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I democratici allungano i tempi dell'impeachment di Trump

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AGI – Quattro giorni dopo l’assalto al Campidoglio, negli Usa le probabilità che la Camera dei Rappresentanti voti perché il presidente Donald Trump sia sottoposto a un nuovo impeachment sono in aumento. E cresce il pressing perché si faccia da parte. Dopo la senatrice Lisa Murkowski, un secondo senatore repubblicano gli ha voltato le spalle: è Pat Toomey, secondo il quale il presidente, con l’assalto dei suoi sostenitori al Campidoglio, si è macchiato di “reati passibili di impeachment”. Ormai sono molti i membri del Congresso, compresi alcuni Repubblicani, su questa linea; anche se tanti esponenti del Grand Old Party sono invece convinti che un secondo processo politico a Trump sarebbe un’ulteriore, gravissima frattura per il Paese.

Ma i democratici alla Camera sembrano intenzionati ad andare avanti: dovrebbero presentare già lunedì gli articoli di impeachment e accusare il presidente di “istigazione all’insurrezione”; cercheranno anche di impedirgli di ricoprire in futuro cariche pubbliche (un obiettivo non solo dei Democratici ma di quei Repubblicani che non vogliono averlo come concorrente qualora decidano di correre per le presidenziali del 2024); e la Camera, che è a maggioranza democratica, potrebbe approvare uno o piu’ articoli e accusare formalmente il presidente già in settimana.

È però al Senato che si tiene il processo politico. E quello che non vogliono i Democratici è che il processo di impeachment possa interferire nell’agenda del presidente eletto, Joe Biden; un’ipotesi che circola dunque nelle ultime ore è quella di ritardare la consegna del testo al Senato, in maniera di dare tempo al presidente eletto di occuparsi, nei primi tre mesi, della sua agenda, in primis l’emergenza Covid, le nomine della nuova amministrazione e il pacchetto di aiuti deciso in seguito alla crisi causata dalla pandemia.

Il silenzio di Trump

Donald Trump, del quale non si hanno più notizie da quando Twitter ha staccato la spina al suo account, oscurandolo ai suoi 88 milioni di follower, per ora tace. Alleati e amici si allontanano e il presidente alla Casa Bianca è sempre più isolato, con la famiglia al fianco e solo pochi consiglieri. Il presidente ha messo in allerta i suoi avvocati e in ogni caso ritiene improbabile che l’impeachment passi al Senato (dove ha bisogno di due terzi dei voti). Sarebbe fiducioso, secondo fonti del suo entourage, che il vice presidente Mike Pence -per anni un fedelissimo, rimasto sempre al suo fianco nonostante gli scandali- non tenterà di rimuoverlo invocando il 25esimo emendamento.

Ma Trump e Pence non si sentono da mercoledì, il giorno dell’assalto al Congresso: i rapporti tra i due sono ai minimi storici, l’uno deluso del mancato aiuto, l’altro livido per quanto accaduto il 6 gennaio. Un senatore repubblicano ha raccontato di “non aver mai visto Pence così arrabbiato” dopo che Trump lo ha attaccato per il mancato intervento nella certificazione dell’esito delle elezioni: “Dopo tutte le cose che ho fatto per lui”, lo sfogo del vicepresidente, che nel frattempo ha fatto sapere che sarà al giuramento di Biden.

Pence avrebbe escluso di invocare il 25mo emendamento. Ma dopo gli eventi di mercoledì, l’America teme di lasciare Trump al timone. A Washington, intanto si contano i giorni, addirittura le ore, che mancano al giuramento di Biden, il 20 gennaio. C’è chi dice che per il 17 gennaio i sostenitori di Trump stiano già organizzando una nuova marcia sulla capitale. Dopo l’assalto al Campidoglio, dire che l’America è polarizzata è un eufemismo. Ed è proprio questo il timore più grave: che ormai qualunque cosa accada, qualunque cosa decidano a Washington, gli Usa siano ormai irrimediabilmente divisi: quella Blu, quella Rossa e quella ‘trumpiana’.

Vedi: I democratici allungano i tempi dell'impeachment di Trump
Fonte: estero agi


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