AGI – Questa è la storia di Boniface Nguina, giovane camerunense, “l’ingegnere di Dio” poco più che ventenne, giunto a Palermo quattro anni fa, spinto dalla solidarietà di un gruppo di benefattori e amici. E da un sogno: laurearsi in ingegneria e tornare nel suo Paese per costruire pozzi e infrastrutture e migliorare le condizioni del suo Camerun bisognoso d’acqua. E’ morto il 9 dicembre, alla vigilia della Giornata internazionale dei Diritti umani, all’ospedale Civico di Palermo, per una grave malattia.
Era a un passo dal suo sogno “Boni”, come lo chiamano gli amici. Promettente studente giunto a due materie dalla laurea, con una precedente laurea in biochimica conseguita a Yaoundé. Adesso quell’obiettivo di realizzare un pozzo per dare acqua pulita alla gente del suo villaggio, è stato preso a cuore dall’Azione cattolica di Palermo. E chi vuole contribuire alla sua realizzazione, può acquistare gadget pensati per la raccolta fondi: una borraccia e un porta carta-penna-post it e foglietti adesivi colorati.
Attorno a lui, tra Palermo e Castelbuono, è cresciuto un movimento diffuso di sostegno, che ha visto anche il coinvolgimento di famiglie, realtà ecclesiali e dell’Università, sotto il testardo e amorevole pressing di Paola Geraci, medico-ginecologo e animatrice infaticabile di iniziative sociali e di solidarietà.
“Per venire da noi – racconta Erminia Scaglia, educatrice dell’Azione cattolica – ha dovuto prima imparare l’italiano”. Ragazzo in gamba e volenteroso Boni: “Durante il lockdown, come gruppo Azione cattolica, ci siamo impegnati a sostenere la sua connessione internet per un anno e far sì che continuasse a seguire le lezioni universitarie. Poi, lo abbiamo, per così dire adottato nel nostro gruppo di Azione cattolica orionina, anche se non molte sono state le occasioni per incontrarlo”.
Una autentica seconda madre è stata Paola Geraci, “nota a Palermo non soltanto per la sua altissima qualità professionale come ginecologa, ma soprattutto per il suo pluriennale impegno sociale a servizio dei più poveri. Purtroppo una grave malattia al fegato scoperta la scorsa primavera non ha lasciato scampo al nostro amico e in breve tempo ce lo ha portato via“.
Fino a due mesi prima di morire aveva affrontato esami all’università. “Boniface aveva un grande sogno per il quale non dormiva la notte”, spiega Erminia: “Portare acqua al suo paese, strappare la gente alla morte da Tifo”. Dare acqua pulita ai bambini. Quegli stessi bambini che nel suo villaggio Nlong-Zok ogni mattina si alzano alle cinque per fare chilometri con un secchio in mano o contenitori di plastica di fortuna e andare ad attingere a un pozzo distante per permettere alla propria famiglia non di lavarsi ma almeno di dissetarsi. E proseguire poi, per altrettanti chilometri, il cammino verso la scuola.
“La nostra stima e il nostro affetto per questo giovane volenteroso, serio e soprattutto di grande fede – sottolinea Erminia – è cresciuta quotidianamente e ci ha resi partecipi delle vicende del suo Paese. L’unica sua preoccupazione è rimasta fino alla fine quella di non aver visto i suoi piccoli abitanti felici e di non aver potuto assicurare loro un futuro migliore“.
Due mesi prima di morire era riuscito a tornare in Camerun per salutare la sua mamma e i suoi fratelli. “Ormai gravemente malato, aveva incontrato i nostri bambini di Acr – conclude commossa Erminia – raccontando la sua storia e loro hanno sempre chiesto di lui e gli sono rimasti legati. Due giorni prima che ci lasciasse, abbiamo riso e scherzato insieme e parlato, ovviamente, del suo grande sogno: il pozzo. Ciao Boniface, ingegnere di Dio, piccolo chicco di frumento che muore per dare molto frutto al suo Paese. Dona tanta acqua pulita al Camerun da lassù. Per il resto il progetto va avanti, noi non molliamo“.
Source: agi