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Si può discutere su tutto ma non su Babbo Natale e la Befana

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Durante un concerto di Natale di qualche anno fa (eravamo a Roma nel dicembre 2016) stizzito per il brusio fatto durante l’esecuzione, alla fine il maestro d’orchestra prese il microfono in mano e, come fanno i cattivi dei cartoni animati, disse “comunque Babbo Natale non esiste”.

Fu come se un prete avesse bestemmiato in chiesa alla fine della Messa. Per il tripudio delle interazioni sui social ne parlarono tutti: media televisivi, di carta o del web.

Perché si può discutere sui crocefissi in aula o sul chiamare Pasqua “Festa della Primavera” ma Babbo Natale non bisogna toccarlo (chi non ne fosse convinto dia un’occhiata alla puntata dei The Ferragnez in cui Fedez si fa truccare per otto ore da Babbo Natale per portare i regali al piccolo Leo, allora ancora figlio unico).

Quello che vale per Babbo Natale vale anche per la Befana. Se Babbo Natale è intoccabile forse è così perché con lui il Natale arriva, anche attraverso strade misteriose e sconosciute, a tutti ma proprio tutti.

C’è in quel padre buono, barbuto e panciuto un desiderio di paternità e di filiazione bambina che tocca atei, miscredenti e credenti che non badano più alle polemiche sulla libertà di espressione, di religione, di parola, di pensiero. Chi tocca Babbo Natale, muore, leggasi non dirige più il concerto.

A me sembra che la Befana merita molte delle attenzioni che dedichiamo a Babbo Natale. Pochi sanno che Babbo Natale altri non è se non la rivisitazione in chiave laica di San Nicola: e allo stesso modo tanti non conoscono che “Befana”, la vecchina brutta e dotata di scopa di saggina, altri non è se non una balbettante alliterazione del più complicato “Epifania”.

Saranno invece moltissimi, tutti direi, quelli che metteranno i dolci nelle calze dei bimbi. Dolci e giochini, mi permetto di dire, più piccoli rispetto a quelli sotto l’albero.

Perché abbiamo bisogno di doni, abbiamo bisogno di semplicità. E la Befana ce li promette entrambi.

Arriva di notte, arriva con le scarpe rotte, arriva con i suoi dolci a riempire sogni e calze. E anche noi, a causa del Covid, siamo in una notte per nulla metaforica e che mette non meno paura di quella dei bambini. Anche noi abbiamo le tasche – oltre che le scarpe – rotte. E quindi, quella della Befana è la nostra notte: la notte dei doni. Come a Natale e più che a Natale.

Non tutti noi ci possiamo permettere giochi costosi: invece tutti possiamo permetterci caramelle, cioccolatini e zuccheri colorati. Tutti li possiamo mangiare e dirci che sì, anche noi abbiamo bisogno di doni.

Natale ed Epifania, pastori e Re Magi, ci parlano di luci, di nascita e di doni. Babbo Natale e Befana usano il medesimo linguaggio teologico: quello del cuore umano quando ci si scambia doni.

Sarà per questo che anche il figlio di 20 anni e la figlia di 19 mettono ancora le calze accanto a quelle dei fratelli più piccoli.

Perché mettere qualcosa di vuoto e trovarlo il giorno dopo pieno di dolcezza donata da chi ti vuole bene, non è una metafora. Si chiama vita, si chiama amore.

Source: agi


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