AGI – Nei giorni scorsi sono riprese le manifestazioni e le proteste dei giovani del piccolo regno di Eswatini che chiedono giustizia e democrazia. L’occasione delle manifestazioni è stata la commemorazione dell’uccisione di un giovane attivista. Il corpo mutilato di Thabani Nkomonye era stato trovato un anno fa, una morte che i suoi amici studenti avevano attribuito alla polizia.
L’assassinio del giovane ha scatenato proteste molto aspre contro il re Mswati III, che ha lasciato sulle strade almeno 28 persone nel giugno del 2021 uccise dalla polizia. Ieri, infatti, almeno duemila manifestanti hanno marciato per le strade di una delle principali città, Manzini, ma la polizia ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere la folla.
Un giovane studente ha spiegato che dopo quest’ultima manifestazione repressa con brutalità dalle forze dell’ordine è chiaro che il re non “regalerà” la libertà sperata dai cittadini su un piatto d’argento. Come dire che la libertà dovrà essere guadagnata sul “campo” e quindi fa prevedere un ritorno alle manifestazioni per reclamare non solo libertà ma anche democrazia. Anche in questa protesta, organizzata dall’Unione nazionale degli studenti, quattro manifestanti sono stati feriti dai proiettili di gomma.
Nell’inchiesta sulla morte dello studente, avvenuta l’anno scorso, nessuno è stato perseguito e la polizia è stata scagionata proprio la settimana scorsa. Il giovane Thabani, attivista pro democrazia, è stato ritrovato in un campo, con gli occhi cavati e con tre gravi ferite sul corpo. La polizia ha detto che l’uomo è morto a causa di un incidente d’auto. “Bisogna fare giustizia per Thabani. Come giovani abbiamo la responsabilità di continuare la sua lotta, in suo onore, per liberare i giovani di questo paese”, ha detto il leader del sindacato studentesco, Colani Maseko.
In questo piccolo paese – incastonato tra Sudafrica e Mozambico – estremamente povero e senza sbocco sul mare, precedentemente noto come Swaziland, il re nomina i ministri, controlla il parlamento e i partiti politici sono banditi da almeno 50 anni. Incoronato nel 1986 all’età di 18 anni, Mswati III, che ha 15 mogli e più di 25 figli, è criticato per il suo pugno di ferro e il suo stile di vita sontuoso in un paese dove i due terzi degli 1,1 milioni di abitanti vive sotto la soglia di povertà. Anche per questo durante le proteste dell’anno scorso sono stati bruciati edifici, negozi e altri immobili di proprietà della famiglia regnante.
Il montuoso stato dell’Africa meridionale è uno degli ultimi tre regni rimasti in tutto il continente africano, insieme al Marocco e al Lesotho, ma è quello dove re Mswati III governa il paese da monarca assoluto, i partiti non si possono presentare alle elezioni, e con la nuova costituzione, scritta nel 2006, il Parlamento ha solo un potere consultivo, i parlamentari sono un orpello inutile e il re governa per decreto. Mswati III, inoltre, riveste anche la carica di comandante in capo dell’esercito e della polizia. Proprio per queste ragioni i manifestanti lo ritengono responsabile diretto delle violenze esercitate durante le proteste.
Non solo il potere politico, ma anche l’economia stessa del paese è monopolizzata dal re, dai componenti della famiglia reale e da poche persone a loro strettamente legate, anche in termini di contratti non trasparenti, dove le risorse pubbliche sono utilizzate a fini privati. Il fondo pensioni, solo per fare un esempio, è servito per iniettare liquidità negli affari vicini agli interessi del re.
Per tutte queste ragioni i giovani del piccolo regno di Eswatini non chiedono altro che un governo democratico che serva gli interessi dei cittadini. Le proteste, tuttavia, non dissuadono il sovrano che non intende mollare lo scettro.
Source: agi