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Il ruolo della progettazione nella moda sostenibile

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AGI – Sebbene sia a tutti noto come dallo schizzo, dall’idea creativa che si completa con una sapiente scelta dei materiali, nasca la collezione di moda , non sembrerebbe essere ancora molto diffusa la consapevolezza che solo attraverso una progettazione orientata alla sostenibilità sarà possibile accelerare il cambio di paradigma in atto.

Il designer si deve trasformare in “eco-fashion designer” con la complicità della  tecnologia, l’ausilio della formazione e l’appoggio del management,  che ha un ruolo fondamentale e di grande responsabilità in questa importante fase e che deve acquisire la consapevolezza che la sostenibilità deve considerarsi un obiettivo di medio termine destinato ad accrescere il valore dell’azienda.

È proprio dallo schizzo che tutto ha inizio.

Il fashion designer infatti, deve avere la capacità di conciliare creatività, estetica e sostenibilità preoccupandosi fin dall’inizio anche del fine vita dei capi progettati. Ciò sarà possibile solo con competenze aggiornate sui materiali di vecchia e di nuova generazione e sulle norme e certificazioni che li governano.

Una collezione di moda sostenibile nasce dalla creatività del fashion designer che attraverso un’attenta selezione di materiali concretizza il progetto creativo. La progettazione è il primo passo, tappa fondamentale, per determinare quanto un capo impatterà sull’ambiente, cioè quanto inquinerà.

È in questa fase infatti che si possono effettuare scelte per realizzare e produrre collezioni che avranno un basso impatto ambientale: dai materiali ai finissaggi, primi tra tutti quelli di tintura e stampa, fino alla selezione dei fili per cucire e degli accessori che completano il capo.  Affinché questo sia possibile è necessario conoscere e controllare l’intera filiera che deve poter esser tracciabile e “raccontabile” ai consumatori, sempre più attenti alla sostenibilità.

È ben noto che i capi di moda hanno un forte impatto sull’ambiente poiché la loro produzione è caratterizzata da un grande impiego di acqua ed energia, dall’utilizzo di moltissime sostanze chimiche dannose per l’uomo e per l’ambiente, da emissioni di CO2 e soprattutto da un grandissimo quantitativo di materiali di scarto e capi utilizzati, non riciclabili né biodegradabili da smaltire.

In cosa e come si distingue la progettazione sostenibile e quali competenze aggiuntive deve avere l’eco-fashion designer?

La scelta dei tessuti e di tutti gli accessori che compongono un capo è da sempre delegata allo stilista che progettando sceglie i materiali che meglio rappresentino l’idea, testandone “la mano” e scegliendo le fibre, conciliando valore estetico, esigenze tecniche e commerciali  e infine verificando che le scelte effettuate rispondano alle esigenze del mercato di riferimento per target e prezzo.

Il ruolo delle materie prime e la scelta dei materiali nella moda sostenibile è più che mai centrale.

Lo stilista per poter ripensare i processi di produzione mettendo al centro la sostenibilità deve conoscere le criticità e l’impatto che ogni materiale e processo di finitura ha sull’ambiente, privilegiare materiali che consentano il riuso e il riciclo, deve conoscere le normative e le certificazioni che accompagnano i tessuti e per tutto ciò la formazione ha un ruolo fondamentale nella trasmissione di questi valori.

Il fantastico lavoro di chi progetta moda è caratterizzato da competenze diverse con sfaccettature che abbracciano tutti le dimensioni dell’insostenibilità del settore tessile-moda lungo tutta la filiera: estetico, economico, ambientale, sociale e culturale.

La formazione in questo contesto diventa un’opportunità per trasmettere, accanto alle tradizionali competenze anche la consapevolezza della difficoltà, delle sfide e del potenziale che questo percorso può offrire.

L’Ecodesign coinvolge l’intero processo produttivo dall’idea alla vendita e allo smaltimento di un prodotto. Ecodesign ed economia Circolare, costituiscono insieme il primo passo verso un’economia più sostenibile.

Si delinea perciò un nuovo modo di fare moda secondo un’ottica che mette al centro un corretto impiego delle risorse per favorire un nuovo modello di sviluppo economico che sia rispettoso dell’ambiente e dell’uomo.

La progettazione sostenibile è infatti una scelta etica per la conservazione delle risorse del nostro pianeta e per la sua sopravvivenza poiché tiene in considerazione l’impatto che ogni prodotto ha in ogni fase del suo Ciclo di Vita.

La fase di progettazione deve mirare al contenimento del consumo di materiali e di energia e sfavorire l’uso di sostanze nocive per l’uomo e per l’ambiente.  Durante la progettazione si può infatti pensare a come produrre meno rifiuti, a come evitare lo smaltimento del prodotto, ad esempio programmandone già il riutilizzo, il cosiddetto Precycling .

Negli anni Settanta per la prima volta si ipotizzò il progressivo prosciugamento delle risorse naturali e nel 1987  la World Commission on Environment and Development (WCED), pubblicò Our Common Future (altrimenti conosciuto come Rapporto Brundtland) . Il rapporto per la prima volta, introduce il concetto di sviluppo sostenibile: “uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

Con il piano d’azione per l’economia circolare varato dal parlamento della UE (Circular Economy Action Plan Marzo 2020) si evidenzia che per raggiungere gli obiettivi prefissati (realizzare un’economia a emissioni zero, sostenibile, priva di sostanze tossiche e completamente circolare al più tardi entro il 2050.) occorre passare ad un modello di economia circolare e che questo cambiamento creerà nuovi posti di lavoro e opportunità di business. 

Il progetto punta a un comparto tessile sostenibile, dove i capi di abbigliamento siano progettati per durare, per essere riparati, per essere riutilizzati e riciclati in maniera efficiente. 

Il creativo contemporaneo può disporre di strumenti innovativi, nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale e l’internet delle cose per sfidare i  modelli di business già consolidati e realizzare progetti più sostenibili.

La tracciabilità dell’intera filiera per esempio ci permette di risalire all’origine dei materiali e dei capi d’abbigliamento – a partire dai campi da cui provengono le fibre che verranno trasformate in tessuti – ed è quindi fondamentale per accertare la reale sostenibilità dei prodotti.

Un buon esempio di come l’innovazione tecnologica possa facilitare la transazione green è il Global Fibre Impact Explorer, una nuova piattaforma web open source, ideata da Google, il WWF e la no profit Textile Exchange per aiutare i marchi di moda, grandi e piccoli, a prendere decisioni più informate e consapevoli nella scelta dei materiali e dei propri fornitori lungo la catena di produzione.

Nike nel 2013, invece ha scelto di investire in tecnologia ed è dal 2013 che in collaborazione con il London College of Fashion ha sviluppato MAKING, una app che facilita ai designer il compito di progettare tenendo conto del costo dei vari materiali in termini di uso di acqua, sostanze chimiche, energia e spreco e calcola la sostenibilità dei vestiti.

Zara, ha investito in formazione aderendo a un programma della Global Fashion Agenda per l’economia circolare nel sistema moda e già dal 2020 si è impegnata per istruire tutti i propri designer sui principi del design circolare.  Lo stesso ha fatto Asos stringendo anche una partnership con il Centro per la moda sostenibile del London College of Fashion per raggiungere lo stesso obiettivo.

Credo che la strada verso una reale rivoluzione green sia ancora lunga ma tutti i cambiamenti radicali hanno bisogno di tempi lunghi e le guerre non si sono mai vinte in un sol giorno.

 

Source: agi


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