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L'hacking facilita l'evoluzione digitale

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AGI – Ho dedicato gran parte della mia vita a mettere in sicurezza il digitale. Una domenica mattina dopo aver passato la notte a leggere “Filosofi” di Pietro Emanuele, mi è sorto un grandissimo dubbio sul ruolo della cybersecurity nell’evoluzione del Digitale. Un brivido, un tremore, un senso di colpa… e se il ruolo svolto finora dalla sicurezza informatica non fosse quello giusto? Sono state ore intense, ma alla fine ho trovato la mia risposta, che desidero condividere, per tutti coloro che si troveranno davanti alla medesima domanda.

Le esperienze che il futuro ci riserva segnano profondamente il nostro essere a tal punto da cambiarci e da renderci unici. Anche le cose hanno un loro destino. Un libro, per esempio, anche se prodotto in serie, verrà consumato, letto, stropicciato, annotato e conservato in modo differente ed unico, dipendentemente da colui che lo ha acquistato. Ugualmente, un’automobile, se pur prodotta industrialmente, sarà differente da ogni altra in base alle strade che percorrerà e dai proprietari che la utilizzeranno. Ognuno di essi lascerà un segno, un marchio, un ricordo. Ogni oggetto fisico ha un proprio destino se posseduto almeno una volta. Ma quando pensiamo al digitale, possiamo pensare lo stesso? Il dato digitale, ad esempio, cambia in funzione di chi lo possiede?

La prima risposta potrebbe essere affermativa. Il pensiero corre alla regolamentazione europea sul trattamento e la circolazione dei dati, la GDPR. La legge esiste per regolamentare l’uso, la trasformazione ed il trattamento dei dati del cui possesso non godiamo interamente. Ogni dato può essere trasformato e trattato in modo differente dipendentemente dal luogo virtuale e dal servizio digitale con cui viene a contatto. Con questa ipotesi allora possiamo pensare che ogni dato, in ogni sua fase abbia un proprio destino.

Parallelamente vi sono sistemi digitali totalmente privi di personalizzazione che pare non abbiano un destino, come tutti quei sistemi che sono rappresentazioni digitali di sistemi fisici. Pensiamo ad un ebook, per esempio come rappresentazione digitale di un libro cartaceo. Nasce in quel modo e, adeguamente protetto, mai cambierà: non vi è la possibilità di cambiarlo nella sua struttura, non si consuma e non ha una fisicità tale da poterlo conservare ovunque. Pensiamo a un videogioco, stessa sorte, nasce e vive sempre uguale a tutti gli altri, non subisce cambiamenti strutturali in funzione del giocatore, ogni cambiamento, ogni configurazione, ogni evoluzione in realtà è già previsto, già scritto nel codice e si manifesta in momenti specifici indipendentemente dal giocatore.

Così abbiamo artefatti digitali che hanno un destino e artefatti digitali che non ce l’hanno anche se si manifestano come ”inerti” e immutabili nel tempo

La cybersecurity, intesa come scienza che impedisce il malfunzionamento (ovvero il funzionamento fuori dagli schemi) di un artefatto digitale può essere considerata come un fattore facilitante o piuttosto come un rifrattore di destino nel digitale? In un ambiente digitale dove le regole vengono studiate, implementate e controllate, adottare tecniche avanzate affinché ogni artefatto segua esclusivamente i comportamenti prefissati e per il quale è stato realizzato, non è come impedire al mondo digitale di generare discontinuità? Ma non è forse grazie alla discontinuità che l’essere umano si è modificato nel corso della storia? Non è forse la discontinuità a creare evoluzione?

Possiamo quindi giungere alla conclusione che sotto queste ipotesi la cybersecurity, nella sua forma più conservativa ed assoluta, possa essere interpretata come una scienza anti evoluzionista in quanto impedisce la naturale evoluzione del digitale limitando scomode e pericolose discontinuità?

Questo potrebbe risultare vero ma solo nel caso in cui si riducesse la scienza della sicurezza informatica alla mera azione-reazione a un unico artefatto, escludendo l’intero ecosistema giuridico a tutela di noi tutti. È un po’, permettetemi l’associazione, come confondere l’hacking con il crimine informatico. Di fatto il crimine informatico, sia che generi discontinuità (gli 0days, ad esempio) oppure no, è sbagliato, in quanto limita o viola i diritti altrui e per questo va fermato (la cybersecurity), mentre l’hacking, ovvero il processo di manipolazione del sistema per gioco, sfida o ricerca (ovvero conoscenza) è un processo sano e virtuoso che porta ad una costante evoluzione dei sistemi digitali e per questo non credo debba essere ostacolato.

Pertanto la cybersecurity non è considerabile come un fattore ostativo all’evoluzione del Digitale ma lo facilita, perché mira a garantirne il corretto utilizzo affinché possa continuare a crescere offrendo ambienti di vita, sani e confortevoli.

Source: agi


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