Di Rosanna La Malfa
Intervistiamo Francesco Foti, attore di teatro, cinema e TV.
Francesco tu sei un Actor. Che significa per te l’amore per il Teatro? Raccontaci di Te.
Il Teatro è il mio primo amore e come tale non si scorda mai. E infatti, appena posso e sono libero da impegni televisivi e cinematografici, torno a calcare le tavole del palcoscenico. Sui palchi ho fatto monologhi e spettacoli corali; ho affrontato il comico e il drammatico, il moderno e il classico, sempre con la voglia di sperimentare e mettersi in gioco. D’altra parte, non esiste luogo più sicuro per mettersi a nudo e giocare fino in fondo.
Per quel che riguarda “Actor”, è vocabolo al contempo latino e anglosassone, che in qualche modo abbraccia tanto la tradizione antica quanto il futuro che mi auguro, passando per la lingua di Shakespeare, il drammaturgo per eccellenza.
Hai lavorato in Montalbano nel famosissimo episodio “Gli Arancini di Montalbano”. Che esperienza è stata e quanto secondo te gli episodi del romanzo del maestro Camilleri rilanciano la Sicilia?
È l’episodio più visto, tra quelli delle prime serie. E ogni volta che lo replicano (con continui record d’ascolti) c’è un sacco di gente che mio scrive per complimentarsi; questo dà l’idea di quanto seguito abbia. Altro indice del successo sono i vari tour sui “luoghi di Montalbano” che vengono organizzati… Per me è stata una fantastica esperienza con tutto lo staff tecnico e artistico, dal regista Alberto Sironi a Luca Zingaretti, col quale avrei lavorato pochi anni dopo ne “Alla luce del sole” di Faenza.
Cinema e Teatro. Cosa preferisci? Perché?
Corro il rischio di essere banale: non ho una preferenza. Cinema, teatro, ma anche televisione, radio, cabaret… tutto per me ha la sua bellezza e la sua dignità. Diciamo che la cosa che preferisco è lavorare bene, in qualsiasi ambito.
Ci racconti un aneddoto divertente della tua carriera?
Mi conosci e sai quanto sia difficile per me ricordare aneddoti, se non recentissimi… Me ne viene in mente uno, forse non divertentissimo, ma che per me è stato molto importante. Torniamo all’episodio di Montalbano. Ad un certo punto, morente, dovevo fare un lungo monologo ed ero molto preoccupato che venisse fuori l’effetto vecchietto ferito dei film western o -peggio ancora- l’effetto Peter Sellers, sentinella in “Hollywood party”. Quando facemmo la prova della scena, il fonico venne poi da me a chiedermi di “timbrare” di più e di tenere un volume di voce più alto, rendendo le mie preoccupazioni vero terrore. Non appena il fonico si allontanò, Sironi venne da me e mi disse: “Tu non preoccuparti e fai il tuo lavoro; fare sì che ti si senta è il lavoro del fonico”. Mi tolse un gran pensiero e la scena andò benone!
Carlo Mazza è uno dei procuratori più esperti del Pool Antimafia di Palermo. Lo interpreti ne Il Cacciatore. Raccontaci.
Un personaggio meraviglioso, che ho amato ed amo tantissimo, ricchissimo di sfumature e di lati nascosti. Alfonso Sabella, il magistrato autore del libro “Il cacciatore di mafiosi” da cui la serie parte, dice che Carlo Mazza è il magistrato che lui avrebbe voluto essere. Ricevere i suoi complimenti così come i ringraziamenti degli head writers (Silvia Ebreul e Marcello Izzo) che dicono che il mio Carlo Mazza è più e meglio di come lo avevano scritto sono emozioni veramente speciali. E comunque, io ci ho messo sì del mio, ma se non c’è tutto che procede alla grande verso la stesso obiettivo, dallo scritto ai colleghi avere tra le mani un personaggio (e un progetto) scritto così bene, una produzione attenta e disponibile, sei circondato da colleghi bravi e seri – primo fra tutti il mio amico e socio Barone (Montanari) –
Progetti per il futuro?
Di Arte non si vive, dicono. Io non ci credo. Incoraggiamo le persone ad andare a teatro, a vivere la e di Cultura?
Ci sono tabelle che dimostrano il contrario, ma non voglio citarle né fare paragoni con la quantità di denaro che altri Stati investono in cultura; preferisco parlare per me. Sono totalmente d’accordo con te, tanto che in “Venti Fotici”, il mio nuovo esperimento teatrale, faccio scegliere al pubblico la scaletta dello spettacolo, facendo però bene attenzione che ogni serata sia sempre diversa e variegata al massimo, con pezzi drammatici, comici, improvvisazioni, cabaret, musica e poesie. L’intento è quello di abbattere la barriera tra attore e pubblico, ma anche i pregiudizi di certo pubblico. Nella speranza che magari chi è abituato a vedere solo cabaret possa scoprire Shakespeare o Dostojewskij, e chi non andrebbe mai a vedere una commedia possa scoprire che anche un personaggio comico può avere la sua dignità e far ridere.
Forse un po’ pretenzioso, ma lo scopo tutto sommato è nobile, dai! E poi, se non ci si mette in gioco e non si corre qualche rischio, che gusto c’è?
Proprio qualche giorno fa, sui miei vari Social, ho postato questo pensiero:”Sarebbe bello se ognuno postasse le cose belle inerenti al suo lavoro. Design, recitazione, musica, addobbi floreali, architettura, pittura, scarpe, collane, etc. Solo cose belle, “alte”, pure. Chissà che per osmosi un po’ di bellezza non possa infiltrarsi in questa umanità di oggi, così brutta e violenta…“. Io ci credo, ci spero.