AGI – Amava le canzoni di Julio Iglesias, Lucia Crifasi, che l’11 settembre di vent’anni fa rimase uccisa nel crollo delle Torri gemelle. Siciliana di Montevago, nel Belice, la partenza con la famiglia dalla Sicilia nel 1958 per gli Stati Uniti le aveva risparmiato la paura del terribile sisma del 1969 e di altri crolli che avrebbero mietuto centinaia di vite giovani come la sua, ma gliene riservava un altro ancora più micidiale perchè mirato, pianificato da mano (dis)umana all’età di 51 anni, quando lei aveva conquistato con fatica il proprio posto nella società americana.
‘Lucy’ Crifasi è una degli italiani/e e degli italo-americani/e morti nell’attentato che segnò l’inizio di una nuova epoca per il mondo, e che vede oggi tornare al potere a Kabul i demoni che la scatenarono. Il loro numero, ancora oggi, non è chiaro: fu l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a parlare, in occasione di una commemorazione nel 2008 (http://presidenti.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=712), di “dieci vittime con cittadinanza italiana o doppia cittadinanza e 260 di origine italiana”, ma il numero è continuamente oscillato nel corso degli anni.
Quei numeri al presidente li diede Giulio Picolli, imprenditore che da anni aggiorna il conto delle vittime italoamericane dell’11 settembre. “Napolitano – tiene a sottolineare all’AGI, che lo ha contattato – fu l’unico presidente venuto a New York a incontrare le famiglie delle vittime fermandosi sotto la lapide”. Oggi, spiega, i nomi dei morti di origine italiana sono 219. A essi si è aggiunto negli ultimi giorni, tra altri, quello di Caterina Kathy Mazza, primo capitano di polizia donna dell’Autorita’ portuale di New York morta mentre tentava di guidare un gruppo di civili fuori dal World Trade Center (https://www.odmp.org/officer/15797-captain-kathy-mazza).
Il lavoro di Picolli è stato – e sarà ancora – certosino: “Non posso identificare con più accuratezza i nomi a causa delle leggi americane e italiane sulla privacy. Ma questi nomi non vanno dimenticati. Il consolato a New York – dice all’AGI – non può darmi nomi e documenti per non infrangere la privacy. Lo capisco, e allora guardo perfino i necrologi per capire chi siano le persone morte, di quale etnia siano, servendomi poi di indicazioni date dal prete o dai parenti. Nel 2002 avevo 490 nomi; quest’anno ne ho contati 215 al 31 agosto; al 10 settembre ne ho aggiunti altri 4″.
L’11 settembre del 2001 Picolli perse il figliocco. “Luigi Gino Calvi, un ragazzo di 34 anni, nato e cresciuto con i miei figli. Era come un figlio – ricorda – uno di quei piccoli eroi della finanza americana, appena assunto dalla Cantor Fitzgerald, uno dei maggiori broker di Nyt, che ebbe l’80% dei propri dipendenti ucciso nell’attentato”. “Non ho mai smesso di cercare – continua – e nel libro che sto per pubblicare vi sono altre cornici in bianco. Ho 80 anni, e continuerò. L’importante è ricordarsi anche di una sola vittima italiana. L’emigrazione italiana in America, e nel private equity di Nyt, ha avuto un impatto importantissimo. Senza italiani, la ristorazione non esisterebbe. Dobbiamo dire grazie all’emigrazione, grazie a questi signori. Non li dimenticheremo mai”.
Molte delle vittime erano originarie della Sicilia. “I primi nomi – ha scritto in passato Luca Guglielminetti, presidente dell’Associazione vittime del terrorismo fino al 2015 (https://hommerevolte2.blogspot.com/) – arrivano da una celebrazione di due vittime originarie di Nissoria, Sicilia: Vincenzo Di Fazio e Salvatore Lopes. Notizia stampa pubblicata sul sito della base aereo navale americana di Sigonella”.
Il 16 settembre del 2001, cinque giorni dopo il massacro, una corrispondenza di Pantaleone Sergi per il quotidiano La Repubblica (https://www.repubblica.it/online/mondo/macerie/attesa/attesa.html) riportava un “balletto” di cifre e di nomi, dietro i quali si intravede la geografia delle partenze per l’America: “Non si hanno più notizie dei cugini Salvatore Lopes e Vincenzo Di Fazio, trentottenni di Nissoria in provincia di Enna. Salvatore, sposato e padre di due bambine di 8 e 11 anni, lavorava in un’agenzia di viaggi al piano numero 104; Vincenzo, anch’egli sposato e padre di tre figli, lavorava invece come agente di borsa. Dell’elenco fa parte anche Luigi Arena, 40 anni, di Capaci. Vigile del fuoco, l’uomo era entrato nella prima torre durante le operazioni di salvataggio. Nessuno ha saputo più niente di lui, come nulla si sa di Angelo Sereno, 30 anni, di Torretta, installatore di condizionatori d’aria, e di Calogero Gambino, anche lui di Torretta, che lavoravano in una delle torri. Scomparsi sono anche Giuseppe Randazzo, 28 anni, di Capaci, e Gianni Spataro, 32 anni, figlio di italiani ma nato qui (il padre di Ragusa e la madre di Termini Imerese) lavorava in una banca al 98esimo piano della prima torre. Dalla Calabria invoca informazioni la signora Maria Riverso e spera ancora che suo figlio Jo sia ancora in vita. Resta tra i dispersi anche Raimondo Cima, un architetto di 63 anni originario di Civitavecchia, che lavorava al 92esimo piano del Wtc. Il timore per la loro sorte – concludeva Sergi su La Repubblica – aumenta col passare delle ore. E sono ore terribili”.
“Riconoscere tutte le vittime dei conflitti è imprescindibile per le istituzioni”, scrive Guglieminetti su Avvenire. “Non solo per garantire loro i diritti sanciti dalle legislazioni italiana ed europea e per evitare un’ingiustificabile e vergognosa sperequazione che lascia aperte le ferite delle memorie, ma perchè è una precondizione per riumanizzarle: cioè, per dare spazi e voce ai “sommersi” attraverso i “salvati”, con tutte le difficoltà che ci ha insegnato Primo Levi, ma anche tutto il portato di conoscenze che da loro può scaturire permettendoci di provare a prevenire nuove catastrofi.
Capaci e Torretta, nel Palermitano; Montevago, nel Belice. Sono i punti da cui tradizionalmente partivano le famiglie siciliane alla volta dell’America. Come quella di Lucia, che trovò un lavoro – scrisse il New York Times in un obituary il 9 dicembre del 2001 (https://www.legacy.com/obituaries/name/lucy-crifasi-obituary?pid=113356) – nell’ufficio del broker Marsh & McLellan in una delle due Torri. “L’amavano tutti – si poteva leggere nel quotidiano – e non poteva essere altrimenti perchè Lucy era il genere di donna che aveva sempre un grande sorriso e il tempo di risolvere i problemi degli altri“.
Viveva a Glendale, nel Queens, e un giorno alla settimana lo trascorreva con la madre 85 enne. Amava viaggiare, Lucia, e spesso trascinava con sè i fratello e sorella in giro per il mondo. Un anno prima dell’attentato la famiglia era tornata a Montevago, e poi aveva viaggiato a Roma per salutare e pregare con il Papa. Aveva solo due vizi, raccontò al Nyt il fratello Frank: “Le scarpe e i libri”.
La mattina dell’11 settembre al lavoro Lucy indossava forse una camicia a strisce verde oliva. Qualche ora dopo sarebbe entrata a far parte del lunghissimo elenco di persone “Missing”, scomparse. Gli amici, scrisse Marshall Sella sul New York Times il 7 ottobre 2001 (https://www.nytimes.com/2001/10/07/magazine/missing.html), la cercavano disperatamente, stamparono la sua foto in centinaia di fogliettini da diffondere in giro e poi ne stamparono un’altra più recente, con gli abiti che avrebbe potuto indossare quel giorno.
E altre informazioni, aggiungevano a quei volantini della speranza: Lucy aveva una piccola cicatrice al centro della fronte e un neo sulla mascella e “una cicatrice di quattro pollici sul piede sinistro o destro”. I parenti di Lucia Crifasi chiamarono perfino dal Venezuala. Una delle ultime persone che sentirono al telefono Lucia fu una sua collega, Sue Johnson, che il 10 settembre del 2006 lasciò un suo ricordo nella pagina della MarshMcLennan: “Parlai con lei qualche minuto prima delle 8.46 quella mattina, ma non avevo capito che lavorata al Wtc finchè non vidi una sua foto alla Cnn. Penso spesso a lei, e spero che la sua famiglia trovi pace” (https://memorial.mmc.com/C/lucy-crifasi.html).
“Lucy – ha scritto sul memorial della Cnn Julia LaRosa (https://memorial.mmc.com/C/lucy-crifasi.html) – era da molti anni una mia amica. Ci incontravamo quasi ogni giorno sul bus che veniva da Glendale e vi tornava, fin quando lei non fu trasferita in centro. Era un agente di viaggio, e qando mia figlia le fece sapere di voler lavorare nel settore, l’aiutò molto con una serie di consigli. Adesso Robyn è un’agente di viaggi che ha avuto successo. Lucy era molto dolce e generosa, e teneva in modo forte alla famiglia”.
Montevago la ricorda con affetto ogni anno, e a vent’anni da quel giorno le dedichera’ un francobollo. Chi voglia leggere i nomi delle vittime italoamericane dell’11 settembre 2001, può farlo a questo link: http://casamemoriamilano.eu/wp/wp-content/uploads/2014/07/Elenco-vittime-ita-119.pdf. I ‘sommersi’ sono lì, in una ‘spoon river’ che l’Italia rischia di dimenticare.
Source: agi