo”. Sandberg, conclude il quotidiano finanziario, “è stata poco coinvolta anche nella decisione di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, di spostare il cuore dell’azienda nel campo della realtà virtuale”.

L’addio alla Meta è anche l’occasione per riflettere sul ruolo delle donne nella Silicon valley. “Sono particolarmente orgogliosa”, ha scritto Sandberg su Facebook, “che questa sia l’azienda dove molte donne straordinarie e persone di origine e formazione diverse si siano fatte strada diventando leader”. Tuttavia, fa notare il New York Times, nonostante le parole di Sandberg bisogna aggiungere che “in generale nell’industria tecnologica la posizione delle donne ai vertici non è soddisfacente. E con queste dimissioni la Silicon valley perde la sua rappresentante femminile più nota e affermata, che lascia il testimone a pochissime persone”. Sandberg appartiene a una generazione di donne manager che nel settore sono arrivate ai livelli di gente come Larry Page e Mark Zuckerberg. Ma con il tempo molte di loro — per esempio Marissa Mayer a Yahoo, Meg Whitman alla Hewlett Packard o Ginni Rometty all’Ibm — sono andate via, spesso con la reputazione a pezzi. Negli ultimi anni le donne non hanno registrato grandi progressi ai vertici della Silicon valley. La Alphabet (la casa madre di Google), la Apple, Amazon, la Meta e gli altri colossi continuano a essere dominati dai maschi. Nel 2020 solo il 4,8 delle cinquecento principali aziende tecnologiche statunitensi era guidato da donne, un dato invariato rispetto al 2018. Invece nello stesso periodo la quota di amministratrici delegate tra le cinquecento principali aziende quotate alla borsa statunitense è passata dal 4,8 al 6 per cento.

Fonte: Internazionale