Il brano di Francesco De Gregori, del 1985, è un inno alla pacificazione per il 25 aprile. Spaventa l’idea che un giorno fondamentale per la storia d’Italia, che celebra l’anniversario della liberazione d’Italia dall’occupazione nazi-fascista, che festeggia la fine della Seconda Guerra Mondiale, possa generare fratture, discordie, disaccordi, possa erigere muri e barriere.
di Gianni De Iuliis
Sin da giovanissimo il 25 aprile è stata per me una data controversa, fonte di gioia e di angoscia. Di gioia perché avviava quella serie di ponti festivi primaverili che preludevano all’arrivo dell’estate, della fine delle lezioni scolastiche, delle vacanze. Di angoscia perché sovente una giornata di festa si trasformava in un momento di contrapposizioni ideologiche, di polemiche politiche, di divisione. Ancora oggi mi spaventa l’idea che un giorno fondamentale per la storia d’Italia, che celebra l’anniversario della liberazione d’Italia dall’occupazione nazi-fascista, che festeggia la fine della Seconda Guerra Mondiale, possa generare fratture, discordie, disaccordi, possa erigere muri e barriere.
E mentre nei giorni passati riflettevo su tali questioni, mi è giunta alla coscienza La Storia siamo noi, un pezzo emozionante di Francesco De Gregori del 1985. Potenza di una canzonetta: in pochi minuti rilascia un messaggio più universale ed efficace di tanti discorsi, svuotando ogni retorica, abbattendo ogni steccato.
Due chiasmi, all’inizio e alla fine del brano, tratteggiano poeticamente una concezione della storia coerente con lo spirito con cui si dovrebbe celebrare il 25 aprile:
«La storia siamo noi / Siamo noi questo prato di aghi sotto al cielo»;
«La storia siamo noi / siamo noi questo piatto di grano».
E nel corpo della canzone: «E poi la gente (perché è la gente che fa la storia)».
La storia è un complesso intreccio di fenomeni e processi disparati, del quale l’uomo è protagonista, ma sempre come parte del tutto. Tutti siamo protagonisti della storia. La storia è dell’uomo comune, non dei grandi personaggi. La storia è un prato di aghi di pino, e ognuno di noi è una foglia protagonista. La storia è un piatto di grano, e ognuno di noi è un chicco protagonista.
«La storia siamo noi, attenzione / nessuno si senta escluso».
Dopo l’8 settembre 1943 gli italiani si divisero. Nacque la Resistenza, una guerra civile e di liberazione. Alla fine, come ogni contesa, ci sono stati vincitori e vinti. Vincitori e vinti erano anonimi aghi di pino, impersonali chicchi di grano che hanno lottato in buona fede per un ideale, che hanno fatto la storia.
E chi ha vinto deve rispettare, con senso di umanità e di equilibrio, chi ha perso. E chi ha perso deve accettare la sconfitta ed evitare assolutamente di trovare vendette e rivendicazioni nella storia mediante forme di folle revisionismo.
Dopo il 25 aprile 1945 «la storia non si ferma davvero davanti a un portone / La storia entra dentro le stanze e le brucia / la storia dà torto e dà ragione»: l’Italia si è avviata verso la democrazia, si è data una Costituzione, ha iniziato la sua rinascita e la sua ricostruzione, è diventata la quinta potenza industriale del mondo. Grazie al sangue dei vincitori e dei vinti.