Di Antonino Gulisano coordinatore Confedercontribuenti Agroindustria
La FAO ha stimato che almeno il 30% degli alimenti commestibili prodotti destinati al consumo umano viene perso o sprecato a livello globale lungo tutta la catena dalla produzione al consumo.
Soddisfare il fabbisogno attuale di alimenti e tessuti senza compromettere la capacità da parte delle generazioni future di soddisfare a loro volta il proprio fabbisogno.
Abbandonare l’uso dell’agricoltura intensiva, che è diventata una macchina industriale centralizzata, ad alto impatto ambientale, è prioritario. Essa produce infatti un decimo dei gas serra (se si calcolano gli allevamenti il conto sale molto) ed è un fattore determinante nella perdita di biodiversità, nell’erosione del suolo, nello stravolgimento del ciclo idrico.
L’agricoltura è un terreno fertile per l’economia circolare: dal settore primario arrivano reflui urbani, zootecnici, scarti alimentari e delle colture, una miniera rinnovabile per il recupero di elementi che giocano un ruolo centrale per il suolo come fosforo, azoto e potassio, ma anche biogas e ammendanti (“qualsiasi sostanza, naturale o sintetica, minerale od organica, capace di modificare e migliorare le proprietà e le caratteristiche chimiche, fisiche, biologiche e meccaniche di un terreno”). Utilizzando gli scarti agricoli è possibile: ridurre le emissioni di CO2 causate dalla produzione di fertilizzanti minerali e produrre ammendanti e combustibili da fonti rinnovabili.
“Il modello di produzione industriale del settore alimentare non utilizza le risorse in modo efficiente e, con l’aumento di popolazione previsto per i prossimi anni, sarà sempre peggio. Le dimensioni di questo settore sono già notevoli, basti pensare che il 50% della terra abitabile del pianeta e il 70% della domanda di acqua dolce vengono assorbiti dall’agricoltura”. E’ quanto scritto da Nick Jeffries nel suo articolo ”l’economia circolare per il cibo”.
Dall’Agricoltura intensiva su grande scala a un’agricoltura di piccola scala.
La filiera agroalimentare attraverso gli accordi di filiera interprofessionale dalla produzione alla distribuzione.
Per riportare l’agricoltura nei binari della sostenibilità serve un uso maggiore “dell’agricoltura di piccola scala” ossia una produzione almeno del 50% degli alimenti totali usando solo il 25% dei terreni agricoli. Alcuni studi dimostrano, infatti, che le filiere corte, biologiche, locali, consentono di ridurre gli sprechi pre consumo fino al 5% rispetto al 40% dei sistemi agroindustriali.
Chi si rifornisce solo in reti alimentari alternative spreca un decimo rispetto a chi usa solo canali convenzionali; i sistemi di agricoltura supportati da comunità riducono gli sprechi al 7% contro il 55% dei sistemi di grande distribuzione.
Insomma lo scenario all’interno del quale i consumatori attualmente effettuano le loro scelte alimentari di routine non è particolarmente favorevole a modelli di consumo più sostenibili, e per questo occorre cambiare.