Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)
Il mondo del lavoro in Italia, lo sappiamo, è afflitto da tanti ed atavici mali, che contribuiscono ad arenare il nostro paese, impedendo il suo sviluppo ed il suo ammodernamento. Tra le tante criticità registrate ce n’è una, raccontata da un recente studio della Cgia di Mestre, spesso sottovalutata, ma che incide in maniera molto negativa.
Ci riferiamo ai circa 5.800.000 occupati sovraistruiti, ovvero quei lavoratori che svolgono mansioni per le quali il titolo di studio richiesto è inferiore a quello da loro posseduto. Un piccolo esercito, composto soprattutto da giovani laureati che non riescono a coronare il loro percorso di studi. Un numero davvero significativo, cresciuto costantemente nell’ultimo decennio. Dal 2009 al 2019, infatti, i dati assoluti sono aumentati del 30%, percentuale che sale al 40% considerando i lavoratori in possesso di un diploma di scuola media superiore o di una laurea.
Un circolo vizioso che, come spiega il responsabile dell’Ufficio Studi Cgia Paolo Zabeo, causa spesso demotivazione e scoramento nel lavoratore sovraistruito. Sentimenti e stati d’animo negativi che si traducono, ad esempio, anche nella riduzione della produttività. Ma come si spiega questo problema? Il motivo principale sembrerebbe essere la mancata corrispondenza tra le abilità specifiche richieste da questa o quella azienda, e quelle possedute dai candidati. Un chiaro indizio dell’enorme dislivello esistente, eccezion fatta per alcuni esempi virtuosi, tra la formazione fornita da scuole ed università e la sua spendibilità nel mondo del lavoro. A chi è in cerca di un lavoro, quindi, non resta che accettare occupazioni al di sotto delle loro competenze, come dimostrano i dati sul ricambio generazionale degli ultimi anni: il posto di ultra sessantenni con un basso livello di istruzione, sempre più spesso, viene preso da giovani diplomati o laureati alla prima esperienza lavorativa.
Al problema della sovraistruzione in continua e costante ascesa si accompagna, paradossalmente, quello del basso tasso di scolarizzazione che caratterizza il nostro paese. Nel 2019, infatti, la quota di popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore era del 62,2 per cento, mentre la media dell’Unione Europea (a 28 stati), era del 78,8%. Significativo anche il dato percentuale, riferito alla medesima fascia d’età, di coloro che hanno conseguito un titolo di studio terziario: 19,6% in Italia, 33,2% nella UE. Da segnalare, infine, anche il dato relativo all’abbandono scolastico che, sebbene sia in costante decrescita, si attesta comunque ad un preoccupante 13,5% su un totale di 560.000 giovani.
I numeri che abbiamo elencato, purtroppo, trasmettono ben poca speranza per il futuro dei nostri giovani e della nazione. I problemi irrisolti, da almeno un ventennio, hanno portato e porteranno conseguenze sempre più gravi, pesanti, oberanti. Occorre, dunque, invertire la rotta prima che sia troppo tardi, prima che venga disperso un patrimonio culturale ed umano, indispensabile anche solo per immaginare il domani.