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Come il Pnrr affronta il cambiamento

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Non si tratta di tornare all’assetto economico vigente prima della pandemia, ma di costruire, un nuovo modo di produzione, dove la presenza e la capacità di programmazione dello Stato siano elemento innovatore per un’economia basata sulla scienza, la conoscenza, la ricerca, lo sviluppo, l’innovazione

di Renato Costanzo Gatti

L’introduzione di Mario Draghi

Nella sua densa introduzione al PNRR, Mario Draghi ci disegna, innanzitutto, la situazione in cui si trova il nostro Paese prima e durante la pandemia. Ci presenta un Paese incapace di reagire alle avversità, a cominciare dalla crisi del capitalismo del 2007, di cui stavamo lentamente e con fatica, ma soprattutto con ritardo rispetto agli altri paesi europei, recuperando i livelli di PIL. Ma anche negli anni precedenti il 2007, l’aumento del PIL viaggiava a ritmi pari alla metà di quelli degli altri paesi europei. Poi, con l’arrivo della pandemia, il crollo del PIL ci ha riportato ancora una volta, come Sisifo, in fondo alla valle con l’eterno compito di riportare su, verso la cima del colle, l’oneroso masso inerte.

E questo oneroso masso inerte è composto da una parte da una pubblica amministrazione caoticamente involta in migliaia di norme castranti se non contraddittorie, dall’altra da una imprenditoria che, salvo le purtroppo poche eccezioni, è carente di iniziativa e di linfa vitale, per di più per la maggioranza ristretta in dimensioni di nanismo inadatto ad affrontare la sfida dell’economia della conoscenza.

Riporto alcuni passaggi della introduzione del Presidente del Consiglio:

  • Tra il 1999 e il 2019, il PIL in Italia è cresciuto in totale del 7,9%. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e 43,6.

  • Il numero di persone sotto la soglia di povertà, tra il 2005 e il 2019, è salito dal 3,3% al 7,7% della popolazione, prima di aumentare nel 2020 al 9,4%.

  • I giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione fanno segnare il tasso più alto in Europa e il tasso di partecipazione delle donne al lavoro in Italia è solo il 53,1% molto al di sotto del 67,4% della media europea.

  • Dietro l’incapacità dell’economia italiana di tenere il passo con gli altri paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali c’è l’andamento della produttività molto più lento in Italia che nel resto dell’Europa. Negli ultimi vent’anni, dal 1999 al 2019, il PIL per ora lavorata è cresciuto in Italia del 4,2%, mentre la Francia e la Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3%.

  • Tra le cause del deludente andamento della produttività, c’è l’incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale. Questo ritardo è dovuto sia alla mancanza di infrastrutture adeguate, sia alla struttura del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese, che sono state spesso lente nel muoversi verso produzioni di più alto valore aggiunto.

  • Nel ventennio 1999-2019 gli investimenti totali in Italia sono cresciuti del 66% a fronte del 118% nella zona euro.

  • L’Italia si posiziona oggi al 25esimo posto tra i 27 paesi dell’Europa come livello di digitalizzazione (DESI Digital Economy and Society Index)

  • Questi problemi rischiano di condannare l’Italia a un futuro di bassa crescita da cui sarà sempre più difficile uscire.

Pare inequivoco che non si tratta di tornare all’assetto economico vigente prima della pandemia, ma si tratta di costruire un nuovo modo di produzione, dove la presenza dello Stato come elemento innovatore (per rifarsi al titolo di un libro di Mariana Mazzucato) diventa centrale non solo per rilanciare l’economia ma come gestore in prima linea dei “capitali pazienti”, di quei capitali cioè che guardano ad obiettivi a lungo termine con un pay-back proibitivo per i capitalisti privati, e che sono alla base dell’economia della conoscenza, quella economia dove la scienza, la conoscenza, la ricerca, lo sviluppo, l’innovazione sono alla base della “distruzione creatrice” schumpeteriana, della concorrenza tra enti continentali e che mettono in azione i meccanismi del “trasferimento delle tecnologie”.

Nella prima missione, quella della “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura” vengono affrontati i temi di quella rivoluzione necessaria, così come l’abbiamo esaminata nel precedente punto, sia nella pubblica amministrazione sia nel sistema produttivo.

Per quanto riguarda gli interventi nella P.A. è significativa la frase per cui “l’obiettivo è rendere la Pubblica Amministrazione la miglior alleata di cittadini e imprese, con un’offerta di servizi sempre più efficienti e facilmente accessibili. Per fare ciò, da un lato si agisce sugli aspetti di infrastruttura digitale spingendo la migrazione al cloud delle amministrazioni accelerando l’interoperabilità tra gli enti pubblici (snellendo le procedure secondo il principio del – once only – e rafforzando le difese cybersecurity”. Le misure di questo capitolo riguardano il rafforzamento del capitale umano, riformando i meccanismi di selezione del personale della P.A., sviluppando un capitale umano di assoluta eccellenza e, su un altro fronte, la semplificazione, standardizzazione e re-ingegnerizzazione delle procedure burocratiche. Tutti gli interventi sono cronoprogrammati e posti su una piattaforma digitale per controllare l’effettiva implementazione delle misure programmate.

Per quanto riguarda la “Digitalizzazione, innovazione e competitività nel sistema produttivo” si punta alla realizzazione della gigabit society, “nel solco degli sfidanti obiettivi definiti in sede europea – iniziativa flagship connect – e nella consapevolezza che le reti a banda larga ultra-veloce sono una General Purpose Technology in grado di innescare guadagni di produttività e di crescita su larga scala in tutti i settori dell’economia.(…) Il tasso di copertura delle famiglie italiane con reti ultra-veloci è pari al 24% rispetto a una media UE28 del 60%.”. Quindi se per quel che riguarda la rete infrastrutturale ultra-veloce l’impegno è dello Stato, e gli interventi sono, come detto, cronoprogrammati, diverso è l’approccio con il mondo delle imprese private dove, come già rilevato, il nanismo del tessuto produttivo nazionale costituisce uno strutturale ostacolo all’obiettivo della gigabit society, pur rappresentando “quasi il 70% del valore aggiunto industriale non-finanziario e l’80% della forza lavoro. Ciononostante, la frammentazione e le ridotte dimensioni hanno portato nel lungo periodo a problemi di competitività, soprattutto nei settori dove sono maggiormente rilevanti le economie di scala e la capacità di investimento.