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Le proteste non salvano Navalny, condannato al carcere

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AGI-  Aleksei Navalny è stato condannato a due anni e otto mesi di detenzione, con un verdetto che ha scatenato le proteste dei suoi sostenitori e l’indignazione delle cancellerie occidentali.

L’udienza al tribunale della città di Mosca è durata praticamente tutta la giornata, con oltre 350 fermi tra i sostenitori scesi in piazza per esprimere il loro sostegno. In aula, nel cosiddetto ‘acquario’, dietro uno spesso vetro, Navalny ha sferrato un duro attacco direttamente al presidente Vladimir Putin, che da sempre ritiene il mandante dell’avvelenamento che questa estate lo ha tenuto per giorni tra la vita e la morte. 

Campione dell’anti-corruzione e aspirante rivale del leader del Cremlino, Navalny è stato condannato per aver violato i termini della libertà vigilata comminatagli nel 2014, saltando i controlli nei cinque mesi in cui è stato in Germania a curarsi per le conseguenze dell’attentato con ‘Novichok’ di cui è stato vittima.

Nel 2017, la Corte europea per i diritti dell’Uomo aveva stabilito che la condanna dell’oppositore nel 2014, nel cosiddetto caso ‘Yves Rocher’, era stata “politicamente motivata”. 

Il giudice ha accolto la richiesta del Servizio penitenziario e della procura di commutare la condizionale in detenzione effettiva, ma ha concesso una riduzione a due anni e otto mesi di carcere, tenendo conto del tempo già passato da Navalny ai domiciliari. La difesa ha annunciato che farà appello.

“Non essere triste! Andrà tutto bene!”, ha urlato l’oppositore politico alla moglie Yulia, anche lei in aula. Ma le parole diventate già slogan di questa nuova fase della battaglia di Navalny sono quelle contro Putin.

“È un ometto isolato in un bunker, che sta impazzendo”, ha detto Navalny, che era stato condotto in aula dal carcere di Matrosskaya Tishina. “Passerà alla storia come Vladimir l’Avvelenatore di mutande”, è stato l’anatema dell’oppositore subito è rimbalzato su tutti i social. Il riferimento è al fatto che secondo l’inchiesta condotta dallo stesso Navalny, la sostanza tossica di tipo ‘Novichok’ che lo ha fatto finire in coma ad agosto era stata messa nella sua biancheria intima. ​

“Imprigionano una persona per intimidirne milioni”, ha tuonato ancora prima di chiedere la liberazione sua e di tutti i prigionieri politici. 

Per Mosca, l’avvelenamento continua a essere una “messa in scena” e l’oppositore una pedina dei servizi occidentali. Convinzione rafforzata dalla presenza in tribunale di una ventina di diplomatici europei, tra cui rappresentanti di Germania, Regno Unito e Ue.

Per il Cremlino e il ministero degli Esteri, “una ingerenza” negli affari interni russi. Londra, Berlino e Washington hanno condannato il verdetto e chiesto di nuovo l'”immediata liberazione” di Navalny e dei manifestanti arrestati nei precedenti due fine settimane di proteste in tutto il Paese. Appelli subito bollati da Mosca come “dissociati dalla realtà”. 

La Farnesina si è detta “costernata” e ha espresso “forte preoccupazione” pur ribadendo la necessità di un dialogo con la Russia. Lo sviluppo del caso non lascia dubbi sul fatto che il dossier Navalny sarà in cima all’agenda dei colloqui dell’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, nella sua missione a Mosca dal 4 al 6 febbraio, durante la quale avrebbe anche intenzione di incontrare l’oppositore. 

Fuori dai palazzi della politica, si preparano nuovi giorni di proteste. In serata ne è stata convocata una in piazza del Maneggio, di fronte al Cremlino, dove subito è stato dispiegato un possente dispositivo di sicurezza.

Nel Paese, il rating del presidente continua ad essere alto, ma Navalny e il risveglio delle piazze russe rappresentano una minaccia sul lungo termine per il sistema costruito da Putin in 20 anni di potere. Secondo Andrei Kolesnikov del Carnegie Center di Mosca, “la persecuzione di Stato di cui è vittima Navalny lo rende non solo un combattente politico, ma anche un’autorità morale”.

Ed è proprio la “causa morale” della piazza, che “chiede il rispetto della legge a minacciare le fondamenta del regime di Putin, di cui un pilastro è stata proprio l’indifferenza delle masse”, sostiene l’analista.

Non a caso uno dei più stretti collaboratori di Navalny, Leonid Volkov, ha twittato: “Abbiamo assistito in diretta al suicidio dello Stato putiniano. Questo regno di bugie sarà sostituito da una nuova Russia, sarà molto difficile, ma necessario. Ce la possiamo fare”. 

Vedi: Le proteste non salvano Navalny, condannato al carcere
Fonte: estero agi


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