Diretto da Amleto Palermi, apprezzato e prolifico regista-attore-sceneggiatore del cinema italiano, è interpretato dal mitico attore tragico catanese Giovanni Grasso, morto nella città natale nel 1930
di Franco La Magna
Truculenta e iperbolica storia d’eccessi, boutades d’appendice e gragnola di colpi di scena Dopo il peccato, è un film girato ed editato cento anni fa per la regia dell’eclettico Amleto Palermi (Roma 11 luglio 1889 – 20 aprile 1941), che pur essendo nato nella capitale da genitori siciliani, ha trascorso l’intera infanzia e l’adolescenza a Palermo. Regista, soggettista, sceneggiatore, produttore e attore, proveniente dal mondo del giornalismo dal 1914 fino all’anno della morte, scriverà e dirigerà decine di film, divenendo uno degli autori più apprezzati e prolifici del cinema muto italiano e successivamente del sonoro (molti dei quali d’ambiente siciliano), sottilmente in bilico tra verismo verghiano e umorismo pirandelliano. Nel 1940, appena un anno prima della morte, vinse un referendum – indetto dalla rivista “Cinema” – come miglior regista italiano.
Prodotto dalla Rinascimento Film, andato in scena in prima visione a Roma nel luglio 1920, “Dopo il peccato” vanta tra gli interpreti due tra i più apprezzati artisti del tempo: il catanese Giovanni Grasso, da taluni considerato “il più grande tragico del mondo” (nei panni di don Giovanni Spera), e la napoletana Bella Starace Sainati (sua moglie), Renzo Fabiani (Gennarino), Irma Berrettini (Mariuccia); soggetto e sceneggiatura dello stesso Palermi. Giovanni Grasso (Catania 19 dicembre 1873 – 14 ottobre 1930), noto soprattutto come straordinario attore teatrale tragico, vanta una filmografia piuttosto scarna (16 film, girati tra il 1910 e il 1926). Il suo film più noto resta “Sperduti nel buio”(1914) regia di Nino Martoglio e Roberto Danesi, considerato uno dei capolavori del cinema muto italiano, opera mitica e mitizzata, rivalutata dal grande critico e teorico siciliano Umberto Barbaro, purtroppo andato perduta e infruttuosamente cercata per decenni.
Esageratamente melodrammatica la sinossi di Dopo il peccato, che non risparmia ripetuti e scioccanti colpi di scena, secondo un ormai declinante gusto del pubblico: Giovanni Spera, proprietario di barche, dopo aver scontato una pena carceraria per aver ucciso l’amante della moglie si trasferisce a Napoli, dove la donna lo raggiunge con un nuovo amante per rivedere la figlia. L’uomo innamoratosi, ricambiato, della ragazza decide di fuggire con lei ma Giovanni lo uccide e scappa con la figlia; la madre si autoaccusa del delitto ma un fedele amico di don Giovanni scagiona la donna incolpando se stesso.
Lodi scroscianti piovono da una critica benevola per Grasso, Bella Starace Sainati e lo stesso Palermi, regista, soggettista e sceneggiatore: “Amleto Palermi con questo dramma riafferma le sue belle qualità di compositore di soggetti cinematografici e di direttore artistico. Se non mi fosse piaciuto tanto “Storia di una donna”, direi che questo “Dopo il peccato” è il suo più bel soggetto. I caratteri sono magistralmente disegnati e la passione che ciascuno reca in se conduce con una logica, che in genere è follia cercare sullo schermo, alla catastrofe e allo scioglimento del dramma…Grasso è un attore che – anche sullo schermo – conserva tutta la ricchezza dei suoi caratteristici mezzi d’espressione. E’ affascinante quel suo gioco mimico pel quale egli traduce e trasforma la violenza dello scatto e del balzo in una gesticolazione diffusa e pittoresca, digradante dall’eroico al comico, mimica da personaggio popolaresco e da ardente cavalleresco cantastorie…” (A. Spada, in “Film”, Napoli, 20 luglio 1920).
Purtroppo il cinema italiano, ripiegato su vecchi cliché ed incapace di rinnovamento anche tecnico, è già entrato nel lungo tunnel di una crisi perniciosa, durata oltre dieci anni, che lo porterà fin quasi alla scomparsa e da cui comincerà ad uscire soltanto nei primi anni trenta, con un recupero tuttavia soprattutto (tranne poche eccezioni) del solo mercato interno, finché esploderà nell’immediato dopoguerra con l’esaltante ma, per certi versi effimera e commercialmente poco redditizia, stagione del neorealismo.