di Antonino Gulisano
Quale partita politica si giocherà in Italia alla ripresa dopo le ferie d’agosto? In prospettiva due appuntamenti importanti sono in scadenza. Il primo a febbraio 2022, con l’elezione del Presidente della Repubblica. Il secondo con le elezioni politiche che si prevedono per maggio 2023. Analizziamo il primo.
Da una parte gli auto-sabotatori dell’Italia vogliono spedire il premier al Quirinale, per toglierlo da Palazzo Chigi e anticipare le elezioni. Tutto questo accelererebbe la presa del potere dei neo, ex, post fascisti e manderebbe in rovina la Repubblica Italiana. Dall’altra parte una possibile alternativa c’è, ma va costruita. Purtroppo Pd e Forza Italia non l’hanno capito e continuano a interpretare il ruolo di volenterosi complici dei populisti.
Eleggere Draghi presidente della Repubblica sarebbe il più classico dei casi di “promoveatur ut amoveatur”, (promuovere per rimuovere) uno dei classici della prassi ecclesiastica. Cioè promozione a incarico più prestigioso al fine di rimuoverlo da quello attuale. Una sventura da evitare a ogni costo. A favore della prospettiva che Draghi lasci Palazzo Chigi per traslocare al Quirinale sono tutti coloro che hanno subìto la nomina dell’ex banchiere centrale a capo del governo per salvare il Paese dalla pandemia e dal disastro economico creati dal coronavirus e dal Conte due. I sabotatori sono sia i sostenitori del governo Conte due e del mai nato Conte tre sia gli oppositori che hanno sperato di incassare politicamente il malcontento generale. Poi tutti quelli che furbescamente hanno applaudito la scelta del secondo mandato a Sergio Mattarella ma che in realtà hanno presto cominciato a rumoreggiare nel momento esatto in cui hanno capito che con Draghi non avrebbero toccato palla e, quindi, oggi sarebbero disposti a spedirlo al Quirinale: sia Matteo Salvini sia Giorgia Meloni al fine di anticipare lo scioglimento delle Camere e di incassare il consenso profilato dai sondaggi, proprio adesso che sono ancora caldi. Sarebbe prontissimo a eleggere Draghi anche Giuseppe Conte per rivalsa adolescenziale e perché spera ancora di guidare alle elezioni le masse progressiste su gentile concessione del Partito democratico. L’idea tenta anche il Pd, o almeno la parte che conta del Pd, per nessun apparente motivo logico o razionale o politico se non quello di precludere ogni ipotesi riformista o liberal-democratica e di fare un dispetto ai padri dell’operazione che ha disarcionato Conte e portato Draghi a Palazzo Chigi.
Poi ci sono gli utili idioti. Si sentono dei gran furbacchioni, del resto sono capaci di scaltrezze tipo quella dello scorso anno a sostegno al referendum populista con cui è stato mutilato il Parlamento repubblicano e vilipesa la politica. Questa volta la trovata geniale dei compagni di strada del populismo è la seguente: eleggere a febbraio Draghi al Quirinale come una garanzia per quando i sovranisti vinceranno le elezioni.
Questa posizione avrebbe una sua logica, perché è ovvio che se i neo, ex, post fascisti vincessero le elezioni ci sentiremmo più protetti se al Quirinale ci fosse Draghi e non uno qualunque.
Sostenere oggi Draghi al Quirinale è un’idea argomentativa tipica dei portatori di retropensiero. Sarebbe il prodotto di una capitolazione intellettuale che non tiene conto, per esempio, che l’Italia non è ancora uscita dall’emergenza economica e che senza Draghi alla guida del governo verrebbe a mancare la garanzia che i soldi del Recovery Plan siano spesi secondo i piani e accompagnati dalle riforme necessarie affinché l’Europa continui a finanziare la ripresa.
Con Salvini o Meloni a Palazzo Chigi, o con qualche altro premier estratto a sorte tipo Conte, tornerebbero i toni anti europei, i deliri cospirativi e le controriforme, ma soprattutto perderemmo anticipatamente la credibilità internazionale faticosamente conquistata dall’Italia di Draghi.
Che fare, dunque, per evitare una disfatta tipo quella americana a Kabul e salvare le famiglie italiane dall’ipotesi di un ritorno al potere degli incompetenti e dei neo, ex, post fascisti?
A: lasciare che Draghi governi fino a scadenza naturale della legislatura, nel 2023;
B: a inizio 2022, rieleggere Mattarella per un secondo mandato o eleggere al Quirinale una figura di solidi principi democratici e di autorevolezza politica.
C: ritardare, il più possibile l’ascesa al potere dei sovranisti, tenendo Draghi a Palazzo Chigi fino al 2023 e costruire in questi due anni un’alternativa costituzionale al bipopulismo.
D: approvare, come promesso al momento del referendum sul Parlamento, una legge elettorale proporzionale.
E: proporre un’agenda riformatrice, anziché organizzarne la fronda, e presentarsi alle elezioni politiche del 2023 con un progetto per completare il piano di rilancio dell’Italia finanziato dall’Europa. Dichiarare fin dalla campagna elettorale che, qualunque sarà l’esito delle urne, gli anti populisti indicheranno al Capo dello Stato come presidente del Consiglio un solo nome: Mario Draghi.
Pragmaticamente senza il Pd, e senza Forza Italia, sarebbe velleitario.
Oggi il Pd non c’è, e nemmeno Forza Itala. I due partiti che bene o male hanno guidato il paese dal 1994 alla scorsa legislatura, si sono consegnati alle due varianti del bi populismo perfetto italiano, ritagliandosi il ruolo di volenterosi complici di qualunque portatore di idee illiberali, autoritarie e anti occidentali.
E non è una bella partita, per la ripresa dell’attività politica del dopo ferie.