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Logica del profitto e science based economy. Si può costruire una società orientata al socialismo?

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Consci delle leggi produttive e degli equilibri necessari per evitare crisi di sistema, le scelte dei bisogni da soddisfare e degli obiettivi da perseguire sono basate sulla scienza (science based choices) affidate cioè a ricerche consapevoli, programmazione delle attività e dei quantitativi da produrre con l’utilizzo di computers (anche quantistici), verificando i risultati, correggendoli laddove necessiti, adottando il metodo scientifico

di Renato Costanzo Gatti

Desidero apportare un contributo all’analisi economica e sociale (struttura e sovrastruttura) che, a mio parere, è necessario affrontare da parte di chi voglia intraprendere un percorso politico progressista nel segno della trasformazione democratica e della giustizia sociale.

Ho trattato in un precedente articolo il tema del modo di produzione e della sovrastruttura sociale. Veniamo ora a parlare della classe operaia e della logica del profitto e della science based economy.

In passato la classe operaia era vista dalla sinistra come il soggetto principale della rivoluzione, certo non quella romantica del 1917, ma quella di un cambiamento della classe dirigente che, opponendosi al capitalismo, assumesse un ruolo egemone nella costruzione del socialismo. Effettivamente la classe operaia, in quanto tale, era quella che più di ogni altra aveva interessi ed obiettivi antagonistici rispetto al capitalismo (non è certo un soggetto con tali caratteristiche la categoria degli “ultimi”, spesso indicati come target del socialismo ma, a mio avviso, troppo vicino ad un pur apprezzabile francescanesimo), ma oltre a tale elemento strutturale occorreva anche la presa di coscienza di questo ruolo e la crescita culturale da subalterno a dirigente. Il pensiero corre necessariamente a Gramsci ed alla sua idea di un rapporto intellettuali-subalterni chiamati ad una crescita di entrambi fino alla conquista dell’egemonia sul senso comune.

Questo processo non si è verificato nei paesi del socialismo reale ed ha avuto momenti promettenti di alto profilo quando si trattò sulla prima parte dei contratti. Culturalmente e grazie all’eredità della Resistenza le idee del socialismo furono egemoni nella letteratura, nella pittura nel neorealismo cinematografico. I partiti contribuivano in modo determinante in questo processo di crescita culturale della classe operaia, le discussioni in sezione erano una maturazione continua nel percorso di formazione. Addirittura, talora la figura dell’operaio veniva “santificata”, come nel Deserto Rosso di Antonioni.

Negli anni del neo-capitalismo dilagante tutta questa costruzione ha iniziato a sgretolarsi; i partiti operai si sono squagliati come neve al sole, è crollata la formazione continua delle discussioni nelle sezioni; il sindacato da una parte è stato marginalizzato dal capitale, dall’altra ha cominciato a perdere consensi da chi rivendicava obiettivi più corporativi. Il soggettivismo si è diffuso anche nella ricerca di una soluzione neo-capitalista al bilancio familiare. In modo sintetico si può dire che la volontà della classe divenuta soggetto consumatore si sia rivolta ai temi redistributivi senza affrontare a monte il più ambizioso tema della funzione produttiva.

Il voto operaio nel 2018 premia i 5stelle, la Lega, Forza Italia con percentuali superiori a quelle date a PD e LEU. Si può ritenere che questo risultato indichi la rinuncia della classe operaia a porsi come il soggetto guida nella costruzione di un paese ispirato al socialismo, od occorre un nuovo sinergico incontro/scontro dialettico con quell’intellettuale collettivo che i partiti rappresentano.

Sia o meno possibile ricostruire una sana dialettica tra intellettuali e classe operaia, rimane il tema dell’oggetto del socialismo. Emancipazione, uguaglianza, solidarietà, fraternità, superamento delle classi sono tutti valori condivisibili, io ne vedrei, tuttavia una interpretazione strutturale piuttosto che valoriale.

Il mondo dell’economia è quello che determina i rapporti sociali tra le persone condizionando in modo dialettico (nel senso che ne è pure condizionato) il mondo dei valori che guidano il civile convivere. Stiamo parlando di reciproco condizionamento dialettico tra struttura e sovrastruttura.

La struttura si articola in produzione e distribuzione, e nel loro funzionamento si riscontra la differenza tra capitalismo e socialismo. Si tratta di un diverso modo in cui i due sistemi danno una risposta alle domande: a) cosa produrre, come produrre e b) come redistribuire il prodotto.

Alla prima domanda il capitalismo risponde con la sua logica che consiste nel lasciare che sia il capitale, detentore dei mezzi di produzione, a scegliere cosa e come produrre, ed il capitale sceglie di produrre quei beni e servizi che danno maggior profitto.

Non sono i bisogni a guidare la scelta del “cosa produrre”, ma è il profitto ad orientare quella scelta. Ed è solo lasciando al capitale la piena discrezionalità del come produrre ciò che porta più profitto che si dà una risposta alla seconda domanda. Ed i prodotti e servizi prodotti saranno redistribuiti in completa subordinazione alle esigenze produttive sovrastanti.

Non è azzardato chiedersi se quella scelta del “cosa produrre” sia la più opportuna ed efficace per la sopravvivenza e lo sviluppo della società.

La risposta del socialismo, invece, consiste nello scegliere il “cosa produrre” in base ai bisogni della popolazione e in base agli obiettivi consapevolmente individuati che si vogliono raggiungere nel futuro. Consci delle leggi produttive e degli equilibri necessari per evitare crisi di sistema, le scelte dei bisogni da soddisfare e degli obiettivi da perseguire sono basate sulla scienza (science based choices) affidate cioè a ricerche consapevoli, programmazione delle attività e dei quantitativi da produrre con l’utilizzo di computers (anche quantistici), verificando i risultati, correggendoli laddove necessiti adottando cioè il metodo scientifico.

Va da sé che una scelta del genere, una scelta basata sulla scienza, richiede che i mezzi di produzione non siano posseduti dal capitale ma siano socializzati, siano cioè svincolati dalla legge del profitto per imboccare le leggi della scienza. Ecco che allora si rende necessaria una politica che metta la produzione, il modo di produrre, al primo posto mutando la politica attuale che punta solo sulla fase redistributiva. Tutti gli strumenti della socialdemocrazia e del riformismo sono incentrati sul momento della distribuzione del prodotto, il socialismo deve puntare al momento che sta a monte della distribuzione, deve puntare al momento della produzione.

E ciò è tanto più valido se pensiamo ad un futuro non molto lontano in cui nella società robotizzata il possessore dei robots, dei mezzi di produzione, avrà il monopolio del “cosa produrre”. In quella fase si prospetterà l’alternativa tra una società neo-schiavistica in cui il possessore dei robots deciderà il “cosa produrre, quanto produrre e come redistribuire” guidato dalla legge del profitto, ed una società liberata dal lavoro, dalla necessità di vendere la propria forza-lavoro per sopravvivere, che possedendo i mezzi di produzione potrà gestire il suo domani con la logica scientifica.