In vista del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, merita una riflessione l’inedita forma di protesta degli studenti del Liceo Zucchi di Monza. Vestire i panni di qualcun altro significa anche entrare nella sua specificità, nel suo modo di essere e di vivere
di Anna La Mattina
L’insolita provocazione parte dall’idea della parità tra i generi e che la società deve smetterla di generare vittime tra le ragazze e le donne, a causa del proprio corpo, percepito da un certo universo maschile, apostrofato dai giovani contemporanei come “mascolinità tossica”, cioè che fa male, che uccide.
Gli studenti, con questa forma di protesta, possiamo dire inedita, almeno in Italia, hanno voluto dire basta, da parte loro, indossando i panni delle loro compagne e dimostrando così che tutti possiamo vestire i panni che vogliamo, senza per questo essere derisi o peggio “abusati” perché “donne con le gonne”, irresistibili all’occhio del “maschio tossico”, che non sa controllare i propri impulsi e le proprie emozioni.
Ma vestire i panni di qualcun altro, significa anche entrare nella sua specificità, nel suo modo di essere e di vivere e questo sicuramente mette in evidenza due cose importanti: l’empatia e il senso del collettivo, dell’appartenenza ad una comunità umana che va ben al di là dell’isolamento e dell’individualismo, tipico dei questi tempi.
I ragazzi hanno messo in scena una protesta che ci rimanda al ’68 e agli anni ’70, quando i movimenti studenteschi, insieme agli operai e le femministe, scendevano in piazza per delle chiedere giustizia di tante cose, che provocarono scandalo all’epoca: la riduzione dell’orario di lavoro e tempo libero da dedicare alla famiglia , allo svago, alla cultura; si protestava per il diritto allo studio per tutti; infine la liberazione sessuale, la parità tra uomo e donna, nel lavoro come nell’amore, nella gestione del tempo quotidiano e dello spazio casalingo: le donne reclamavano il diritto all’autodeterminazione e all’emancipazione dall’uomo-padrone; inoltre si chiedevano asili nido e servizi per poter essere più libere, nella gestione del loro tempo, chiedendo ai loro compagni di vita, la condivisione di compiti di cura della prole e di partecipare attivamente nella gestione della casa, abitata e condivisa.
Per questa ragione, la protesta dei ragazzi del XXI secolo non è nuovo di zecca… e per fortuna, direi! Ciò significa che certe istanze umane ci appartengono e ci apparterranno sempre… e che la tendenza ad “uniformare” tutto e tutti, non ha via libera.
Tuttavia la parità di genere risulta sempre essere un argomento scottante, perché ancora fondamentalmente irrisolto. Oggi si presentano nuove esigenze (ed emergenze), in fatto di rispetto delle diversità di genere, che va ben oltre l’indossare un indumento, tradizionalmente femminile, che lascerebbe spazio per malsani “ammiccamenti”, da parte dei “maschi tossici”, finendo per colpevolizzare la donna, in quanto espressamente “troppo” femminile, che mettendo in mostra il suo corpo, con abiti che lasciano libera l’immaginazione, diventerebbero complici del loro tragico destino. A questo i nostri giovani dicono NO, con estrema chiarezza!
Inoltre bisogna ricordare che, a partire dagli anni ’50, sono state proprio le donne a lanciare, in maniera chiara e duratura (fino a divenire un fenomeno irreversibile), la moda dei pantaloni e a porre la questione della parità di genere, dimostrando che, si poteva rimanere sé stessi, mantenendo la propria femminilità, al di là di un capo di abbigliamento, tradizionalmente maschile. Piuttosto indossare i pantaloni voleva significare e gridare al mondo intero che la donna può aspirare e svolgere i mestieri e ricoprire ruoli, che sono stati ritenuti, per troppo tempo, tipicamente maschili.
Questo a dimostrazione che la differenza di genere e le pari opportunità non possono basarsi soltanto su un indumento da indossare, che nel caso specifico, delle proteste giovanili di tutti i tempi, diventa un simbolo di libertà e di rispetto per tutti, ma soprattutto per le donne, oggi fortemente abusata e violentata, fino al sacrificio della propria vita.
La frequenza con cui tale tragedia si consuma, è talmente alta, da superare qualsiasi altro tipo di violenza, ai danni di altri “categorie” umane: senza tema di smentita, nella contemporaneità, le donne ed i bambini, risultano essere tra le persone più abusate dalla violenza maschile: dal confronto tra i due sessi spesso ne escono fortemente penalizzate, fino al punto di lasciarci la vita insieme ai propri figli… e ciò è diventato davvero insopportabile.
Intanto noi, non possiamo che gioire, per il fatto che gli studenti e le studentesse stanno cercando di esercitare il proprio pensiero critico, a vantaggio del dialogo costruttivo e amoroso tra uomo e donna. Spero sinceramente che essi sfuggano alla tentazione dell’omologazione, della uguaglianza a tutti i costi, tipiche della odierna cultura dominante, perché la diversità è un valore, da coltivare e da rispettare! Tutto il resto è conseguenza… possiamo ancora nutrire speranza per un mondo migliore …e ricordiamoci che “il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”!