di Antonello Longo
Abbiamo celebrato quest’anno il 77° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo in un clima del tutto particolare, dovuto all’atroce guerra in corso in Ucraina. Non sono mancate divisioni, contestazioni, polemiche strumentali e scrupoli veri di coscienze (vanamente) protese alla ricerca del discrimine esatto tra il bene e il male.
L’invasione da parte della Russia di un altro Stato sovrano riporta indietro l’orologio delle storia: io trovo impressionanti certe analogie col passato. Siamo tutti coinvolti in un clima di incertezza diffusa, di angoscia per l’avvenire, perciò è necessario più che mai collegare ogni progetto di futuro, di ricostruzione, di rinascita, alle radici delle nostre libertà di italiani e di uomini.
È disperante quanto sta accadendo; qualunque sia il nostro credo, abbiamo bisogno di messaggi forti che richiamino al senso dell’umano come antidoto alla disumanità. Ed è quel che trovo nelle parole di padre David Maria Turoldo, partigiano e poeta: “la Resistenza non è finita; è stata frutto di pochi precursori, che avevano seminato durante il ventennio, ma è stata anche una più vasta semente per l’avvenire. E non dobbiamo scoraggiarci”.
Questa riflessione di Turoldo, rivolta nel 1985 agli studenti, evoca la teologia della speranza di Jurgen Moltmann, e già questo rifarsi ad un teologo protestante ci rende la statura di un cattolico formidabile. Egli distingueva fra “avvenire” e “futuro”. “Il futuro soltanto – diceva – è fonte di speranza.”
Amico di don Zeno e del cardinal Martini, per gli ambienti ecclesiastici padre David Maria, al secolo Giuseppe Turoldo, “fu ribelle, impetuoso, drammatico, fedele. Ribelle, nel senso nobile del termine; impetuoso, nelle sue reazioni e atteggiamenti; drammatico, per le sue vicissitudini; fedele in tre sensi, a Dio, alla sua vocazione, alle sue origini”. Ma ciò che ne caratterizza la missione di uomo, di cristiano, di educatore è la sua dimensione poetica, presente in una produzione molto vasta cui non è mancato il successo di critica e l’attenzione dei lettori, fino a proporlo come una voce tra le più paradigmatiche della poesia italiana contemporanea di ispirazione religiosa.
Significativo il commento di Carlo Bo: “Padre David ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni. Egli per decenni attuò inconsciamente, con il suo canto lirico, un motto della tradizione ebraica mistica, che invitava il fedele a un canto ogni giorno, a un canto per ogni giorno”.
E allora ascoltiamo, in questi giorni segnati dalla guerra, il canto di padre Turoldo.
Torniamo ai giorni del rischio,
quando tu salutavi a sera
senza essere certo mai
di rivedere l’amico al mattino.
E i passi della ronda nazista
dal selciato ti facevano eco
dentro il cervello, nel nero
silenzio della notte.
Torniamo a sperare
come primavera torna
ogni anno a fiorire.
E i bimbi nascano ancora,
profezia e segno
che Dio non s’è pentito.
Torniamo a credere
pur se le voci dai pergami
persuadono a fatica
e altro vento spira
di più raffinata barbarie.
Torniamo all’amore,
pur se anche del familiare
il dubbio ti morde,
e solitudine pare invalicabile…
David Maria Turoldo
(da “Ritorniamo ai giorni del rischio”, CENS, Milano, 1985)
David Maria Turoldo continuò incessantemente a scrivere i suoi versi fino alla morte, avvenuta a Milano nel 1992 (era nato a Coderno, in provincia di Udine, il 22 novembre 1916). Le sue poesie dal 1948 al 1988 sono state raccolte nel volume pubblicato da Rizzoli, Oh sensi miei (1990). L’editrice Garzanti ha pubblicato nel 1991 Canti Ultimi e nel 1992 Mie notti con Qoelet (Qoelet, in lingua ebraica, è il libro biblico dell’Ecclesiaste).