Type to search

Agi

I bronzi di Riace erano 5 ed erano biondi. Storia, misteri e depistaggi 

Share

I Bronzi di Riace erano cinque e i due ripescati nelle acque di Riace, fra il 21 e il 22 agosto del 1972, facevano parte di un gruppo statuario che rappresentava il momento subito precedente al duello fratricida fra Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone, del mito dei Sette a Tebe collegato con quello di Edipo.

L’autore della nuova ipotesi sull’identità dei Bronzi – conosciuti come A e B e ritrovati esattamente 48 anni fa – che trova confronti e appigli nelle fonti letterarie e iconografiche, e ora anche negli ultimi risultati delle indagini su patine e argilla, è di Daniele Castrizio, professore ordinario di Numismatica greca e romana all’Università di Messina e membro del comitato scientifico del MArRC, il Museo Archeologico di Reggio Calabria dove A e B sono esposti al pubblico.

Castrizio da più di venti anni studia le statue di Riace e collabora con i Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio nelle indagini sulla presunta sparizione di elmi, scudi, lance e di altre statue del carico di Riace. L’archeologo illustra ora la sua ipotesi, fra le più accreditate nel mondo degli accademici, e anticipa ad Agi anche i sorprendenti risultati che saranno resi noti a settembre con la pubblicazione degli atti del primo convegno internazionale su “I Bronzi di Riace e la bronzistica di V a.C.”, organizzato dal Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina nel 2018.

“I Bronzi di Riace erano biondi e dorati e furono realizzati ad Argos, nel Peloponneso greco, entrambi nella metà del V secolo, a poca distanza temporale l’uno dall’altro, nella stessa bottega ma da maestranze diverse. Si è capito che B corregge gli errori di A, che rimane comunque la statua più perfetta nella tecnica di fusione del bronzo tra quelle arrivate sino a noi dall’antichità”, esordisce l’archeologo Castrizio illustrando i dati forniti dalla scienza, cioè dalle analisi su patine e argille.

Grazie al salto recente compiuto dalla tecnologia, si scioglie finalmente uno dei tre misteri che da 48 anni accrescono il fascino intorno ai due ‘guerrieri’ e che sono un rompicapo per archeologi, scienziati e non solo.

I tre grandi misteri dei Bronzi

Almeno tre i grandi misteri il primo dei quali riguarda come si mostravano i Bronzi in antico, dove quando e da chi furono realizzati; il secondo relativo a chi rappresentassero e quanti fossero; il terzo: come e perché finirono nelle acque di Riace.

Ad alcune di queste domande la scienza è ora finalmente in grado di rispondere, mentre nelle acque di Riace hanno preso a indagare i sonar in cerca del relitto e delle ipotetiche altre statue. Una certezza ormai conclamata è che i due guerrieri furono realizzati ad Argos: la prova è l’argilla con cui furono creati i modelli poi utilizzati per gli stampi in cera nei quali fu colato il bronzo.

La terra è argiva e Massimo Vidale, professore di archeologia dell’Università di Padova, è sulle tracce delle cave. “Siamo già a questa fase avanzatissima – commenta Castrizio -. Fino a pochi anni fa, non sapevamo quasi nulla e si brancolava nel buio delle ipotesi, ora siamo addirittura a circoscrivere il punto preciso in cui fu prelevata la terra”.

Le analisi di Vidale danno nuovi elementi: “I due bronzi, per i quali a livello stilistico si erano proposte datazioni diverse e con scarti anche di 50 anni, sono praticamente coetanei – spiega il professore reggino -: siamo nella metà del V secolo, l’argilla è la stessa per entrambi e proviene da due cave in due luoghi molti vicini.

La bottega non poteva che essere ad Argos dove era attivo Pythagoras di Reggio, il bronzista considerato da Plinio tra gli eccelsi, con Fidia, Mirone e Policleto, nella cui bottega lavorava il nipote Sostrato, che ne proseguì l’opera”.

Novità anche sulla provenienza del bronzo: “La lega contiene rame acquistato in due parti diverse del mondo, dalla penisola iberica e da Cipro”, e sull’evoluzione tecnica: “B corregge A – spiega Castrizio -; per esempio, in A l’elmo era fissato con una barra di ferro, mentre in B i maestri hanno capito che conveniva deformare la scatola cranica. Sulla spalla di B, inoltre, c’è un gancio assente in A e che serviva per fissare con un altro punto l’attacco dello scudo che forse in A si era visto creare un effetto vela a causa del vento”.

Accortezze e migliorie anche nella realizzazione del costato: “Mentre A era modellato tutto a mano, pensiamo al lavoro ‘folle’ di realizzare i riccioli dei capelli singolarmente, in B, per simulare le costole, i maestri inserirono nel modello dei salsicciotti d’argilla”.

Il colore dei Bronzi

Novità assoluta dei nuovi studi intorno ai Bronzi è il loro colore. In età greca le statue apparivano bionde e dorate, in età romana erano nero lucide. Perché? “Il nero lucido è il colore che assumono dopo il restauro che subirono quando furono trasferite a Roma – spiega l’archeologo -. I Bronzi in origine erano esposti probabilmente ad Argo, ma dopo la conquista della Grecia e le spoliazioni del 146 a.C. di Lucio Mummio, furono portati nella capitale e qui esposti almeno fino al IV d.C..

In questo periodo, B ricevette un nuovo braccio destro e un nuovo avambraccio sinistro realizzati su calco dei vecchi; ad A furono sostituiti invece elmo e scudo. Per uniformarli, essendo i materiali diversi dagli originali, furono colorati di nero, con una pittura allo zolfo le cui tracce sono state notate sulle natiche di A da Koichi Hada, professore dell’Università Cristiana di Tokio, e confermate dalle prove trovate da Giovanni Buccolieri, docente di Fisica applicata ai Beni Culturali dell’Università di Lecce”.

Ma i bronzi in origine erano a colori e Castrizio spiega: “Assodato che labbra e capezzoli erano di rame per imitarne il colore naturale e i denti d’argento, alcune novità riguardano gli occhi di calcite, un quarzo trasparente e lucido, con dentro del vetro rimasto solo nella statua B. Il colore degli occhi dei Bronzi era ambrato. Perché? Perché questo era il colore degli occhi dei leoni. Si è inoltre scoperto che i Bronzi sono le uniche statue al mondo ad avere la caruncola lacrimale, realizzata con una pietra rosa posta fra occhi e naso”.

Al colore dorato si è arrivati grazie a una serie di prove eseguite dalla squadra di studiosi giapponesi che hanno commissionato a una nota fonderia di Firenze la ‘ricostruzione’ del bronzo dei guerrieri con le esatte percentuali della lega.

“Sulla coscia di A, in alcune parti – fa notare il numismatico -, si vede un colore abbronzato, segno di quel dorato pallido originario, ottenuto con l’uso del bitume, che per reazione restituisce un colore simile alla pelle umana”.

Perché i Bronzi erano biondi? E che biondo?

Perché biondi? “Non è raro nelle statue antiche. Anche il Kouros di Reggio o la Testa di Basilea hanno capelli e barba bionda. Nelle statue crisoelefantine, fatte cioè d’oro e d’avorio, era normale. Nel Museo di Napoli abbiamo una Afrodite di marmo con resti di colore nei capelli: è bionda”.

Un biondo, precisa Castrizio, “non biondo Marylin, ma fulvo, con del rosso. In greco biondo è ‘xanthos’ che in latino è ‘fulvus'”. A questo punto restano due misteri: chi rappresentassero e perché finirono nel mare di Riace. Qui le ipotesi di Castrizio prendono forza grazie a fonti letterarie e confronti iconografici. E ne fornisce la ricostruzione grafica e fotografica elaborata da un suo collaboratore, Saverio Autellitano.

“Il fatto che fossero biondi avvalora la mia ipotesi sulla loro natura eroica e mitologica. La mia idea è che A e B siano Polinice ed Eteocle, fratelli di Antigone, che si sfidano a duello per il trono di Tebe. Publio Papinio Stazio, nell’XI libro della Tebaide, li descrive in modo preciso, perché li vede a Roma, forse esposti in una esedra sul Palatino”.

Li avrebbe visti anche l’apologeta cristiano Taziano che nel II d.C. ne parlerebbe nel Catalogo delle Statue. Ma la svolta è la Tebaide di Stesicoro di Metauro che racconta la scena alla quale è ispirata l’iconografia del gruppo statuario.

Secondo Castrizio, i Bronzi erano esposti ai lati di un gruppo che vedeva al centro la loro madre Euryganeia, con le braccia allargate e disperata mentre cerca di dissuadere i figli dal duello, e fra loro Antigone e l’indovino Tiresia. “Le parole di Tiresia – spiega – irritano Polinice, cioè A, che digrigna i denti, ecco perché sono d’argento e la sua bocca è aperta.

Nel testo di Stazio, che vede le statue ma non conosce la storia di Stesicoro, e quindi scambia Tiresia per Creonte, si legge di un Polinice ‘hostile tuens’ che guarda cioè in modo ostile Eteocle, B, quando gli vede sulla testa la kynè, la cuffia del potere militare e politico. Mentre B tiene basso lo sguardo, A lo tiene davanti a sè con l’occhio sinistro lievemente strizzato, come ci siamo accorti di recente e le misurazioni confermano”.

Bronzi, una storia anche di denunce e depistaggi

Se le statue erano cinque, che fine hanno fatto le altre presunte tre? Nei quasi cinquant’anni dal ritrovamento, avvenuto a 10 metri di profondità e a 300 dalla riva, che segnò una pagina epocale per tutta l’Italia c’è una storia parallela, fatta di cause in tribunale, denunce e, per alcuni, anche di depistaggi.

Una storia sulla quale sono attive le indagini dei carabinieri e su cui in qualche modo anche la Soprintendenza vuole vederci chiaro, avendo autorizzato di recente indagini mai eseguite prima d’ora nel punto in cui, nell’anno del ritrovamento dei Bronzi, una nave americana segnalò la presenza di qualcosa in fondo al mare, a molti metri dal punto in cui poi furono recuperate le statue.

 Da un primo esito, risulterebbe che al largo della costa di Riace ci sarebbero 16 echi sonar indicanti masse di metallo, forse il relitto della nave che trasportava un carico di statue da Roma. perché? Secondo Castrizio, i Bronzi assieme ad altre opere d’arte erano in viaggio verso Costantinopoli nel IV d.C., perché Costantino voleva adornare con esse la sua nuova capitale, Costantinopoli.

Un evento avverso avrebbe costretto i marinari a disfarsi di buona parte del carico oppure fece affondare la nave. La circostanza sempre apparsa strana a buona parte degli studiosi è che i Bronzi siano stati rinvenuti sott’acqua senza intorno altri materiali di contesto.

Per questo si è di recente rafforzata la convinzione che qualcuno li abbia trascinati vicino alla costa prelevandoli dal luogo in cui probabilmente la nave che li portava sarebbe affondata. Sono ampiamente riconosciute dagli archeologi la “leggerezza” e le “operazioni maldestre” che caratterizzarono ritrovamento e recupero, come si legge nella letteratura scientifica.

Il ripescaggio avvenne in emergenza davanti a migliaia di curiosi. C’erano i carabinieri sommozzatori di Messina, un solo archeologo, Pier Giovanni Guzzo, e lo scopritore ufficiale, il sub romano Stefano Mariottini; assente il soprintendente Giuseppe Foti, partito in crociera dopo la segnalazione della scoperta nonostante la portata epocale dell’evento. I punti del rinvenimento, fra l’altro, non furono fissati con precisione, come si legge nella relazione del Centro di archeologia sottomarina di Albenga, incaricato di verificare, un anno dopo, la presenza di altre statue in quello specchio d’acqua. La parete di vaso posta in antico fra mano destra e coscia di B fu malamente pubblicata e fraintesa: era il solo elemento utile a datare l’ultimo viaggio dei Bronzi.

Il caso giudiziario del 1977. Lo scudo e la lancia

A gettare ombre sulla scoperta, poi, una doppia versione che aprì un caso giudiziario, poi chiuso nel 1977 dal Tribunale di Roma che attribuì il premio di rinvenimento (125 milioni di lire) al sub Mariottini, sebbene la sua denuncia scritta fosse arrivata nel pomeriggio del 17 agosto, preceduta, a mezzogiorno, da quella di quattro ragazzi di Riace, Cosimo e Antonio Alì, Domenico Campagna e Giuseppe Sgrò. Decisiva, per il sub, fu alla fine la dichiarazione del soprintendente Foti: “avvisato alle 21 del 16”.

Ma non si preoccupò di avvisare le forze dell’ordine che si attivarono soltanto dopo la segnalazione dei quattro ragazzi, con il risultato che, nel frattempo, la zona era rimasta incustodita per tutta la notte. Che quell’area fosse ricca di reperti era noto fin dal febbraio del 1972, quando la rete di un pescatore era rimasta impigliata in “cose antiche”, dopo che una mareggiata aveva sconvolto la spiaggia e smosso i fondali. La voce si era diffusa e, complice l’assenza di vigilanza da parte delle istituzioni, avevano il via, in quelle acque, frequenti cacce al tesoro che avrebbero arricchito il mercato clandestino.

Neppure i tardivi scavi portarono luce in quell’abisso di contraddizioni. Trentadue anni dopo, nel 2005, il primo a prendere in mano i documenti sulla scoperta rimasti per anni sottochiave nell’archivio della Soprintendenza di Reggio, fu Giuseppe Braghò, un professore di Vibo Valentia che, rilevando alcune incongruenze nella versione del sub, ipotizzò l’esistenza di una terza statua e si mise alla ricerca del corredo dei Bronzi. Scudi ed elmi erano stati segnalati anche nella relazione di Guzzo, l’archeologo che curò il recupero e che poi si corresse, attribuendo all’emozione il suo primo resoconto. La testimonianza di Anna Diano, proprietaria di un noto hotel di Siderno, rintracciata da Braghò nel 2007, contribuì all’apertura di una indagine della Procura di Locri.

Le ipotesi sulla sparizione di alcune parti

La donna raccontò di aver visto due uomini in muta uscire dall’acqua trasportando un grosso scudo e una lancia spezzata mentre, a 300 metri, avveniva il recupero del primo bronzo. Nel frattempo, fra le carte della Soprintendenza in mano a Braghò, spuntava una segnalazione del 1981, in cui un trafficante di reperti rivelava del recupero di uno scudo di 65 kg avvenuto nei primi mesi del 1972 con l’aiuto di due pescatori “tacitati con 6 milioni di lire”, e della vendita per seimila dollari al Getty Museum di un altro scudo e di un elmo.

Sempre il Getty viene tirato in ballo in un documento di risposta a un trafficante che, nel 1981, mostrò al giornalista Rai Franco Bruno le foto di uno scudo e di una lancia spezzata rivelando di averne tentato la vendita al Museo di Malibù.

Ad accrescere il giallo, il silenzio sugli esiti di una ricognizione subacquea nelle acque di Riace a caccia delle anomalie metalliche che erano state segnalate, nel 2004, dalla nave di un magnate americano che aveva finanziato una ricerca su porti e approdi magnogreci.

Fra le ipotesi più percorse, insomma, c’è quella che vorrebbe che i due Bronzi fossero una parte di un importante carico di materiali archeologici destinati al mercato clandestino e l’assenza dei loro attributi (elmi, scudi, lance) sarebbe l’effetto di una prima spoliazione, più agevole, in attesa di pianificare il recupero ben più impegnativo delle due imponenti statue, alte 1,97 e 1,98 metri e pesanti 160 chilogrammi.

Vedi: I bronzi di Riace erano 5 ed erano biondi. Storia, misteri e depistaggi 
Fonte: cronaca agi


Tags:

You Might also Like