di Lorenzo Lavacca
Germania, estate del 2006. C’è la diciottesima edizione del campionato del mondo di calcio, la competizione che più di tutte sa unire popoli e incontrare nazioni di ogni angolo del pianeta. L’Italia, a questo torneo, ci arriva con un profilo bassissimo: la squadra allenata dall’allora CT Marcello Lippi è tecnicamente straripante, gode della presenza di campioni del calibro di Totti, Nesta e Del Piero, ha una forza di gruppo che da anni è sotto gli occhi di tutti, eppure quella generazione di fenomeni non era riuscita ancora a vincere un trofeo. Eliminati tragicamente ai mondiali in Corea del 2002 dopo lo scandaloso arbitraggio di Byron Moreno e usciti ai gironi ad euro 2004, complice il famoso biscotto tra Svezia e Danimarca, i nostri azzurri non partivano certo per favoriti a quel mondiale lì, soprattutto perché anche le altre selezioni, come Brasile, Francia e, appunto, Germania erano ancora più forti se viste nei singoli. Ed invece, contro ogni pronostico, fu proprio l’Italia a spuntarla e a vincere il mondiale, il quarto della sua storia, proponendo un calcio fatto di compattezza difensiva e ripartenze che alla lunga si rivelò fatale per squadre inclini all’offensivismo e poco preparate a fronteggiare i contropiedi azzurri, come la Germania padrone di casa, sconfitta ai tempi supplementari in semifinale, e la temutissima Francia di capitan Zidane, che dovette cedere soltanto ai rigori dopo una partita giocata allo stremo delle forze.
Ai sorteggi, l’Italia fu collocata nel girone E assieme a USA, Ghana e Rep. Ceca. La prima partita, contro il Ghana, rappresentò un avvio in sordina per gli azzurri: passati in vantaggio grazie al tiro dalla distanza di Pirlo, alla ripresa Iaquinta chiuse 2 a 0 una partita che in realtà l’Italia portò a casa soffrendo. Stesso copione ostico ma dagli esiti più drammatici contro gli Stati Uniti, con la partita che terminò sul punteggio di 1-1 e in 10 contro 9, con l’espulsione di De Rossi che a causa di una gomitata ricevette ben 4 giornate di squalifica. L’ultima del girone, contro la Rep.Ceca, fu la prima grande sliding doors dell’estate azzurra: in caso di mancata vittoria, agli ottavi sarebbe capitato il Brasile campione del mondo in carica e, vista ancora la precaria stabilità emotiva della squadra, quel match avrebbe potuto significare la fine del percorso nei mondiali. Ma quell’estate il titolo doveva andare nelle mani di capitan Cannavaro, pertanto con le reti di Materazzi e Inzaghi gli azzurri si qualificarono come primi nel girone evitando di fatto i verdeoro, ed incontrarono la meno quotata Australia.
Contro i canguri australiani l’Italia giocò forse la partita più difficile della sua cavalcata: sotto di un uomo per l’espulsione di Materazzi nella ripresa, la partita sembra trascinarsi affannosamente ai supplementari, con gli australiani che ad ogni azione si rendono pericolosi e si avvicinano più volte al gol del vantaggio. Tutto fa pensare all’uscita di scena dei nostri azzurri nei supplementari quando, allo scadere del terzo minuto di recupero, Grosso accoglie un lancio disperato di Totti e si invola a rete da solo, superando due avversari e facendosi atterrare in area da Neill: è rigore. Sul rigore è proprio Francesco Totti a portare l’Italia ai quarti al termine di una partita soffertissima ma vinta con l’astuzia, quella che solo un gruppo vincente può tirare fuori in certi momenti complicati.
Superato lo scoglio Australia, ai quarti fu Italia-Ucraina: ad Amburgo segnano Zambrotta e Luca Toni, autore di una doppietta dopo un lungo digiuno di cinque partite, e gli azzurri approdano in semifinale, dove incontrano i padroni di casa della Germania. Il 4 luglio, a Dortmund, l’Italia vince ai supplementari dopo 90 minuti a reti bianche grazie ai gol di Fabio Grosso e di Del Piero, arrivati allo scadere del secondo tempo supplementare, e soprattutto si conferma finalmente come la vera squadra da battere, in grado di vincere contro chiunque. Il finale, poi, è da film Oscar: il 9 luglio di 15 anni fa, all’Olympiastadion di Berlino, l’Italia si gioca la finale dei campionati del mondo proprio contro la sua bestia nera, la Francia di Zidane e Henry, la squadra che aveva battuto proprio gli azzurri nella finale di Euro2000. Al 7’ la partita si sblocca: Materazzi atterra in area Malouda causando un calcio di rigore a favore dei francesi. Sul dischetto si presenta Zidane, il quale azzarda una sorta di cucchiaio che picchia la traversa prima di rimbalzare oltre la linea di porta; un tiro su cui Buffon non può fare nulla. Per la prima volta durante questa edizione dei Mondiali, l’Italia si trovò in svantaggio. Ma il pareggio non tardò ad arrivare: al 19’, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, è proprio Materazzi a riscattarsi del rigore, causato in precedenza, vincendo il duello di elevazione con Vieira e insaccando il gol dell’1 a 1. La partita, ricca di emozioni da una parte e dall’altra, si conclude però con questo risultato e le due squadre si contendono la vittoria nei tempi supplementari. Al 119’ accade l’impensabile: dopo un battibecco tra Materazzi e Zidane, il francese colpisce con una testata il petto del difensore azzurro e, dopo un confronto con gli assistenti, il direttore di gara Elizondo decide di espellerlo. È l’ultimo atto della carriera di un giocatore eccezionale, forte come pochi, ma che ha di fatto macchiato la sua reputazione proprio sul più bello, nel mezzo di una finale mondiale, lasciando tralaltro la sua squadra in 10. Senza il proprio capitano, i francesi sbagliano ai calci di rigore con Trezeguet, che colpisce in pieno la traversa, mentre l’Italia fa 5 su 5: è Fabio Grosso a segnare l’ultimo rigore e a regalare a una nazione intera la quarta stella,un mondiale che mancava dal lontano 1982 e che riuscì a riunire, dopo le travagliate vicende di Calciopoli e dello scandalo FIFA, l’Italia del pallone ma non solo.