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Se il Mes e la politica estera aprono la crisi: il caso Prodi

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AGI – Tra Recovery Fund e Mes, quella che si apre promette di essere una settimana infuocata per il governo e per il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Le tensioni sulla cabina di regia per il recovery Fund, con i renziani in dissenso sullo schema a tre, Conte-Gualtieri-Patuanelli, sono solo l’antipasto del piatto portante e potenzialmente indigesto per la tenuta dell’esecutivo: il voto di mercoledì sulla riforma del Mes.

Il no dei Cinque Stelle 

A essere contrario alla riforma è buona parte del Movimento 5 Stelle, attraversato da divisioni interne fra il partito rigidamente No-Mes e l’ala governista. Il tentativo è quello di ritrovare una linea unitaria dentro e fuori il M5s. Perché la partita è assai delicata e, come ha già avuto modo di spiegare il ministro per gli Affari Europei, Vincenzo Amendola, un governo che non ha una linea comune in politica estera non può andare avanti, “lo dice la storia repubblicana”.

L’Albania e il Prodi 1

Tornando indietro con la memoria, si incontra un precedente “scomodo” per Giuseppe Conte. Era il 1997 quando il primo governo guidato da Romano Prodi si trovò a un passo dalla fine. E’ il 9 aprile, e il Parlamento è chiamato a votare su un ‘pacchetto’ di misure, tra cui il via libera dell’Italia alla Missione Alba, con la quale si cercava di stabilizzare la situazione in Albania e mettere un freno alle ondate di sbarchi sulle coste della Puglia. Al Senato la risoluzione della maggioranza di centrosinistra non ottiene il quorum e passa solo grazie ai voti del Polo della Libertà. A votare contro, tra le forze di centrosinistra, e’ Rifondazione Comunista che apre così la crisi.

 La risoluzione D’Alema e la crisi del Prodi 2 

Dieci anni dopo, durante il secondo governo Prodi, un ‘incidente’ simile costringe l’allora Capo del Governo a rimettere il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica. Teatro della vicenda è ancora Palazzo Madama, dove la maggioranza si regge sul filo dei voti.

I senatori sono chiamati ad approvare una risoluzione di maggioranza contenente delle linee di politica estera presentate dal ministro degli Esteri, Massimo D’Alema. Lo stesso Massimo D’Alema, il giorno precedente al voto, aveva dichiarato che un voto contrario al Senato sulla politica estera avrebbe costretto il governo alle dimissioni. Parole che suonano simili a quelle pronunciate dall’attuale ministro degli Affari Europei.

A un passo dalla caduta 

La risoluzione di maggioranza non ottiene il quorum e il 21 febbraio 2007 Romano Prodi rimette il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica. Da segnalare che, pur non essendo quel voto costituzionalmente vincolante all’apertura di una crisi di governo, di fatto la mancanza di una maggioranza sulla politica estera comporta le dimissioni del governo.

Dopo le consultazioni, l’allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano, rifiuta le dimissioni di Prodi e rinvia il Governo alle Camere per il voto di fiducia. Il 28 febbraio il Senato, con 162 voti a favore e 156 contrari, ha rinnovato la fiducia al governo Prodi. Determinante è, in questo caso, il passaggio alla maggioranza del senatore Marco Follini.

La prima crisi di governo del secondo governo Prodi si conclude definitivamente il 2 marzo seguente con il voto di fiducia alla Camera: 342 i voti a favore, 253 contrari e due astensioni. Il colpo di grazia al governo Prodi arriva però meno di un anno dopo in seguito dell’uscita del ministro della Giustizia Clemente Mastella e della propria lista Udeur dalla maggioranza. Mastella lamentava, in particolare, la mancata difesa del ministro da parte del governo in seguito a un’inchiesta che coinvolse la moglie del ministro Mastella, veniva chiesto alle Camere il voto di fiducia. 

Vedi: Se il Mes e la politica estera aprono la crisi: il caso Prodi
Fonte: politica agi


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