di Antonino Gulisano
“Fasci italiani di combattimento” è il nome del movimento politico fondato a Milano da Benito Mussolini il 23 marzo 1919, erede diretto del Fascio d’azione rivoluzionaria del 1915. Il 9 novembre 1921 si trasformò in Partito Nazionale Fascista.
Il 23 marzo 1919 nella sala riunioni del Circolo dell’alleanza industriale, in piazza San Sepolcro a Milano, furono ufficialmente fondati i Fasci italiani di combattimento. Tra i fondatori troviamo persone di diversa estrazione sociale ed orientamento politico a riflesso di un certo eclettismo ideologico di questa fase originaria; tra i primi aderenti ci furono anche cinque ebrei.
Benito Mussolini prevedeva l’attuazione di uno specifico Programma di San Sepolcro (dal nome della piazza in cui fu proclamato). I primi appartenenti ai Fasci si chiamarono appunto sansepolcristi, fregiati di una fascia giallorossa (i colori di Roma). Gli squadristi semplici invece erano riconoscibili da una striscia rossa al polso della camicia nera. Nel primo dopoguerra, la situazione italiana era molto difficile, infatti nonostante la vittoria le condizioni sociali e politiche del nostro Paese erano tutt’altro che rosee. La difficile situazione dei reduci della Grande Guerra dovevano fare i conti, oltre che con le ferite fisiche, le mutilazioni anche con un difficile reinserimento post-bellico nella vita quotidiana, un reinserimento tutt’altro che agevole vista anche la grave crisi economica in cui versava l’Italia a causa dei debiti contratti con le spese belliche.
In primis vi era la situazione dei contadini, i quali erano l’ossatura del nostro esercito e ai quali il Generale Diaz aveva promesso come incentivo, a guerra finita la terra, o meglio una equa distribuzione delle terre che avesse “accontentato” tutti; ma ciò si scontrava con l’opposizione dei grandi proprietari terrieri, gli agrari i quali sostenevano che le terre vanno date ai contadini quando si perde una guerra e non quando la si vince.
Tutto ciò fece da catalizzatore ad una situazione già tesa, tanto che gli ex combattenti senza terra in molte regioni invasero i latifondi incolti, insieme con i contadini più poveri. Se quindi nelle campagne la situazione era al limite, non andava meglio nelle città, infatti il costo della vita aumentava a dismisura anche a fronte di provviste scarse, i salari allo stesso tempo rimanevano fissi e addirittura in qualche caso diminuivano; tutto ciò portò anche al saccheggio di molti negozi da parte di persone allo stremo, ridotte alla fame. Gli operai abbinavano alle loro rivendicazioni economiche, ideologie politiche sull’esempio della rivoluzione russa, tutto ciò avrebbe portato al “biennio rosso”(1919-1920) caratterizzato dall’occupazione delle fabbriche da parte degli operai che in alcuni casi cercarono di ispirarsi al motto diffusosi in quegli anni in tutta Europa, “fare come in Russia”.
In questo scenario si inserisce la figura di Benito Mussolini, che fino allo scoppio della prima guerra mondiale era dirigente socialista e, dal 1912, addirittura direttore de l’Avanti! Dopo un’iniziale adesione alla linea di neutralismo del partito, Mussolini divenne interventista e allora il 20 ottobre del 1914 si dimise dalla direzione del giornale. In novembre realizzò un suo quotidiano, “Il popolo d’Italia”, ultranazionalista, radicalmente schierato su posizioni interventiste a fianco dell’Intesa.
Da questo momento cominciò l’escalation dei fascisti che avrebbero fatto largo uso della violenza squadrista per prendere il controllo, prima con il “fascismo agrario” con squadre fasciste che pagate dai proprietari terrieri cercavano di far tornare nelle loro mani il controllo dei latifondi in cui le cosiddette “leghe rosse” sembravano aver preso il potere, obbligando tra l’altro i proprietari terrieri ad accettare condizioni come l’imponibile di manodopera (ovvero erano le stesse leghe rosse a imporre al proprietario la lista dei lavoratori per quel certo latifondo). Tra gli squadristi più rappresentativi del fascismo agrario, va senza dubbio ricordato Roberto Farinacci “ras” di Cremona. Quindi la situazione si profilava sempre più favorevole ai fascisti che tra l’altro già nel 1919 avevano assaltato la sede del giornale socialista “Avanti” e che giunsero anche all’occupazione militare di ampie zone del nord Italia nel corso del 1921 grazie alla connivenza allo stesso tempo delle forze dell’ordine, come è dimostrato da molti documenti. Divenuto deputato al Parlamento con le elezioni del 1921, Mussolini si avvicinò maggiormente alla monarchia (mentre il suo programma originario era di fedeltà agli ideali repubblicani) con il discorso di Udine (20 settembre 1922). In quel 1921, un’accelerata agli eventi, fu molto probabilmente svolta dalla conclusione dell’occupazione di Fiume, città a maggioranza abitata da italiani che era stata data con un accordo siglato dal governo Giolitti alla Yugoslavia. Con la “marcia su Roma” , il 28 ottobre 1922 bande non molto organizzate di fascisti cominciarono a confluire su Roma e qui, il Re preso atto della situazione, invece di allertare l’esercito per disperdere i fascisti, non firmò lo stato d’assedio, ma anzi il giorno seguente affidò a Mussolini, che nel frattempo era giunto a Roma comodamente in treno, il compito di formare il nuovo governo, così senza colpo ferire ma in maniera del tutto democratica il Duce cominciava quel cammino che avrebbe condotto l’Italia ad una dittatura ventennale e ad una guerra disastrosa.