AGI – Non si sono fermati a luglio di nove anni fa, quando il gip di Taranto, Patrizia Todisco, ne ordinò il sequestro senza facoltà d’uso perché fonte di gravi emissioni inquinanti, con danni per la salute di lavoratori e cittadini, e non si fermeranno nemmeno stavolta. A Taranto continuerà a produrre acciaio l’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, la nuova società nata il 10 dicembre dall’unione tra ArcelorMittal Italia (parte privata) e Invitalia (per conto dello Stato).
Con una sentenza depositata mercoledì 23 giugno, i giudici della quarta sezione del Consiglio di Stato (sentenza attesa in vari ambienti) hanno rigettato la sentenza del Tar di Lecce dello scorso febbraio e l’ordinanza del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che ne era a monte (febbraio 2020). Entrambi i provvedimenti, sentenza Tar e ordinanza sindacale, convergevano su un punto: gli impianti dell’acciaio continuano ad inquinare (il sindaco aveva citato episodi emissivi accaduti dall’estate 2019 sino a prima di febbraio 2020) perciò andavano spenti se ArcelorMittal Italia (gestore) e Ilva in amministrazione straordinaria (proprietario) non avessero risolto le cause inquinanti.
Creó rumore la sentenza del Tar Lecce che confermava l’ordinanza del sindaco Melucci. Tant’è che fu subito impugnata in appello al Consiglio di Stato, che prima, a marzo scorso, l’ha sospesa, e adesso, con una sentenza di 60 pagine, l’ha annullata. “Il potere di ordinanza non risulta suffragato da un’adeguata istruttoria e risulta, al contempo, viziato da intrinseca contraddittorietà e difetto di motivazione” spiegano nelle motivazioni i giudici di Palazzo Spada.
In particolare, argomenta il verdetto, “non sono stati rappresentati fatti, elementi o circostanze tali da evidenziare e provare adeguatamente che il pericolo di reiterazione degli eventi emissivi fosse talmente imminente da giustificare l’ordinanza contingibile e urgente, oppure che il pericolo paventato comportasse un aggravamento della situazione sanitaria in essere nella città di Taranto, tale da dover intervenire senza attendere la realizzazione delle migliorie secondo la tempistica prefissata”. I giudici inoltre affermano che “in riferimento alla situazione attuale, le misure previste dal Piano risultano in corso di realizzazione e non emergono particolari ritardi o inadempimenti rispetto alla loro attuazione”.
Lo sblocco del nodo Consiglio di Stato ha rimesso in movimento la situazione dell’ex Ilva, considerato che l’accordo per la società pubblico-privata risale a dicembre, che ad aprile Invitalia ha versato i 400 milioni che portano il socio pubblico ad avere il 38 per cento del capitale e il 50 per cento dei diritti di voto, che è stato ufficializzato un nuovo brand, Acciaierie d’Italia, ma che nel frattempo nessun nuovo corso si è concretamente visto. Respira Acciaierie d’Italia (ad Lucia Morselli) che, a poche ore dal verdetto dei giudici, annuncia di “essere pronta a presentare già dalla prossima settimana, insieme con i suoi partner industriali Fincantieri e Paul Wurth (ex Italimpianti), la propria proposta di piano per la transizione ecologica dell’intera area a caldo dello stabilimento di Taranto”. Un protocollo con Fincantieri e Paul Wurth era già stato firmato nelle settimane addietro. Acciaierie d’Italia afferma che ci sarà “l’applicazione di tecnologie innovative ambientalmente compatibili e con l’obiettivo di una progressiva e costante riduzione delle quote emissive, che vada anche oltre le attuali prescrizioni”.
“Il piano – dice la società – è un progetto di durata pluriennale allineato agli obiettivi di compatibilità ecologica stabiliti dall’Unione Europea”. E prima dell’annuncio della società, il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, aveva commentato: “Il governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone”. Dai vertici nazionali di Fim Cisl (Roberto Benaglia e Valerio D’Aló), Fiom Cgil (Gianni Venturi) e Uilm (Rocco Palombella) arriva l’invito unanime al Governo a mettere da parte indugi e attese perché di tempo ne è passato sin troppo. Rilancio dei lavori ambientali e di messa a norma, rilancio industriale con gli investimenti, produzione orientata alla qualità e all’innovazione, tutela della salute e del lavoro, riassorbimento dei cassintegrati visto che il mercato dell’acciaio va ora a gonfie vele: queste le priorità raccomandate dai sindacalisti. Su una linea diversa Usb, per il quale oggi è arrivata una sentenza che offre più tempo alla politica per fare quello che da tempo avrebbe dovuto fare sul piano del lavoro e dell’ambiente.
“Segnali certi” dal Governo invoca anche Confindustria Taranto, che ieri ha portato gli imprenditori dell’indotto a manifestare davanti alla direzione del siderurgico, mentre il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, firmatario dell’ordinanza oggi stoppata definitivamente, dichiara: “Ho la coscienza a posto, ho fatto tutto quello che era nei poteri del sindaco per provare a difendere la mia comunità”. E comunque per il sindaco di Taranto “la battaglia continuerà finché non ci sarà un tavolo per l’accordo di programma che sancisca la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento”, cosa invece avversata dalle aziende dell’indotto, che ritengono che l’area a caldo possa essere messa a norma e risanata continuando a produrre.
Restano infine in campo le associazioni ambientaliste che fanno capo al Comitato cittadino ambiente e salute a Taranto. “Ci faremo promotori di un’iniziativa di tutela multilivello che solleciti contemporaneamente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, il Comitato Onu per i diritti dell’infanzia di Ginevra, la Commissione Europea di Bruxelles, tutti gli organi nazionali preposti alla tutela dell’infanzia e infine anche la Procura della Repubblica per quanto di propria competenza”, si annuncia. “Le nostre ragioni sono e saranno più solide di quelle dell’acciaio” conclude il comitato.
Source: agi