AGI – Ma insomma, il Papa che ne dice di tutto questo ronzio di api che sciamano irrequiete attorno a quel favo di miele che è il disegno di legge targato Zan? Allo stesso Mario Draghi, che pure è intervenuto l’altro giorno in Parlamento a dire l’ovvio e lo scontato, e pertanto l’importantissimo, adesso qualcuno si sente di domandare cosa pensi nel merito della questione.
Figuriamoci Bergoglio: campione della Chiesa in uscita, del dialogo con il mondo laico, ma anche l’uomo che si oppose ai tempi dell’episcopato a Buenos Aires alle unioni omosessuali. Dica quel che pensa, e non se ne parli più.
Invece lui tace. Non del tutto, ma tace. Non del tutto perché, a voler essere molto fiscali, l’altro giorno in udienza generale ha lasciato trasparire un non so che di insofferenza. Non verso una delle parti impegnate nel confronto sull’omostransfobia, ma verso chi parla a vanvera. Nelle sue stesse parole, molto più diplomatiche: coloro che approfittano dei social per essere, per lo meno, molto imprecisi.
Ecco cosa ha detto: “Non mancano predicatori che, soprattutto attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, possono turbare le comunità. Si presentano non anzitutto per annunciare il Vangelo di Dio che ama l’uomo in Gesù Crocifisso e Risorto, ma per ribadire con insistenza, da veri e propri ‘custodi della verità’ – così si chiamano loro -, quale sia il modo migliore per essere cristiani”.
Messaggio – come tutti i messaggi del Papa – erga omnes, rivolto cioè a tutti e a nessuno in particolare: chi ha orecchie per intendere intenda. Ma il giorno prima Fedez dal suo account di Twitter aveva giusto tuonato contro la Chiesa che evade le tasse. E, subito dopo l’intervento del Papa, ecco due religiosi (uno addirittura monsignor Galantino) invitare il rapper a tornare sui banchi di scuola. Pittor, parla dei quadri.
Torniamo comunque all’interrogativo di partenza: insomma, il Papa che ne dice e che ne pensa del Ddl Zan? Il quesito è bene disgiungerlo, perché un conto è pensare, un conto dire. E sul tema dell’omofobia Bergoglio in passato ha parlato, molto chiaramente. Tra la decina di casi, ne citiamo uno solo perché riguarda l’Italia, molto da vicino.
Era il 18 ottobre del 2014. Ignazio Marino insisteva per avere il Pontefice al telefono. Voleva annunciargli che stava per riconoscere i matrimoni di persone dello stesso sesso registrati all’estero. Il Papa mandò a dirgli che era impegnato con i padri sinodali e stava discutendo dei problemi della famiglia. Passarono i mesi, poi Francesco andò a Filadelfia al convegno mondiale delle famiglie.
Ci trovò Marino. Non gradì. Sull’aereo del ritorno disse: “Io non ho invitato il sindaco Marino, chiaro? Si professa cattolico, è venuto spontaneamente”.
Ma è in un’altra intervista sull’aereo papale che Francesco pronunciò una frase rivelatrice. Tornava dal Messico, nel febbraio del 2016, quando a precisa domanda sulla Legge Cirinnà in materia di unioni civili rispose: “Io l’ho detto ai vescovi, con il governo italiano arrangiatevi voi. Il Papa non può mettersi in politica”.
Ecco il punto: i vescovi – anche l’arcivescovo di Buenos Aires, come fu per lui nel 2010 – intervengano, si facciano sentire. Il Vicario di Cristo invece ha tutt’altra funzione, più ampia.
Così il cardinal Parolin ha potuto sottolineare che la nota verbale sul Ddl Zan è stata presentata con la piena consapevolezza del Papa, e di piena intesa con la Conferenza Episcopale Italiana. Cui pare di poter cogliere sia mosso un appunto, molto delicato, per un ritardo in quel “farsi sentire”: perché se è vero che i suoi vertici sono intervenuti due volte negli ultimi mesi, è anche vero che lo hanno fatto dopo che il testo era già stato licenziato dalla Camera.
Insomma, metà dei buoi era già scappata. L’intensità di contatti registrati nei mesi della pandemia poteva essere mantenuta ora che, dopo tutte quelle dimostrazioni di senso di responsabilità nei confronti delle autorità civili, si poteva chiedere altrettanta disponibilità al dialogo.
Il Pontefice, da parte sua, parla al mondo, laico o non laico che sia. Francesco intende continuare a farlo, quindi tiene la barra dritta sull’idea di “non mettersi in politica”. Ragionamento che può lasciare spazio a qualche perplessità, ma che rappresenta pur sempre una linea non oltrepassabile.
Anche perché con il pontificato di Bergoglio è andata rafforzandosi quella tendenza recente che vede i papi occuparsi sempre meno delle faccende italiane.
L’Italia, una volta centrale nella visuale della Chiesa, sta scivolando verso la periferia, in compagnia di tutta l’Europa. Può apparire bizzarro, dal momento che la centralità della Penisola è stata una costante per molti secoli, ma in questo il pontificato bergogliano pare aver voluto imprimere una vera svolta. Il messaggio petrino meno è identificabile con il dibattito interno ad un paese, più è universale. Più è universale, più è profetico. Più è profetico, più la Chiesa è ospedale da campo, in uscita.
Della politica, per l’appunto, si occupino casomai le chiese nazionali.
La stessa logica per cui il Giubileo della Misericordia venne aperto a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, e non a Roma, che fu ridotta in fin dei conti ad una delle tante possibili mete dei pellegrinaggi.
Il prossimo Anno Santo cade nel 2025. Praticamente è dietro l’angolo. Legittimo attendersi ulteriori novità.
Source: agi